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17 Dicembre 2016
Fragile
di Stefania Castella



Fragile
Solitudine e adolescenza.
Fragilità

Vedo la sua bella faccia scivolare nell'acqua, si allarga come una macchia dorata tutta la chioma morbida intorno alla perfezione del tutto, onde delicate seguono in un vortice la sua immersione, la guardo attenta, rapita, ingoiata, richiuso su lei, l’azzurro dell’acqua della piscina semivuota. Un secondo, due, riemerge lentissima, eterea.

 

Attrice in costante performance rivolta al suo mondo. Il mondo è tuo. Madre. Bellissima. Fiera, altezzosa il suo emergere studiato in ogni piccola posa, tentenna e il suo corpo al contatto col freddo diventa più turgido, sa, lei lo sa che ogni sguardo è voltato su lei, magnifica libera preda, ancora più bella da quando è una libera preda. Così giovane quando dopo un urletto scomposto a misura, così me l’immagino, nascevo da lei.

 

Carina ma non troppo, intelligente ma mai abbastanza, amica fidata, figlia silenziosa, mai troppi capricci, mai troppo di nulla. Di mio padre conservavo una foto soltanto, uno scatto, lontano compleanno, due anni, mi tiene che cerco di immergere un piede nella torta di panna montata. Lo sguardo di vetro, occhi di mare, bellezza un po’ gelida, il contrario di lei. E lui mi assomiglia, e lei che lo ha odiato perché amato troppo, forse avrà amato un po’ troppo anche per me, e per questo…

 

Eccoti madre infinita, a sfilare in piscina la tua ultima fissa, novembre gelato passato a nuotare all'aperto. “Dopo l’ufficio mangiamo un boccone e poi andiamo, vedrai farà bene anche a te”. Che fottutissima idea. La guardo, falcate feline, e sguardi incollati al suo passo regale e mogli grassocce a distorcere il labbro. Madre perfetta. Madre distratta. Tutto è superbo toccato da te, tutto che scorre come tu desideri. Fai ciao con la mano, ricambio sboccando, scoppio di chewin gum potrei sparartelo in mezzo alla faccia, ci divide il vetro e il mio accappatoio nel quale mi stringo, io soffro il freddo ma di più soffro te. E non voglio che guardi il mio corpo deforme, difronte al tuo corpo preciso da Dea. I tagli che infliggo al mio corpo rotondo.

 

E non oso un costume minuscolo come invece fai tu. Madre lievissima. Ho iniziato bambina a tagliare il mio corpo, per rabbia, rancore, dolore ingoiato. Per tenerti vicina sperando di avere un momento di te. Io soltanto un pacco ingombrante lasciato dai nonni. Ecco che sono, quel pacco ingombrante e la scritta fragile stampata di fianco. Ho ferito il mio corpo che cresceva da solo, aspettando tornassi dal turno in ufficio, dalla cena in ufficio, dall'invito in ufficio, e odiato l’ufficio che era troppo di più, più importante di me.

 

E restavo sospesa e aspettavo in silenzio, col mio stupido mondo davanti, e l’odore di chiuso, naftalina opprimente, la casa di vecchi stancati di vita e di ore che non passavano mai. Io ero lì e se tornavi piangendo delusa dall'ennesima fallita rincorsa, io ero lì per scappare con te. Cominciare con te, traslocare con te, riadattarmi con te. Perdonarti sperando, sopportare sognando, di avere una madre come tutte le altre, che non scorda gli orari di entrata e di uscita e la merenda nel frigo.

 

Madre infinita, ho smesso le attese e pure le lacrime, ho capito che eri soltanto una donna mai stata donna, una piccola bimba che non cresceva mai. Son cresciuta per te, ho capito che il culo dal divano dei nonni potevo pure portarmelo altrove, che tanto nessuno lo avrebbe notato. E Betta era lì, la cara compagna di vita e di banco. Madre solerte. I tuoi turni in ufficio lasciavano buchi da cogliere al volo, e a sedici anni li riempi a piacere. Avrei voluto sentirmi protetta, avrei voluto un abbraccio a portarmi lontano dal puzzo del cesso, dalle mani che insulse si infilavano addosso. “Ci pagano bene, dai vieni con me”.

 

Amica fedele. Madre, quei jeans costavano troppo e il tuo insulso lavoro non paga abbastanza. Madre bellissima il mio corpo è cresciuto e tu non ti accorgevi di orari sballati, sguardi allucinati, i soldi che trovavi tra pigiama e mutande. Madre dolcissima se vedessi il mio corpo punito, distrutto, disfatto, svuotato, prestato. Gettato. Madre imbronciata, se tu mi vedessi, mi vedessi davvero, il tuo muso da attrice forse davvero cambierebbe espressione, per una volta, una volta soltanto riuscirei a cambiare la tua attonita posa. Inutile bimba che ormai non sei più. Madre mi pagano, mi stordisco di alcol per non starci a pensare, non sentire la puzza, lo schifo che sento. Madre mi senti? Volevo soltanto… Parlarti di me…

 

Mi guarda, lo sguardo suo consono, scollato dal mondo, un battito lieve di ciglia fittissime, la mano perfetta che arriva all'orecchio “Dicevi tesoro? Scusami avevo la musica alta, dicevi...” “Dicevo. No, niente, sei bella mamma, sei bella…” Sorride felice infila alle orecchie la musica forte, annega il suo mondo. Ritorna al tuo mondo. Una striscia di asfalto ci passa di fianco. Madre dolcissima. Madre…








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