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05 Novembre 2016
Maestro, genio distruttore. E l'arte il genio, il compromesso dell'amore...
di Stefania Castella



Maestro, genio distruttore. E l'arte il genio, il compromesso dell'amore...
Les Demoiselles d'Avignon
Pablo Picasso

Piccolo in un angolo, è da lì che mi guardi, mentre ti tengo le spalle scorgo la linfa non vitale di quella vita che porti via. Maestro. Le tue mani geniali hanno percorso la vita. Un colpo secco e un’altra tela andrà, il tuo capolavoro, e dietro noi. Quanta di questa vita è ferma immobile tra quei segnacci, sì, potrai distorcere lo sguardo come vuoi, e se dicessi ancora una parola storta? E se tenessi dritto questo sguardo dentro il tuo, lo fermeresti con un gesto estremo?

 

So che lo faresti, tu sei il genio, noi le muse, silenziosi corpi immobili, pronti ad aprirsi per spalancare mondi conosciuti e sconosciuti ai più. Che cosa leggeranno tra le tele? Scorgeranno della prima, quella che ti seguì quand'eri un ragazzino, e ragazzini entrambi in mezzo ai boulevard, si respirava l’aria tenue di chi poteva vivere di arte, amore e di purissimi abbandoni che smisero purezza e levità, per trasformarsi nell'incubo normale di una vita che prosegue in altre strade. E cresceva l’ardore, la poesia di ogni colore. E passava la vita attraverso il cambio di ogni sfumatura, e una lei appoggiata a te, mite e docile distesa, lieve farfalla e vita di un giorno soltanto.

 

Sette anni? Nove? Venti? Un giorno solo? Al fianco del tuo genio, il tempo dilatato non aveva un suo significato. Piccolo bimbo, ossequioso di sua madre, a quante donne farai poi pagare il tuo segreto e inestimabile dolore. Il suo sguardo severo. Per ogni fiore strappato dalla folata di vento al tuo passaggio, un’opera restava impressa al mondo. E muse, e donne e distorte figure da cercare tra gli anfratti più sperduti un remoto significato, inaspettato ardore, e fuoco ed eros, che non aveva fine. Folgorate inginocchiate, mentre le cambiavi, ti cambiavano, e diventavi il genio più assoluto e più stimato. Il mondo tutto prostrato ai tuoi piedi, e nulla ti bastava, la noia e l’abbandono e il fuoco che ardeva non lasciava che cenere e polvere al tuo passaggio.

 

Così gli scatti d’ira e folle gelosia, e le fughe vigliacche e la ricerca di un amore folle, folle come te. Un guanto insanguinato un nuovo sguardo, seduta ad un caffè due occhi nuovi dentro i quali perdersi, e l’avanzare dell’età che non frenava, e in ogni sguardo tuo posato si stendeva viva, ogni mente anche la più ferrata. E così ad una ad una, un figlio dopo l’altro, una vita dopo l’altra, la lucida follia che le colpiva le rendeva allucinate e fragili, nessuna resisteva. Più di una non resse al cospetto, ed una penzolò legata per il collo, un’altra preferì richiudersi le porte folli da dietro le spalle, un’altra si sparava un colpo in fronte.

 

Mentre pennelli in mano andavi incontro a nuove vite. Maestro, che “Non è un uomo è una pazzia” dicevano di te, mentre fedeli ti prestavano il fianco a sopportare le provocazioni, di una e l’altra sedute di fronte, ad osservarsi come delle fiere, in quella gabbia che sembrava amore, e che toglieva l’aria e un po’ di vita, e un po’ di vita si consegnava per l’eternità, mentre probabilmente a qualcuna di loro, sarebbe anche bastata la metà.








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