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08 Ottobre 2016
Incontrarsi per caso
di Stefania Castella



Incontrarsi per caso
La fermata dei tram

Ho incontrato Matilde alla fermata del tram in una delle mie mattine perse a cercare lavoro, rispondere ad annunci, perdere ore nell'illusione dell’ennesimo colloquio. Vivevo con mia madre, finita l’università, tra un concorso e l’altro mi accontentavo di fare qualunque cosa. Commessa, segretaria, il lavoro da infermiera di mia madre poteva sembrare sufficiente per entrambe, ma stare chiusa in casa ad aspettare l’occasione giusta non era per me. Valutavo alcune richieste, scartando orari e luoghi più complicati da raggiungere, quella mattina di quasi inverno avevo intenzione di arrivare verso uno dei parchi nella zona alta della città. Dal centro in autobus era un casino, ma avendo una sola auto da dividere con mia madre, non c’erano alternative.

 

L’aria ferma e fredda si scaldava con l’alito della gente dispersa e assonnata alla fermata, studenti mattinieri, qualche badante dall’aria già fiacca. In un angolino addossate al muretto della villa comunale c’era questa bella ragazza dall'età indecifrabile, l’aria sfinita non toglieva nulla al viso ambrato e bellissimo, accanto a lei, stretta alle gambe una cosetta piccolina infagottata in un giubbetto rosa. Un cappellino a forma di funghetto le dava un’aria ancora più tenera, rimasi un attimo in ipnosi ad ammirarle tanto che la piccola alzò la testolina dalla mia parte e mi sorrise. Aveva due occhi nocciola enormi e una bocca piccola piccola, una piccola fragola che si apriva al sorriso più dolce, alzò una manina inguantata facendomi ciao, risposi muovendo pigramente il braccio per salutare, la risposta fu il sorriso ancor più radioso della giovane mamma. Tra uno spintone e l’altro finimmo per accostarci e venne naturale scambiare due chiacchiere.

 

Matilde mi disse di essere della zona, aspettavamo lo stesso tram, lei per recarsi in ufficiò, io per cercare possibilità. “Alice -questo il nome della piccolina, disse- ha iniziato ad andare da poco all'asilo, io ho trovato lavoro in uno studio di consulenze fiscali, l’orario è malleabile, e qualche volta se la piccola fa i capricci devo tenerla con me. Non ho nessuno che stia con lei”. Alice aveva appena tre anni, il viso bianco le guance tonde e rosee, e un sonno incontenibile e tenero. Il percorso del tram dal centro alla nostra meta, significò tante cose, quando vi discendemmo Alice aveva dormito per tutto il tempo, le guanciotte col segno del giubbotto della mamma, la sua mamma più distesa di quando vi era salita, io di più. “Ci posso stare io con lei, cioè sono in cerca di lavoro, ho terminato gli studi da poco e posso tenere la bambina se non trovi alternative”. A quanto pare Matilde alternative non aveva intenzione di cercarne, perché dopo esserci scambiate numeri e contatti vari ci accordammo per un incontro. Una settimana dopo ero da loro.

 

La zona, elegante, aveva uno spicchio di mare che si intravedeva dai vicoli oltre i palazzi che ai lati si stagliavano enormi, imponenti. Spinsi il portone per allungarmi nel grande androne, e raggiungere secondo le indicazioni, casa delle due nuove amiche incontrate in tram. L’ascensore sembrò l’unica nota stonata, vecchio in ferro scolorito, un modello dalla faccia secolare. Poi scoprii che anche il resto, dalla porta d’ingresso alla stessa casa di Matilde, avevano la stessa aria, antica e quasi inquietante. Matilde mi accolse con un sorriso dei suoi, lucente, perfetto, come il caffè, il pavimento, ogni angolo, tutto era uno stralcio da film. “Questa casa era dei miei nonni, io non ho nessuno, mia madre e mio padre sono scomparsi quando ero piccola. Sono cresciuta con i nonni. Alla loro morte quest’appartamento è rimasto all'unica erede. Sarei andata via non sai quante volte. Ci sono molti ricordi tra queste mura, non tutti piacevoli. Quando ho conosciuto mio marito, ci abbiamo provato a cercare altrove, ma ogni volta non si riusciva a concludere, poi sono rimasta incinta.

 

Quando Paolo si è ammalato, Alice aveva appena un anno, avevamo un conto in banca quasi allo stremo, nessuna prospettiva, credevo fosse dura, ma quando Paolo è morto, e sono rimasta sola, ho capito che niente sarebbe stato più duro di così. Sono stata male, molto male, solo Alice mi ha dato la forza di andare avanti. Qualche amica, perché anche Paolo non aveva nessun parente qui in città. Io e lei eravamo completamente sole e perdute. Mi sono rimboccata le maniche, ho cercato di lavorare. Adesso che ho trovato qualcosa di stabile, vorrei riuscire a tenermelo questo benedetto lavoro. Alice è stata per un po’ dai miei vicini quando non andava ancora all'asilo, ma loro sono anziani, troppo anziani, e lei ha bisogno di stare con piccoli della sua età. Quando sei arrivata tu, ho pensato che poteva essere una soluzione”.

 

Alice aveva ancora le pantofoline ai piedi, i capelli un po’ arruffati, e il completino blu per l’asilo. Mi sorrise dolcemente prendendo dal tavolo una merendina al cioccolato, con un abbraccio mi scaldò il cuore. Matilde sembrava una piccola ragazzina sperduta, nonostante fosse più grande di me, le conoscevo da poco ma pensai che oltre al guadagno pattuito, l’avrei fatto per quel senso di affetto che mi avevano ispirato da subito. “Vai a fare la pipì Alice?” Matilde picchiettò la piccola sulla spalla per sollecitarla, e cambiò espressione in un attimo. “Non è stato facile superare la scomparsa di Paolo. Alice sta attraversando un periodo molto difficile, anche per questo la portavo con me la mattina che ci siamo incontrate. Dorme male, urla all'improvviso, è diventata un po’ più triste, non è mai stata una bimba troppo vivace, ma ultimamente…” “Credo che sia normale Matilde, ha perso il papà, pur essendo piccola, ha avvertito un certo cambiamento…”

 

Matilde accese una sigaretta appoggiandosi alla finestra. “Sì, ho consultato una psicoterapeuta che la segue, che dice le stese cose. Ha bisogno di rassicurazioni, di distrarsi” Come te, pensai, e mi fece sobbalzare un colpo fortissimo ad una finestra in un’ala della casa che non avevo ancora visto. Anche Matilde era trasalita, guardandomi interrogativa, corremmo verso il bagno per controllare Alice che stava ancora seduta, piccolina, sulla tazza del water “Non sono stata io mamma” disse soltanto. Matilde mi guidò lungo il corridoio che non avevo ancora visto, un corridoio lunghissimo con le porte che si aprivano tutte nella stessa direzione. “Mia nonna affittava le stanze a qualche studentessa, questo un tempo è stato una specie di albergo, sai. Una casa grande, che io e Alice praticamente abitiamo solo in parte, e solo dall'ingresso alla cucina dove c’è la mia camera, la sua e il bagno, tutto il resto non ci serve.

 

Tutto il resto scoprii essere la camera dove Paolo controllava i suoi conti, uno studio rimasto intatto dall'ultima volta in cui ci era entrato. Una camera per gli ospiti, un secondo bagno piccolo e claustrofobico. Quel lato della casa sembrava più buio dell’altro, più triste tetro, quasi disabitato. Mi sentiti a disagio ad attraversare quella porzione di casa, non sembrava lo stesso appartamento, c’era un freddo e una luce buia e tetra, le finestre coperte da pesanti drappi forse non erano state aperte da secoli. “Io non entro mai qui. Non mi capacito di questa maledetta finestra che sbatte. Non la apro mai, ho paura a tenere le finestre aperte, sai per Alice…” La finestra nello studio di Paolo spalancata, aveva lasciato entrare un’aria che quasi aveva ghiacciato il tavolo di marmo, sfiorandolo ci si poteva restare attaccati e congelati.

 

La voce di Alice ci fece ritrarre all'indietro, aveva fretta di andare a scuola. E la nostra prima mattina si svolse come quella di tante altre vite intorno. Accompagnai la piccola all’asilo e Matilde a due passi dal tram, una copia delle chiavi per ritornare a casa, stranita per la fiducia che questa giovane donna aveva riposto in me, pur conoscendomi da poco. Ritornare in casa mi fece un strano effetto. Dalla cucina, al salone quell’immobilità sembrò una cappa pesantissima. Spalancai le finestre per far entrare la luce, cominciai a rassettare, accesi un po’ di musica dall’unico apparecchio grigio e moderno in mezzo a quello sfolgorio di legni pregiati e non smisi per un solo attimo di sentire la costante presenza di qualcuno che mi osservava. Per tutto il tempo. Una sensazione strana, inspiegabile. Pulii il bagno, la porta si richiuse dietro me e forse a causa di una serratura vecchiotta dovetti combattere parecchio per riuscire ad aprirla.

 

Lavai il pavimento del lungo corridoio e fui colpita più volte da strane folate di vento, nonostante non ci fossero corrispondenze e avessi badato a richiudere bene le porte man mano che pulivo. Il corridoio era la cosa più ansiante. Lungo e stretto se non fosse stato così alto, sarebbe stato una bara perfettissima. Da lì, dal soffitto provenivano scricchiolii che non mi spiegai, pensai ai vicini che abitavano di sopra. Sembrava facessero un trasloco. La casa, bella grande, richiese un po’ di tempo, ma alla fine ero soddisfatta del lavoro, del pranzo che avevo organizzato, e del fatto che le due al ritorno avrebbero trovato qualcuno che si era un po’ occupato di loro. Aspettai l’orario di uscita dell’asilo, quando la puffetta felice mi aveva seguita in casa, sorridendo fino all'uscio della porta di casa. Le scarpe volate per aria, Alice, si era affrettata a raggiungere la sua cameretta in attesa del pranzo e della mamma.

 

E tutto cominciò in quel primo giorno. Sentii dalla cucina che saltava allegra, poi la voce si fece più flebile, la cantilena che cantava bassa, un tonfo, un urlo. Col cuore in gola mi approssimai per raggiungere la camera e la porta a vetri. Ora aggiungerei che sono una persona assolutamente razionale, ma quello che vidi non aveva nulla di razionale, era una figura scura enorme dall’altra parte del vetro sovrastava quasi la porta stessa, mi annebbiò il cervello, corsi alla porta mentre si dissolveva e mentre sentivo urlare la piccola, la porta bloccata resistette a numerose spallate, fino a che improvvisa si spalancò. La piccolina era ai piedi del letto, caduta forse mentre saltava e con lo sguardo rivolta ad un angolo dell’armadio come bloccata.

L’abbracciai cercando di capire dove e come si potesse essere fatta male, e lei immobile si lasciava prendere in braccio come in trance. Non aveva lividi ma, era terrorizzata. Dimenticando la figura che avevo visto mi concentrai solo sulla bimba, le diedi dell’acqua, cercai di capire. Ma Alice non parlava, non diceva nulla. Si riprese solo parecchie decine di minuti dopo, come risvegliata dal sonno, e con la madre che varcava la soglia di casa in quel momento. Ne parlai con lei, che non sembrò sorpresa. E capii nei giorni a venire che quello che era successo sarebbe successo altre volte. Porte che sbattevano, rumori assurdi dal soffitto, “Trasloco dici? Guarda che siamo al sesto non c’è nessuno di sopra” Mi aveva risposto Matilde, quando le avevo chiesto dei rumori.

Erano due settimane che ero con loro e i rumori, i fenomeni strani si erano susseguiti quasi aumentando. Alice urlava all'improvviso e indicava punti precisi del salotto o in alto su un armadio, su un tappeto. “È lì” diceva, oppure “Eccolo ciao, il mio amico”. Sebbene non cercassi di dare peso alla cosa, la situazione diventava pesante, e spesso capitava che la bimba si facesse male improvvisamente. Mentre guardava i cartoni alla tele urlava disperata, una volta era la lampada andata in frantumi sul pavimento, un’altra volta un grosso libro le era cascato su un piede. Sarei scappata via, ma come avrei potuto lasciarle sole? Pensai di parlare con Matilde, di quei fenomeni strani aspettandomi di essere presa per matta, invece “Sì, lo so, io, ero disperata per la morte di Paolo. Non credo in queste cose però ho fatto un gioco, una sorta di seduta spiritica con due amiche, loro ci credevano dicevano che era una cosa seria, che potevo parlare con Paolo, io ho visto il bicchiere al centro del tavolo muoversi, e ho avuto un po’ di paura, ho detto basta, e mi hanno detto che ho sbagliato che forse ho lasciato entrare qualcosa di maligno che non è andato più via. Ma io, e se fosse Paolo? Potrei andare via, ma dove vado e poi se lui è qui, come posso andare via …” Mi sembrò assurdo, tutto. “Ti prego Alice, sta bene quando ci sei tu, non sai cosa passo la notte, lei urla e non riesco a gestire tutto, potresti restare a dormire qui qualche notte?”. Accettai poco convinta, ma anche tentava per la paga che Matilde aveva deciso di aumentare, mi faceva comodo un po’ di più, ma soprattutto volevo stare accanto a loro.

 

Alice fu contenta della novità “Facciamo un pigiama party” correva felice, e al momento di andare a letto non ne voleva sapere di lasciarci dormire. Dormimmo tutte nella camera di Matilde io su un divano letto loro due nel lettone. Erano le tre di notte quando il cuore mi scoppiò in gola. L’urlo di Alice squassò il silenzio, seduta al centro del letto guardava un punto fermo sull'armadio, accendemmo la luce e lei indicava col ditino, piangendo ma non vedevamo nulla non capivamo cosa fosse. Esasperata Matilde si diresse all'ingresso dietro un armadio tirò fuori una lunga scala per arrampicarsi sull'armadio, tirò giù una scatola ingiallita che portammo in cucina per guardare meglio terrorizzate all'idea di cosa ci potesse essere.

 

Aperta appena appena ne vennero fuori decine di antiche foto, di persone che Matilde non aveva mai visto, non riconosceva nessuno dei parenti, nessuna immagine, c’erano lettere scritte in una calligrafia incomprensibile sembravano poesie, in fila le parole come preghiere invocazioni, e sotto alla fine di tutto una piccola treccia di capelli legata ad un sottile filo nero. Ci guardammo senza parlare e in quella marea di fotografie tra risposte che non c’erano improvvisa si levò una folata di vento che buttò tutto all'aria, un vento che passò attraverso il tavolo oltrepassandoci per poi scivolare fuori, come tirato via perdendosi in un sinistro ululato.

 

Svelta Matilde prese un sacchetto infilandoci tutto quello che c’era nella scatola lo richiuse decidendo di buttarlo via in quello stesso momento. La vidi passare da un marciapiede all'altro e la vidi anche correre per tornare, mentre un’auto misteriosa sbucava improvvisa da un angolo senza preavviso.

 

Passammo la notte e le successive notti in ospedale, con Matilde attaccata ad un filo e ad un respiratore. Aprì gli occhi dopo settimane di camera intensiva. Del pirata non si seppe niente, mentre della casa, dopo aver fatto qualche ricerca scoprii che prima di essere un albergo, era stata un’ala distaccata di una clinica dove durante la guerra, molti pazienti venivano rinchiusi e torturati. Paolo forse non c’entrava niente con tutta la cattiveria e i malefici che vi si erano concentrati e la prima cose che appena sveglia mi disse la ragazza, aperti gli occhi, fu “Non ci avrei voluto credere, ma me ne vado. Porto via Alice, non mi importa dove andrò ma via da lì”. Le accolsi per un po’ da me, mentre la casa si metteva in vendita. Sono passati parecchi anni, è ancora lì, molti sono stati gli affittuari, ci stanno per un po’ poi vanno via.

 

Le due ragazze adesso vivono accanto a me e mia madre in una casa trovata per caso a due passi da noi. Adesso Alice dorme serena e i pigiama party li facciamo senza più paura, altrove invece…








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