Rss di IlGiornaleWebScrivi a IlGiornaleWebFai di IlGiornaleWeb la tua home page
Domenica 05 maggio 2024    redazione   newsletter   login
CERCA   In IlGiornaleWeb    In Google
IlGiornaleWeb

RaccontiStefania Castella

CONDIVIDImyspacegooglediggtwitterdelicious invia ad un amicoversione per la stampa

03 Settembre 2016
La colpa di quel tuo mancato amore...
di Stefania Castella



La colpa di quel tuo mancato amore...
G. D un'assassina nel 1946

“L’ho detto, era innocente. Lui non c’entrava niente. Ho fatto tutto io”.

 

Lei, non mi ha mai amata, per questo io non ho mai potuto amare veramente.

 

Quando la puzza della stalla l’ha ingoiata, le sue mani lerce su di lei. Il frutto della colpa, quale colpa? Ero io. Quello che era venuto fuori dall'orrore, da quella triste storia di violenza, ero io. E questo non me lo ha mai perdonato. Cominciava così, con un matrimonio a forza, con la vita che si sposava con la morte, la morte mi ha allevata nel rancore, nello sguardo suo abbassato per non guardare in faccia tutto lo schifo che era stata la sua vita. E poi, io ero brutta la più brutta tra i fratelli. Lei mi considerava quasi scema, ma io scema non sono mai stata. E cattiva come ero diventata, forse non ero mai stata. Cattiva come lei mi ha fatta diventare. In fondo mi han voluta bene in tante a quelle scuole dove andavo a dispetto suo, pure qualche ragazzetto mi faceva il filo. Ma lei no, lei non voleva che la bestia nera che tanto detestava, uscisse dalla tana che le aveva costruito addosso. E io la tana, l’ho buttata giù, e sono uscita fuori allo scoperto, e mi ha odiata ancor di più, e maledetto il giorno che ho sposato quel buon uomo, mi disse: “Nessun figlio ti sopravvivrà”

 

E di figli ne perdetti più di dieci, che la sua maledizione si era impressa a fiamma viva su di me. Quando ho girato in lungo e in largo e mi veniva in sonno, non c’era di lei più traccia in mezzo ai vivi, e allora cominciava col tormento, e mi svegliava quasi in ogni notte. Cercavo fattucchiere che mi potessero levare l’ombra di quel suo sfregio, e forse in mezzo al puzzo e a tante vecchie che di mestiere toglievan le paure, forse qualcuna ci è riuscita, perché sono nate e anche sopravvissute queste mie dolci piccole creature.

 

Lei, era passata dalla terra al fuoco dell’inferno e forse era da lì che ribolliva, e ribolliva così tanto da dare una spallata proprio in mezzo, e quella terra lei, mi fece aprire sotto i piedi. Al terremoto noi scampammo per fortuna, e decidemmo allora di partire, e di cercare fuori un nuovo mondo. Io cominciai a darmi da fare con tutto quello che sapevo fare, giri di carte, filtri e anche fatture, d’amore, devozione e anche di morte, e avevo un gran bel giro di clienti.

 

Cominciavano a girare un po’ di soldi, il salone dei capelli due volte a settimana, le vesti belle che sognavo tanto, i ragazzini a scuola dalle suore. Insomma mi sembrava ci fosse una tregua. Poi all'improvviso è ritornata e gli occhi stretti e rossi dell’infamia mi han tolto ancora come prima,  il sonno. Era arrivato il tempo della guerra e forse il mio figliolo grande… mi prese la paura, sognarla e poi pensare a lui, lei forse pensava di tornare… Chiedeva, lo sentivo, qualcosa in cambio, voleva sangue in cambio del mio sangue, il sangue di qualcuno per salvare lui. E allora mi decisi a farlo. Le voci che sentivo come quando da bambina mi rinchiudeva nella stalla, adesso, avevano una faccia, era la faccia sua. Voleva un sacrificio, e mi decisi a farlo.

 

La prima fu la vecchia, la zitella, che ancora si aspettava il grande amore, la illusi di averlo trovato che doveva portare un po’ di soldi, vendere cose e farsi bella, incontrarlo al più presto e poi sparire per non tirarsi addosso l’invidia delle amiche. “Scrivi scrivi…” le dissi e mentre lei chinava il capo la scure le abbassai in mezzo al cranio.

 

Quel che è successo poi, ve lo posso spiegare, se volete. Ho fatto tutto in fretta, e pure molto bene. A pezzi, un pentolone a ribollir fino al mattino. E al mattino non c’era più la puzza pestilente della morte, ma il dolce odore di caldi biscotti. Nessuno se ne è accorto, nemmeno il mio figliolo, lui, il più grande, alla seconda volta, la testa troppo grande, ho svelta, rifilato in un sacchetto, gli ho detto: “Vai Giusè, buttalo via” ma lui non lo sapeva che cosa c’era dentro, lui. Giuro non c’entrava proprio niente. Ce ne so’ state tre o forse quattro, e c’erano dopo di loro, bellissime candele, saponi profumati di lavanda. Se non era per quel sospetto che mi ha portata in casa i poliziotti, ancora continuavo per placar la rabbia, per mettere a tacere la fattura, di quella mia crudele infame madre.

 

Adesso guardo il mondo dalle sbarre, preparo dei biscotti che nessuno vuole, e faccio un altro giro di tarocchi, dicono che resto per trent'anni, che me ne vado via dopo i settanta. Io credo che però ho già visto troppo, ci credo e poi ho vissuto abbastanza. Se comissa’ gradisse dei biscotti…








  Altre in "Racconti"