Rss di IlGiornaleWebScrivi a IlGiornaleWebFai di IlGiornaleWeb la tua home page
Venerdì 26 aprile 2024    redazione   newsletter   login
CERCA   In IlGiornaleWeb    In Google
IlGiornaleWeb

RaccontiStefania Castella

CONDIVIDImyspacegooglediggtwitterdelicious invia ad un amicoversione per la stampa

22 Luglio 2017
Ricordi. Io e te.
di Stefania Castella


Ricordi. Io e te.

Da dove comincio, comincio da te.  

 

Ricomincio da me.  

 

Un’estate dell’80.  

 

C’era il sole prepotente, entrava dagli infissi di legno scalfito, qualcosa c’era ancora del bianco di un tempo, raggi di sole si infrangevano sulla tua bella faccia. Bella, eri bella coi capelli tirati su, disordinati e nerissimi, disordinati e lucidissimi come i tuoi sguardi, che rapidi mi seguivano ovunque. “Mai messo un filo di trucco” dicevi orgogliosa della tua pelle distesa “Alla mia età…” “E mo’, vieni qua, ti faccio una treccia così sistemiamo questi capelli selvaggi” e ridevi fortissimo. “La faccio partire da qui, dal centro”, le tue mani intrecciavano lente e arrivava leggero il tuo profumo di rose e di muschio, unico vezzo, che arrivava alle narici ad ogni tuo passaggio. Adoravo quel profumo per me era il tuo odore, lo annusavo afferrando con timore la bottiglietta coi rilievi dorati. “Guarda, sei bellissima, mi sembri una bambola”, i tuoi occhi profondi, si accendevano allo specchio mentre guardavi me, come nessuno mi avrebbe guardata mai, come una cosa bella, bella e preziosa. “È perfetta, nonna. Perfetta”. Ho cinque anni corro via, corro in giardino, raggiungo il dondolo che hai costruito da sola, e solo per me, corro via dalle tue braccia, corro via ma mai troppo lontano dai tuoi occhi attentissimi. Non ti chiedo mai niente, non ti chiedo perché siamo sole, perché agli altri toccano mamma e papà e io non me li ricordo, lo saprò solo più avanti che lei è andata via per cercare lavoro per poter mantenere un po’ lei, un po’ me, e mio padre si è dato quando ero solo una cosa minuscola.

 

Per me ci sei tu, e quando una volta ti ho chiesto “Come fai a stare sola, quando io non ci sono? Come si fa a stare soli…” “Io non sono mai sola” hai sorriso e ci ho creduto davvero. Per me ci sei tu, per te ci sono io, e la vita non è stata mai facile, neanche per te, che a trent’anni e una figlia eri già a nascondere lacrime e vestita di nero, come ti avrei vista per tutta la vita. Il giardino risuona di colori, di voci, le nostre, giardino di una casa sgangherata piena zeppa di cose, i miei fogli, i colori, le tue stoffe spaiate, le acchiappavi improvvisa, ne mettevi insieme qualcuna ti sedevi composta, e da quell’aggeggio un po’ strambo veniva fuori qualcosa di bello, qualcosa che poi mi mostravi, e che io avrei indossato, mai messo nient’altro se non le cose che cucivi per me. Bellissimi abiti che ruotavano forte, io sceglievo le stoffe, tu facevi magie. “Quella coi fiori, ne fai un vestito? Per me e per te, uguale”. “Lo sai, non mi va che ti vesti di nero” “E allora prendiamo qualcosa coi fiori che sta bene anche a te…” Così ti ho persuasa, e ho trovato quell’abito a fiorellini leggeri sul letto di casa. I bordi di pizzo bianchissimo ondeggiavano anche su te, ti avevo convinta, ridemmo fortissimo. Ricordi ridevamo. Ho sedici anni. Rido di meno, mi chiudo la porta alle spalle, e tutto mi stringe, la casa, il giardino le tue stoffe dovunque. Mi arrabbio, mi guardi, ti sfido come ogni adolescente che sfida la vita, rispondi tranquilla. “Sono stanca di stare da sola, tu sei sempre a cucire, le mie amiche non riescono a raggiungere questo posto sperduto”. La tua testa, si abbassa. Mi volti le spalle, e la vedo arrivare.

 

I capelli dorati due giorni soltanto, ed è al cancello di casa. “E’ tua madre, è giusto così, se tu torni con lei. Lei ti rivuole con sé”. “Sarà bellissimo vedrai, adesso ho una casa un lavoro. Ritorna con me” Le guardo estranee, non voglio non penso non so cosa fare. Ho sedici anni, e mia madre davanti che non vedo da quando ho imparato a parlare dico soltanto “Resto qui. Qui è casa mia”. “Dici che sei sola…” mi sorride fumando, svanisce la nebbia della sua sigaretta “Io non sono sola” le dico girando la testa. Ricordo ho vent’anni e ruoto negli abiti cuciti per me, quelli che Riccardo mi sfila ogni tanto. Riccardo, non ti piace per niente, a mia madre un pochino di più. “Fa l’avvocato, insomma ha un futuro davanti e…” a me non importa dei soldi, a me piacciono i suoi occhi nerissimi, la bocca che mordo. Mi dice “Perché non mi sposi” e mi sento stordita. Te lo dico nel mezzo di una colazione di pesante silenzio. “Mi ha chiesto di sposarlo, capisci?” Neanche mi guardi “Ma tu non mi ascolti? Che hai…” “Perdonami cara, ho la testa intontita, è che è tornata di nuovo, la signora di cui ti parlai, lei, si sta separando e mi dice che ho poco tempo devo trovare un posto e lasciarle la casa”. Mi sento atterrita, trovare un posto lontano da qui. Ti sento che piangi, vorrei consolarti, non so che pensare. “Mi hai detto di lui, che vorrebbe sposarti, io non so cosa dirti, forse è giusto così, che tu te ne vai proprio adesso che mi danno lo sfratto. Ma non sarebbe meglio tornare da tua madre, a me quel Riccardo non mi convince poi tanto…”

 

Suonano al cancello è un viso di uomo, la testa un po’ bassa “Io sono Viviani, il marito, ex marito, della signora Rossella, io sono così in imbarazzo. Vengo per dirvi che, per questa storia della separazione, io con la sua decisione non c’entro, credetemi”. Mi sembra sincero, ha due occhi bellissimi e le spalle, le spalle larghissime, lo guardo e qualcosa succede, non so bene cosa, ma mi sembra che un peso si appresti a scivolare dal cuore. Ho bisogno di un attimo ancora, di staccare la spina. Ritorno da mia madre, cerco Riccardo vorrei distrazione non risponde al telefono, esco, lo raggiungo a lavoro, mi arriva la voce, dall’uscio socchiuso nessuno mi annuncia mi annuncio da sola, e ascolto “Tanto per noi non cambierà niente” mentre scopa con quella, riprendo i miei passi. Cambierà sì, cambierà eccome. Ho trent’anni. Ho comprato casa, quella un po’ sgangherata, con l’aiuto di mia madre. Ci vivo da sola, lei non c’è più. Quell’uomo dalle spalle larghissime ogni tanto mi chiama “Perché non vieni a stare con me. Che ci fai lì da sola?” ...

 

Io la vedo, tra i fiori le stoffe che ho imparato a cucire, sorrido e mi dondolo tra le cose che ho intorno “Adesso no, e poi non sono sola. Io non sono sola”. Ti sorrido, ti sento, ti parlo come se fossi qui. E no, non sono sola. Io non sono sola.


A Maria.








  Altre in "Racconti"