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03 Giugno 2017
Storia d'Amore
di Stefania Castella



Storia d'Amore
Story of Adele

Corro sento la ghiaia sotto i piedi nudi. Mi ferisce qualcosa, inciampo e corro. Mi incollo al cancello, spingo più forte, stringo più forte, mani serrate cambiano colore, si tingono di rabbia, di sangue che stenta a irrorare, nocche più bianche di indelebile ruggine diventano rossastre. Urlo, strattono, non mi impediranno di uscire da qui. Non mi impediranno di correre via. Come ho sempre fatto, rincorrerò il tempo per stare con te. Mio padre è uno che conta, mi porterà via. Mi porterà fuori. Mi afferrano mani, mi sento tirar via, staccare le ossa, ossa su ossa, trascinata di peso, raccolgo coi piedi taglientissimi schegge. Mi opprime quel bianco sporcato di vita degli altri. Guardali, io non sono così. Hanno sguardi perduti e mani che vagano e tagliano l’aria, chissà cosa ricamano nell’aria ammuffita. Non sono così e me ne andrò via. Vetrate di enormi tristezze incrostate di storie e di muffa, e schifo perenne, non voglio star qui. Non voglio diventare come una che guarda la polvere e scrive pensieri nel vuoto. Urla, infrangono opachi silenzi. E poi, è buio. Non sento più niente. Ora ti vedo. Vedo il viso dell’uomo che ho perso nel mondo. Lo vedo, sei qui, sei venuto per me. Hai ancora lì indosso la camicia che avevi nel torrido caldo che ci fece incontrare. La parata, le voci chiassose e festanti e divise brillanti a rispondere al sole. Che bello, che bello che eri, a sfilare tra gli altri. Che bravo sei stato a sfilarmi tra le altre. Occhi puntati su me, mi ritiravano fuori dal mondo, dal mio stupido futile mondo. C’era solo mio padre, prima di allora, il suo nome pesante, e pesanti drappeggi di vesti ondeggianti, lunghissimi antri broccati di seta. Casa. Gabbia. Volo via. Stringendomi all’uomo che voglio, a lui che mi vuole. Allacciate le mani, dopo gli sguardi, e ancora le gambe e i pensieri e i domani, che non vennero più. “Adele, ti amo”. Ma io non ci ho creduto, ho creduto quando era già tardi Amore, ho sbagliato? O non era più vero che non ci credevi abbastanza anche tu? “Perché?”. Una domanda è rimasta tra noi, a sigillare ogni cosa. Andate e ritorni, la notte fugace non lasciava che amaro. Non bastava ad averti, non bastò per volerti. Che strano l’amore che confonde e poi si chiarisce quando è tutto finito. Ti ho seguito, seguito dovunque, e già non eri più mio. “Ti prego perdonami” “E’ tardi Adele. Ormai è troppo tardi”. Mi guardi distante, le spalle voltate, mi lasci da sola, vestita di stracci spogliata di inutile amore. Ti seguo, ti chiamo, ti avrò nuovamente. Viaggi su viaggi un amore perpetuo che sporca il mio cuore di sguardi di odio, e porte sbattute. “Vai via. Mi sto per sposare” “Mi ammazzo ti ammazzo”. Vacillo e poi svengo. Mi stanca l’amore, mi stanca stanarti, venirti a cercare, mi sento un’inutile straccio che pesa sul cuore, il tuo cuore che adesso stai dando ad un’altra. Cammino le strade che più non percorri e sguardi di scherno mi segnano a dito. Non mi resta più nulla che un amore tradito soltanto da sé. E’ un tempo furioso, un tempo infinito, le navi che portano il tuo amore lontano, a forza mi rialzo ti seguo perpetua. Adesso lo voglio, io voglio il tuo amore. “TI ho dato il mio corpo, e non mi puoi buttare come fossi una cosa ormai vecchia”. La mia lama so che si pianterà nel tuo petto. Mi fermano mi strappano le vesti, il coltello. E’ finita davvero. “Adele è finita”. Adele, Adele, non ricordo è il mio nome, ritorna e svanisce come onda che scivola, e bagna la sabbia. “Mio padre mi porterà via”. “Suo padre, ci ha detto di farla tornare. E dove la portano la potranno curare”. Mio padre, è mio padre che mi ha fatta internare. Mi strozza quell’urlo che non urlerò. Lasciatemi andare, ho bisogno di lui, di stingerlo ancora di avere il perdono del mio unico amore. Adele Qualcosa mi punge sul braccio, mi volto, una lacrima scende alle labbra, mi sembra che sappia di te del veleno amarissimo che è rimasto tra noi. Parigi 1915.








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