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27 Agosto 2016
In Fedeltà
di Stefania Castella



In Fedeltà
un abbraccio da innamorati

Ti ricordi com'eravamo. Ti ricordi? Eravamo felici, eravamo solo semplicemente felici. Eravamo felici, si lo eravamo. Poi ci siamo addormentai e dati le spalle troppe volte. Guardo le tue spalle Giò, quando ti sono venute tutte quelle macchioline? L'ultima volta che siamo stati al mare? Quando ci siamo stesi sulla riva e l'acqua scivolava intorno a noi, così fresca eravamo leggeri. Non volevo perdermi tra le sue braccia. E questo non te lo dirò. Giro e rigiro quel piccolo cerchio che mi ha regalato, luccica tra le mie dita, dorato con una minuscola pietra rosa. È piccolo anche lui. Dolcissimo… Dolcissimo angelo aiutami a ricordare chi ci ha fatto incontrare?

 

Com'è che eri lì in mezzo a tutti quei tromboni, una serata infinita e pesante, di chiacchiere noiose, di labbra rifatte, cravatte più vive di tutte le facce. E poi un momento sembra annebbiato e mi volto, vedo il tuo viso. Le spalle dritte, un sorriso accennato, uno sguardo strettissimo, mi viene da ridere, ridi anche tu, abbasso lo sguardo e sento caldo, troppo caldo devo uscire. “Tesoro esco un po’ fuori, prendo un po’ d’aria." Le mani al grigio della balaustra portano il fresco dalle dita al collo. Arrivi a passi leggeri come il sottofondo di una melodia lieve, come se ti avessi chiamato io. "Piacere Riccardo..." "Piacere Lavinia" “Perché Sei qui” “Perché sono qui?” ... Il convegno, si il libro, si mio marito, il primario il progetto, ma chi se ne frega, nemmeno ascoltiamo. Niente, non contava più niente, non c'era la gente, non c'erano voci, c'era solo la notte, c'eravamo noi due. Lo senti il vento, il vento scompone i capelli, confonde i pensieri. E senza parole non senti il silenzio. E cominci a pensarci anche quando poi andrai.

 

Sorridendo, le luci delle auto accarezzano il viso che brilla di una nuova curiosa allegria. Verde la casa è immersa nel verde, due passi dal mare, è bellissima, l’abbiamo voluta noi due, quando ancora eravamo una coppia, quando stretti nello stesso sudore, sapevamo di mare e non c’era né fame né sete. Era il posto dove ci perdevamo. Ti stringo, ti guardo allo specchio, il tuo viso riflesso, sei un altro. Sei tu, sei l’altro. Sei un altro sudore, altri sospiri, lo sguardo vivo che posi su me, che avevo scordato. Prendimi ancora, dimentico tutto, il rumore del mare, il senso di colpa. Braccia e gambe siamo una cosa sola. E lui non esiste, non più spalle stanche, il suo sguardo ormai arreso, la nostra routine a inghiottirci la vita. “Torni presto? ti prego dimmi che torni” te lo dico sperando che non sia così. Vai via, via da me tornerò a casa, e lui sarà casa.

 

Un flash, quel giorno, il suo bacio distratto, l’odore di dopobarba, un tempo mi piaceva, adesso mi prende una morsa allo stomaco. Saluto con la mano, bagliore lontano alla finestra, l’auto che svolta. Ed io volevo scappare, scappare da te. La valigia, quella grande, infilata sotto il letto. Mentre dico “Ciao, a stasera” E progetto di andare e raggiungo il mare per venire da te e ti dico “Si, gli parlo e poi, poi andiamo via, poi restiamo qui per sempre”. E luccica il tuo viso e luccica il cerchietto tondo leggero, rosato che infili al mio dito. “Non lo posso tenere” “Tienilo al collo o tienilo in tasca, e scivolano le tue dita intorno al mio viso e mi perdo nell'incavo dolce del tuo dolcissimo abbraccio e torno ad essere bambina, ragazzina, torno ad essere donna, una donna viva, una donna che desidera sentirsi donna. “Dio, hai idea del tuo naso perfetto?” E ridiamo più forte, e mi punge la barba. La barba.

 

E ripenso a lui. La sua barba scocciata di domenica mattina, ruvida faccia, ruvida vita ruvida. Ti giuro avrei voluto che fosse stato diverso, ho giurato di amarti per tutta la vita. Poi ho scoperto che esisteva la vita, era da un’altra parte. Ti prego perdonami. Ti sento nel buio nel sonno pesante, la mia mano scivola sopra il tuo corpo e non lo riconosce. Perché ci è successo? So che è successo. So che lo hai visto, ce l’avevo in tasca, l’ho trovato nel bagno nella stupida ciotolina a forma di conchiglia. Ricordo della gita che facemmo l’anno scorso. Mi guardi e so che c’è qualcosa che dovremmo chiarire. Mi guardi, ma hai fretta non potremmo parlarne c’è troppo da fare. E io corro da lui. Il mio bellissimo angelo. Due mesi, due mesi all'indietro di corse e messaggi di tonfi nel cuore, dei capelli scostati sul collo, di baci e sussurri sugli occhi, e braccia che sembrano avere la forza del mondo. “La valigia cosa te ne fai?” Mi cogli all'improvviso non so che dire, ti prego non ora, mi scoppia la testa.

 

Ti prego… “Cercavo solo, mi serviva per mettere via certe cose leggere …” Lo so, non mi credi, mi parli e lo vedo nei gesti che non hai, vedo lui, nelle spalle che non sono tue. Non ti dirò che vado via, non riesco, e poi vedo che hai preso l’anello “Da dove sbuca? E’ carino” “L’ho trovato stamane, per caso, un negozio di cose… sai com'è a volte si trovano certe occasioni...” “sì, si vero. Tra le occasioni, anche certi anellini d’oro si, devi proprio dirmi dove sono questi negozietti, sai le colleghe d’ufficio che follia farebbero per trovarne così…Ma poi non mi hai detto che uscivi. Stamattina. Non mi dici che esci ogni volta che esci e io so che esci. Tutte le mattine” Lo so. Lo sa. “Non capisco che…” “Dimmi, dimmi solo perché. E dimmi se pensi di lasciarmi, perché io non potrei sopportarlo”. Lo vedo sedersi, la testa tra le mani, che fa piange? E mi sembra assurdo, piange, per me… “Ti prego ripensaci” le sue mani mi cercano, mi tengono i polsi, gli occhi verde acqua quelli che amavo, quelli che avevo piantati nel cuore. “Forse dovrei parlarci” mi dice.

 

Ma non voglio pensarci, non voglio sentirlo. Il suo corpo sul mio, per scordare ogni cosa. Dimenticare, dimenticare. “Ti prego non posso io ti amo, ma…” “Sei solo confusa. Solo confusa. Tornerà come prima. Sarà come un tempo. Dammi del tempo”. A letto vicini mi implora, mi stringe, ripenso la vita, così breve così assurda. L’amore che prende, che passa, che chiama. “Sei bella” mi dice, e mi sembra di essere quella di un tempo. Lo vedrò, lo vedrò per l’ultima volta. Giuro per l’ultima volta. Perdiamoci, riconosco il tuo corpo anche senza vederlo, perdoniamoci, tornerò per dirgli “è finita”. Ti voglio, mi vuoi, finirà. Finirà. La strada, la stessa, le scale, la porta, bussare più forte, non rispondi, non apri, non trovo più tracce di te. Riscendo le scale, va bene in fondo doveva finire. Ritorno e mi manca sentirmi leggera tra braccia diverse a scoprirsi di nuovo, il telefono muto e lui, uscito più presto. La valigia sotto il letto l’ho fatta sparire, portata da lui. E forse soltanto per paura che …Per paura di cambiare idea… Ma lui, non sarà andato via? Non avrà deciso proprio lui di lasciarmi? Il telefono, vuoto, niente. Nessuno risponde che strano, nessuno dei due dà un segno di vita.

 

Aspetto e poi pranzo da sola. Le ore pesanti pomeriggio in attesa. Mi sento in trappola, in una bolla di sapone. Vedo il suo sorriso da bambino e mi manca, la segreteria non lascia scampo. Niente. Cerco lui e il telefono rimane in silenzio. Decido di andare. Rifaccio la strada e suono più forte e poi mi decido, una porta un po’ vecchia e qualche spallata, non serve, si apre, mi apre. È lui, è l’uomo che ho sposato una volta. La sua faccia sconvolta macchiata di sangue. Mi tira poi chiude, intorno è un inferno. Mi guardo sospesa, lo cerco tra libri e scaffali caduti e un lunga, lunghissima riga di sangue che porta nel bagno. È lì il mio angelo, dolce bellissimo nudo e immobile, freddissimo e bianco e rosso di sangue che scivola a terra. “L’ho fatto per noi. Non volevo, lo giuro. Aiutami, ti prego”.

 

Mi avvicino, il viso nel vuoto, la bocca socchiusa, sento il respiro. “Respira, cazzo. Respira” È vivo ancora vivo, mi guarda, “Facciamo qualcosa”. Vigliacco mi guarda, che faccio? Non posso. “Che faccio?”. È sconvolto. Gli volto le spalle e stringo quel viso che ho baciato più volte, le mani che legano, la sua forza è labile, troppo, la mia mano sulla bocca, copre il naso ferma l’aria, un momento, le sue dita mi stringono un attimo e basta. Solo un attimo e basta. “La valigia, prendiamo la valigia e…” No, tutto questo, no. Non posso. No. “Mi perdonerai, hai detto -Nel bene e nel male hai detto-” “E adesso, dove…?” “Casa al mare, ci sono decine di tornanti e da uno dei dirupi possiamo”. E’ la mia voce ferma che propone. Non la riconosco. È una forza nuova che non riconosco. … … … “Giovanni, che ci fate da queste parti? Siete tornati?” Un uomo si ferma a due passi. “Passavo di qui e ti ho visto, se vuoi t’aiuto”. Rossi, quel tipo un po’ insulso del piano ammezzato, la villetta vicina alla fine della strada, che non s’impiccia che dei fatti degli altri. “No, no figurati ce la faccio è solo che, sistemavo alla meglio la valigia ingombrante e…”

 

“Capisco” Capisce e speriamo di no. Va via lo vedo dall'auto. Esco, aspettiamo, restiamo in silenzio, il vento, sento quel vento e socchiudo un po’ gli occhi. Ancora un momento, nessuno ci vede, non passa nessuno, lo sento alle spalle, ci vuole una mano, prendiamo, spingiamo, e poi via. La valigia rimbalza più volte, rumori di sterpi, un’eco lontana poi nulla. Mi guarda sconvolto, si avvicina pianissimo e cerca un abbraccio. Lo stringo, respiro il suo odore è paura, e fatica e occhi negli occhi, mi stacco, una spinta, e lui spalanca lo sguardo. Scivola in fretta, rotola veloce, cade con un tonfo. Il vento si ferma, in tasca l’anello lo tasto col dito, lo guardo, lo lancio lontano. Respiro più forte, allargo le braccia l’ho detto una volta “nel bene e nel male”. L’amore fa male, l’amore ti stringe, l’amore ti stritola di abbracci fortissimi. L’amore ti vuole- nel bene e nel male- Non penso più a niente e mi lascio cadere.








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