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13 Agosto 2016
Solo per un attimo
di Stefania Castella



Solo per un attimo
immagine di donna

“La prendi tu un attimo? Vuole stare un pochino con la sua nonna”. Clara ha gli occhi nocciola, occhi enormi spalancati sul mondo piccolissimo intorno a noi. I capelli lucidi lucidi. Glieli pettino piano che si fanno i nodini, e lei mi prende le mani con le manine piccole e io dico “Guarda ora sì che sei in ordine, e puoi portare il piccolo a scuola”. E lei va, fa finta. Io pure faccio finta. Facciamo finta che c’è una mammina felice che porta i bimbi a scuola, che c’è una nonna che culla tra le braccia un piccolino mentre la sua mamma fa la spesa. Certi sogni sono così, piccoli normali ma per qualcuno sono grandi enormi e fanno sentire un po’ di felicità. Cullo il piccolino con la testolina di plastica come una nonna vera, e aspetto che passi un altro giorno. Siamo noi due, e basta,

 

Noi due in questa casa appesa al sogno che c’era un tempo, quella che lui chiamava “La nostra reggia. Una reggia, che vuoi di più?” Forse, te. Te che non c’eri. Te che avevi preso le vite di tutt'e due, portate qui in mezzo al nulla, lontano da tutto e da tutti perché eravamo noi due e nient’altro serviva. Solo che in questo -Noi due- non era contemplata la solitudine di te che esci e torni tardi, di noi che non ci vediamo neanche più, di un figlio che nasce cresce e resta aggrappato alle gambe della sua mamma che non ha nessun altro a cui aggrapparsi. Come la sua mamma del resto. Un matrimonio durato il tempo di spalancare gli occhi sul mondo, poi svanito come niente.

 

Adesso il tempo è andato e due, siamo ancora due ma io e lei, un piccolo cane a farci compagnia, una vicina di casa dalla faccia da attrice con un marito con l’Alzheimer nulla più. La signora si chiama Marisa, ha una testa di capelli che un tempo dovevano essere stati biondi, e belli come il viso appassito. Suona alla mia porta la mattina alle dieci e trenta precise, e la sera alla stessa ora dieci e trenta, dopo il film, per sapere come stiamo. Smetto di lavorare alle traduzioni che mi danno da campare e apro la porta, dico “Tutto bene la pupa dorme, io lavoro” e lei se ne va via tranquilla.

 

Va così da tempo da quando lui se ne è andato. Siamo rimaste qui, qui c’era l’asilo, le amichette, qui una casa “Non la vorrai mica lasciare è così grande e…” E poi una reggia, come si fa a lasciare una reggia. Ci hai speso tanto, l’hai riempita in ogni angolo. Ci hai creduto. E forse hai aspettato, aspettato ogni giorno che tornasse. O che arrivasse qualcuno a mitigare quell'assenza. Ma nessuno della tua famiglia aveva tempo, e poi eravate così lontane…Lì dove di lui è rimasto solo qualche maglione infeltrito in un angolo dell’armadio, un paio di infradito. Niente di più. Un inverno lunghissimo dopo l’altro ha iniziato a piegarmi, lo sento. Inizio a non farcela. Ad avere paura di non farcela. Ad aspettare l’estate, ogni anno l’estate.

 

D’estate è diverso, la mamma, si trasferisce dalla casa in città al mare e noi con lei, praticamente sempre da quando siamo restate sole noi due. Ma sono due anni che non ci riesce, come questa estate, per il lavoro, per il tempo, per lo spazio e facciamo finta che sia giusto così. Il lavoro ancora non finito e il caldo opprimente toglie l’aria in giornate che non finiscono mai. “Tutto bene” dico, tutto bene. “Tanto ci siamo abituate”. E non è vero a stare soli ci si può adattare, ma non ci si abitua mai. Mentre lascio scorrere i pomeriggi di afa cercando di sopportare l’inutilità delle giornate. Giochiamo, a fare finta. Finta di essere al mare, in una vasca piccola per lei e il piccolino di plastica. Finta di essere felici e correre col cane che non sa riportare indietro le cose che gli lanci.

 

Fingere di essere. E intanto sempre di più, penso che questa è l’ultima estate che passerò così. Che mi manca una cosa fondamentale. Vivere. Per questo forse proverò… Sono una persona disordinata ma metodica. Precisa. Ho visto tutto mentre affondavo senza farmi vedere nelle lacrime. Mentre parlavo con il buio delle lucette di questo paesello addormentato in una delle solite serate senz'aria. Ho chiesto una salvezza. E cercato una via d’uscita, vigliacca. Ho visto i miei polsi sanguinare come un’eroina da film romantico e un principe a salvarmi. Forse no, non sarebbe stato un principe magari la signora Marisa avrebbe chiamato l’ambulanza, e il mondo si sarebbe accorto di noi. Della solitudine che corrode.

 

Avrei potuto chiamare lui, un tempo dividevamo casa. Ma Luigi ormai è un ex marito con una ex vita che avrebbe volentieri cancellato. Le volte che viene a trovare Clara, lei quasi non lo riconosce più. E io l’elemosina del divorzio non l’ho mai voluta. Così siamo rimasti sospesi, e lontanissimi. Le case vuote di campagna fanno silenzio tra i rumori della sera, e il giorno il sole scalda o fa finta di scaldare. E siamo noi due, a dividerci la vita. Se io non ci fossi forse sarebbe meglio, forse stare con i nonni sarebbe meglio per te. Pensavo e programmavo magari io sarei venuta con te. Pensavo e progettavo. E quella sera come tutte le sere avrebbe suonato alla porta la Marisa e tutto sarebbe andato meglio.

 

Lei aveva le chiavi di casa così… Ceniamo. Sì ceniamo magari la pizza che ci piace tanto e magari lì in terrazza a guardare il verde scuro della montagna davanti. Le patatine che adoriamo, il friccichio dell’aranciata che fa venire gli starnuti. Guardo le tue guance tonde e penso che ti ho fatta così bella, che mi chiedo come fai ad essere così bella. Mi dici “Sai mamma sembra un po’ una gabbia” E io ti guardo e ingoio l’ultimo pezzetto di pizza. “Cosa? Amore cosa?” “La vita sembra un po’ una gabbia. Dico, che uno dovrebbe un po’ aprirla e volare via” E mentre lo dici guardi il nulla davanti a noi.

 

Sembra di sentire parlare un adulto, che trattiene le sue lacrime “Sai come si aprono le gabbie mamma? Con un abbraccio. CI vogliono gli abbracci e un poco di amore” E mi guardi dritta da quattrenne più grande di me. E io so, adesso lo so, che non è tanto il voler morire o vivere, ma il fatto di essere già morta dentro che mi frega. Prendo le manine le stringo forte e le bacio mentre cerco di non piangere. E penso che no, non doveva essere così. Non dovrebbe essere così per nessuno. E che un’altra estate a guardare il vuoto no, non la posso sopportare. Giochiamo, ci rincorriamo ti prendo, ti stringo forte, ti abbraccio di abbracci che vorrei non finissero mai ingoiando tutto il tuo profumo buono di bambina, di bagnoschiuma che ti piace tanto “Che odora di rose, vero?” Non vorrei lasciarti e non ti lascerò sono intelligente io, lo faccio per te, così verranno a salvarci. TI preparo il biberon, e poi la pappa al cane. Devo far coincidere gli orari. Pappa, cartoni e coccole, poi dormirai. Lei suonerà ed io non aprirò, tu non ti accorgerai di nulla mentre mi verranno a salvare e salveranno tutte due. Non ci saranno scuse, non ci saranno più…

 

Ti metto piano nella culla, sono le dieci e dieci minuti. Tempo di togliere piccole cose dal lavello, sono un’aspirante suicida che non tollera il disordine. Mi concedo una sigaretta, giusto per capire come si usa un bisturi. Non so neanche perché ce l’ho. Lo guardo chiusa in bagno lo giro, lo rigiro e conto i minuti, esattamente alle dieci e trenta la Marisa suonerà, devo calcolare bene, non vorrei sgorgare troppo! Dieci e venticinque, butto l’ennesima cicca nel water, mentre intorno il silenzio incombe, vado, chiudo gli occhi e non ci penso, uno due… sento il calore scivolare e un dolore liscio, pungente si infila nella carne, adrenalina, tempie che pulsano mentre vado anche con l’altro, che non si sa mai, adesso vorrei tenere fermo il tempo e pure i polsi, fermare il lungo rivolo che scivola, cerco un panno un po’ di carta, sono le dieci e trenta… due tre quattro…e non suona nessuno, strano che non suoni …strano che non venga… strano che non

 

… … … … …

 

“Marì. Che ti sei addormentata?”

 

“He che ore so’?”

 

“He so’ le quattro e te dormivi sul divano”

 

“Uh mi so’ pure di scordata di suonare alla Serena. Vabbè domani mattina magari”

 

… … … …

 

“La prendi un attimo? Vuole stare con la sua nonna”. Clara ha gli occhi nocciola, occhi enormi spalancati sul mondo intorno a lei. Adesso è diverso. Il mondo è enorme e non si vede la montagna, scivolano le onde che si vedono dalla finestra è una bella estate.

 

“Nonna?”

 

“Amore, dimmi”

 

“Sai come si aprono le gabbie?”

 

“No, che vuoi dire amore non…”

 

“Con un abbraccio...Nonna?”

 

“Si?”

 

“Com'era la mamma?”

 

… … ….








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