Rss di IlGiornaleWebScrivi a IlGiornaleWebFai di IlGiornaleWeb la tua home page
Martedì 04 novembre 2025    redazione   newsletter   login
CERCA   In IlGiornaleWeb    In Google
IlGiornaleWeb

RaccontiStefania Castella

CONDIVIDImyspacegooglediggtwitterdelicious invia ad un amicoversione per la stampa

14 Maggio 2016
Ã? passato il mio treno.Per colpa, o per fortuna...
di Stefania Castella



Ã? passato il mio treno.Per colpa, o per fortuna...
Sposa in fuga

L’uomo è bello, mai visto un uomo bello così. Sembra dipinto, lo guardo mentre guarda fuori. Cerco di non incrociare il suo sguardo è imbarazzante, penso che sia l’uomo più bello che abbia mai visto. Guarda fuori con gli occhi di ghiaccio trasparenti, gli alberi si rincorrono nell’andare del treno. Si morde un labbro, perfetto, preciso vedo la lingua scorrere su quel morbido rosa, sposto lo sguardo, tremo un secondo, credo di sentire le guance diventare bollenti, per un attimo mi è sembrato mi guardasse. Sono un tipo normale capelli inutili ondulati sulle spalle, occhi nocciola un viso normale, un corpo normale, una vita normale.

 

Scendo giù a Napoli e non è un dettaglio, sposerò Giuliano siamo insieme da sei anni, sei anni di viaggi, spostamenti, amore a distanza, un lavoro normale il suo, gli studi normali i miei, non un soldo per comprare casa, poi lo zio messo bene che lascia la terra e il suo appartamento, così normalmente di punto in bianco, non si è più svegliato e non ha soffiato sulle 96 candeline lasciando a noi il presente. Che culo… Normale, normale decidere che ci si dovesse sposare, tanto la laurea era ormai un dettaglio, tanto l’accademia, per fare l’attrice, non serviva a nessuno e l’ufficio avrebbe sfamato entrambi.

 

Normale, fino al viaggio in treno per raggiungere quella meta. Che era davvero ciò che volevo? Che davvero era la vita che aspettavo? Si, fino a quel momento si, fino a che non sono salita su quel treno e ho visto quegli occhi di fronte concentrati su un pezzetto di carta, un foglio stropicciato che girava e rigirava tra quelle dita lunghe, precise, perfette. Che strano, un colore giallino…

 

“No è paglia, per l’esattezza paglia” risuonava la voce di Giuliano che attraverso la microcamera del Pc, piazzava davanti alla mia faccia indifferente, con orgoglio, le partecipazioni scelte, tra il verde pisello primaverile e il rosa elefante cartoon, avevamo scelto la via di mezzo. Aveva scelto lui, ma certo inevitabilmente. E meno male. A me non facevano troppo effettto. Per un attimo in mezzo al chiarore di quegli occhi stavo dimenticando… Un’ora di viaggio e avevo già le sue mani, che mi scivolavano addosso, via i bottoni, via la camicia, via i pensieri, gli alberi, l’abito pronto, i parenti. Un sì, l’avrei detto adesso, in quel momento. Dettagli. Un sì, che stranezza quanto può valere, quanta differenza.

 

“È quello del film?” Sento una voce profonda leggera, che strano quasi infantile nonostante la profondità. Pulita. Dice a me? Possibile? Credo di non aver capito, lo guardo, mi toglie il respiro. No, avevo sbagliato, gli occhi non sono solo azzurri, hanno delle venature di grigio e di verde, un prisma che non potrei definire, la ruga ferma in mezzo alla fronte, le mie dita ci scorrono intorno, la lingua muove su lobi perfetti quel ciuffo che scivola sulle sopracciglia, lo sposto con le dita e… “Mi scusi?” imbecille non so cosa dire. “Il libro intendevo, è quello del film che è uscito di recente…” Cavolo, sì, il libro. L’avevo azzerato, fermo tra le mani, neanche ricordavo di averlo aperto. “Oh mi scusi non avevo capito. Sì l’ho appena preso e aspetto di vedere il film…”

 

Devo essergli sembrata una mocciosetta, che compra un libro per vedere se il film è più bello e poi commenta con le amiche e ridacchia…E sono un’imbecille. Guarda fuori con la mano sulle labbra. Dio, come può essere vero? “Studia?” Continua, a parlare con me. Non ci credo “Io, io studio sì, cioè studio per fare l’attrice, accademia. In realtà mi sono laureata in sociologia ma…” Ma non mi ascolta, che pensavo? Una domanda retorica, così per dire. Sto tornando a casa per sposarmi, sto mollando l’idea del teatro, della vita che vorrei, sto…sto parlando tra me e me. In un viaggio all’indietro che vorrei non aver iniziato. “Dovrebbe insistere, sa. Ha un viso da attrice. Davvero”. “Sto per sposarmi”  Lo dico. Mi risponde sorridendo, ed è una sorta di smorfia amara, accartoccia il foglio lo infila intasca. “Un matrimonio, che strana la vita… Spero sia felice. Sa, i matrimoni, uniscono. Certe volte dividono”.

 

Lo sarò. Dico ma non a voce. Non veramente. “Possiamo essere felici se ci crediamo veramente. Io ci credevo.” Vedo la piega tra i suoi occhi farsi più profonda, mi guarda oltrepassandomi. “Sa il problema è che certe volte si cresce e si cambia. Si cambia direzione”. Credo che abbia ragione, ma qualunque cosa avesse detto forse avrebbe avuto ragione. “Ci amavamo. Poi, è cambiato tutto. Ci si è messo un matrimonio di mezzo. Ma non il mio, non il nostro.” Oddio cos’è, un messaggero venuto dal cielo per farmi ricredere delle mie scelte? Lo so, guardo troppi telefilm. Si alza, prende la valigetta che aveva a fianco e un soprabito che profuma di lavanderia. Il mio lo butto via, lo lascio in un angolo. Gli lascio un po’ di vantaggio, poi guardo in giro, una vecchia grassoccia, due ragazze assonnate, una madre con pargolo addormentato in braccio. Mi alzo, lo seguo, non si volta, prosegue.

 

Resetto, non penso, decido in un attimo che ovunque lui vada, io vado con lui. A questo punto non so cosa dire, soltanto che, niente mi importa di niente, ci infiliamo nel bagno in un unico spazio minuscolo, il soprabito lo guardo arrotolato come il foglio che aveva tra le mani, guardo il mio viso scomposto allo specchio le mani sui suoi fianchi la mia gonna che scivola, e labbra avvinghiate. Uno nell’altra e non conta più niente. I suoi occhi di ghiaccio mi levano il fiato, lo sento il suo fiato scivolarmi sul collo. Non so più dove sono, mi perdo sotto i colpi del suo corpo perfettissimo anche il sudore è una stilla che sa di meraviglia. Stretti in bilico, toccarsi, stritolarsi, farsi male, un tempo infinito. E qualcuno che bussa.

 

Ci stacchiamo sfatti, distrutti. Ci viene da ridere. “Non so neanche come ti chiami”. E io non so neanche che faccia avrò quando uscirò fuori di qui. Vai tu per primo. E lascia quel foglio cadere per terra. Esce lo raccolgo, lo stiro con le mani mentre mi tiro su la gonna. “…E pensarti con lei, mi fa venire il voltastomaco. Dimmi cosa ci è successo? Io mi fidavo di te…” Certo non poteva che essere un traditore seriale…Non leggo più avanti, butto nel cesso quel pezzo di carta, esco incrociando la vecchia grassotta che mi guarda un po’ ostile, mi urta che a momenti mi lascia per terra. Mi sento scuotere “Signorina, le è caduto il libro” Di fronte preciso, ordinato, lo guardo, non capisco, prendo il libro. “Deve esserle caduto mentre dormiva…” Dormivo. Guardo di fuori, la stazione è vicina. Ha ancora il foglio tra le mani.

 

“Dice che mi lascia, Credevo sarebbe stato per sempre. Anch’io ci credevo. Probabilmente ha vinto lei. È lei che sposerà. Maledetto bastardo”. Comincio a non capire. “Ma, sa una cosa, gli vado a dire un paio di cosette, neanche un foglietto decente ha usato per scrivere 'ste quattro stronzate. Ma come si può lasciare uno e scriverlo sulla propria partecipazione di nozze? E poi un colore giallino così, così merdoso.” Un sogno. Lo guardo stranita. Non so se ridere o mettermi a piangere, vorrei vedere i nomi scritti sul foglio, ma è già lì che guarda di fuori. “Ma guarda un po’ è pure venuto alla stazione, deve aver immaginato”. Non ci credo, non oso guardare, vedo Giuliano seduto pensante, con la solita faccia immersa nel vuoto.

 

Ci siamo. Dal finestrino una donna saluta. Io guardo il mio sogno infranto negli occhi. “Non è detto sa, la vita è piena di sorprese. Magari diceva per dire. Magari non si sposa nemmeno” “Scende anche lei?” Mi dice raccogliendo le cose. “No io, io proseguo. Ho cambiato idea”. Mi guarda stranito, un sorriso di cortesia. Lo guardo, e forse, è stato meglio così, sognare. Decidere. “Comunque. Paglia”, gli dico e si volta. “Come?” “Il foglio, il colore non è giallino, è paglia.” “Paglia, sì? Non ci avevo pensato. Paglia. Che colore merdoso”. Mi viene da ridere. Da ridere forte, mentre aspetto che il treno riparta, e boh, come diceva Rossella, ci penserò domani.

In fondo, domani è un altro giorno…








  Altre in "Racconti"