 | | ricordi |
La foto è sbiadita, azzurrina, c’è una bimba, sorride, allunga la mano per prendere un coltello c’è una torta gigante di panna e piccoli bon bon, e c’è un uomo affianco la tiene vicina, sorride. Hanno lo stesso sorriso lo stesso sguardo, anche se non si vede benissimo, lo so lo ricordo benissimo. Ricordo e il pensiero si mescola, cerca un momento lontanissimo di lunghissime attese. Il rumore di un’auto che non torna mai indietro. “Ci andrai, e sai che è così, che è molto meglio così. Non sai quanto e come, non sai niente, dovresti andarci, punto”. La voce di Marco mio marito determinata e distratta allo stesso tempo, proveniva con distanza ravvicinata da dietro il giornale. Parlava di me, dell’SMS arrivato da poco, parlava di me e dell’uomo che sarei dovuta andare a trovare. In ospedale. “Non so se ci andrò. Ci devo pensare”.
Mi chiamo Rebecca ho quarant'anni sono un’insegnante d’asilo, vivo con Marco abbiamo un figlio adolescente una vita normale, tranquilla. Almeno lo era prima dell’SMS. Lo era nel limbo sospeso in cui infili le persone della vita che sono della tua vita, ma un pochino più in là. C’era una volta il principe azzurro, e non ce n’era di belli così, vi dico com'era. Aveva i capelli che sapevano di buono e giurerei di riflessi lucidissimi, gli occhi chiari un po’ come le pietre luccicanti che trovi certe volte sulla sabbia. Pezzi di vetro in cui guardarsi attraverso. Il viso abbronzato, si lo ricordo, perfetto, non c’è stato mai un principe più bello di così, guardava il mare e sono sicura avrebbe voluto infilarcisi e viverci, lo so da come lo dipingeva. Lo so da come vi si rifletteva. Come me. Vivrei bene sott'acqua.
Mi ha portata al mare e c’era il vento, mi ci ha portata una volta soltanto e quel vento riporta ogni volta la stessa giornata sebbene siano passati più di trent'anni. Le barche, la spiaggia i ricordi di un tempo. E dopo più niente. Nessun principe azzurro sarebbe sembrato così come lui. Ho vagato cercando e non c’era nessun modo per trovarne di uguali. Marco è venuto dal mare, che sì, le folate di acqua di vento e di mare sono scritte nel destino di alcune persone, sapeva di acqua salata, poteva somigliare a quel principe, non ne sono sicura e l’ho messo da parte. Sono stata lontana, lontana anni luce, un pezzo di cuore lasciato da parte. Sospensione nel tempo. “Dovresti venire, è peggiorato non ricorda quasi più nulla. Abbiamo pensato ad una struttura dove farcelo stare. Dovresti venire. Baci”. Freddo freddissimo appello, era quello il ritorno.
C’è un viale alberato, altissimi rami si seguono ai lati, avanzano e sembrano dita feroci che cercano braccia da cogliere al volo, è freddo ma è già primavera, e forse soltanto solo fuori di qui. Panchine disperse tra cespugli incolti, vedo qualche passo, sembrano corpi di zombie, niente vita apparente. Difficile infilarsi tra i sassi bianchicci con i sandali a punta, le caviglie che dondolano, perché diavolo avrò messo 'ste scarpe? Per sembrare più alta, per sembrare perfetta. Non lo sono mai stata, avrei tanto voluto, ma non era questa la parte difficile, la parte difficile era stata spiegare “Dove vai mamma?” la parte difficile sì, era stata rispondere… Saluto una donna, lascio una firma, sorrido, divago, spingo una porta. Odore di pranzo, mi sale la nausea, attraverso un lunghissimo linoleum che finge di essere pulito. C’è un uomo alla finestra che guarda di fuori. Un’immensa vetrata abbracciata al giardino, mi passano accanto figure disfatte. Conto le porte, scorrono numeri. La più piccola in fondo un pochino aperta, un solo lettino, un balcone sfiorato dai rami.
“Devo prendere le compresse?” Non capisco, mi avvicino, c’è un uomo seduto, le spalle piegate a fissare per terra. “No io…” “Devo prendere le compresse, me l’ha detto già prima ma ancora non le ha portate. Credo che aspetterò” Sorrido, si volta, mi guarda, ha il viso bellissimo e lo sguardo disperso. “Non sono un’infermiera, però posso chiamarla…” “No non importa quando viene mio padre glielo dice lui”. Mi siedo vicino, gli guardo le mani, le dita lunghissime… “Hai visto che dita lunghe? Sono mani da pianista queste”. Lo diceva tanto tempo fa e con gli occhi brillanti di orgoglio teneva le mani di bimba tra le sue grandi mani. Lo ricordo che il ricordo mi sembra distante di un giorno. “Suo padre verrà qui?” Gli dico guardandolo. “Mio padre mi porta le medicine e poi andiamo a casa, mi porta le medicine” Si certo che sì. “Lei ha figli?” Le ciglia lunghissime oscurano gli occhi. “Si. Uno, un maschio” ha gli occhi azzurrissimi che raccontano cose che …se solo vedessi… “Io non ho figli mio padre verrà a prendermi”. Si, lo so, ti verrà a prendere, anche se non c’è più da quando avevo dieci anni, certo, verrà e ti stringerà forte. Guardo due occhi che sembrano i miei. Lo stesso sorriso, l’arcata un po’ obliqua delle sopracciglia. Vorrei stringere forte quelle spalle piegate, mi avvicino per farlo e sento un calore lontano, un odore di pelle che un po’ riconosco, chiudo gli occhi e sento scivolare una goccia che bagna le guance. “Piange signorina, aspetta qualcuno, no? Che arriva suo padre e…” Si aspetto, si certo che arrivi mio padre, così ce ne andremo insieme al mare a socchiudere gli occhi col sole che acceca. Mi affaccio al balcone ho bisogno di aria, la stanza ha due porte e al balcone affiancato si affaccia un ragazzo che guarda davanti, ne scorgo il profilo, un profilo chiarissimo mi stringo più indietro non mi faccio vedere. I capelli un po’ mossi, si volta di lato due occhi azzurrissimi un filo che infila ogni cosa al suo posto… “Signorina, aspetta qualcuno? Se vede mio padre gli dica che sto qui che lo aspetto”. Mi avvicino alla fronte, respiro un momento quel viso disperso. Un padre, un fratello, un figlio; distanze, e vite slegate che non posso toccare.
Torno indietro lentissima mi urta una spalla alzo gli occhi e davanti uno specchio, mi guarda negli occhi restiamo in silenzio. Quegli occhi, la bocca, la forma del viso. C’era una volta un principe azzurro, il più bello di tutti aveva accanto la sua bella principessa poi tutto svanì ed ognuno riprese la sua vita di sempre. Restarono vuote le stanze in quel regno, e poi da qualche parte ognuno ebbe il suo posto. E figli e compagni e colori di occhi, accostati e poi forse, diversi di sangue ma legati d’amore ed affetto infinito. La principessa col tempo sposò un nuovo principe, così fece pure quel principe azzurro, vivendo lontano nel suo nuovo regno. Il tempo andò dritto senza voltarsi indietro, e soltanto una voltava la testa a cercare quei pezzi incollati su pezzi. Nessun principe sa, sarà mai come lui.
|