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Cultura - ArteSimona Letizia Ilardo

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14 Gennaio 2015
Marc Chagall: dipingendo la vita.
di Simona Letizia Ilardo



Marc Chagall: dipingendo la vita.
Marc Chagall Soffitto
Opéra Garnier di Parigi

Il modo più diretto per conoscere l’arte e per conoscere un artista è quello di entrarne in contatto, con lo studio, certamente, ma talvolta anche lasciandosi trasportare dalla forza che può trasmettere una mostra o un concerto.

La presenza di ogni forma d’arte nella nostra vita, la nostra capacità di accoglierla nel nostro quotidiano può aiutarci a conoscerla, ad amarla ed a tutelarla come merita.

Parlo di ogni forma d’arte, nessuna esclusa.

 

E’ così che, con una bagaglio di conoscenza poco rilevante e tanta curiosità mi sono immersa nel mondo di Marc Chagall, artista che il secolo scorso lo ha vissuto quasi interamente e che, attingendo alla sua vita come fonte di ispirazione, ci ha lasciato un’opera di inestimabile valore che copre un vasto arco temporale e che svela al mondo, soprattutto attraverso i suoi dipinti, gli avvenimenti del secolo scorso così come vissuti e percepiti dall’artista stesso.

 

Entro alla mostra che ho deciso di visitare con l’idea che Chagall sia solo “il pittore del sogno”, che la sua arte sia catturare la luce e trasformarla in sogno. Ne uscirò con un’idea più completa e molto diversa sebbene non meno romantica.

 

E’ di fondamentale importanza conoscere la sua vita per leggere le sue opere.

 

Studiandone i tratti della biografia impariamo che Marc nasce a Vitebsk (attuale Bielorussia) nel 1887, all’anagrafe è registrato con il nome di Moishe Segal, è ebreo chassidico.

Tre soli elementi ci offrono la chiave di lettura, il punto di osservazione per soggetti molto presenti nella sua opera.

 

Vitebsk è sempre nelle sue memorie, sempre nei suoi ricordi, sempre in lui. Il luogo in cui nasciamo – si sente dire spesso – è quello che lascerà per sempre un’impronta dentro di noi, così sarà per lui.

Chagall ha sempre amato il suo paese natale, con maggiore intensità quando ne è esule.

 

Le favole della tradizione russa sono sempre parte di lui, la sua arte ne è piacevolmente intrisa.

 

Chagall è un uomo ebreo chassidico, cresciuto e formatosi secondo la tradizione ebraica e, sebbene solo in età della maturità diventerà un profondo conoscitore delle sacre scritture, i simboli tradizionali della religione ebraica sono molto spesso presenti nelle sue opere.

Si tratta di quei simboli il cui significato, una volta svelato, offre al “lettore” la possibilità di partecipare ad un piacevole “gioco di interpretazione” della sua opera.

 

Così iniziamo a capire che è l’ebreo errante l’uomo anziano con la barba dipinto di nero, verde o rosso; capiamo che nel suo mondo della tradizione ci sono violini, capre, galli e tanti animali, tutti soggetti che nei suoi quadri hanno un ruolo esplicativo, quasi raccontano il dipinto; capiamo che quando veniamo trasportati in paesaggi solitari ed innevati, non potremmo che essere a Vitebsk, l’unica patria.

 

Contestualizzando storicamente l’artista, impariamo che Marc Chagall, che come ebreo sotto l’impero degli Zar, ha vissuto il periodo della giovinezza in modo travagliato, ma ha anche vissuto lo stesso periodo della vita felice; osservatore, sognatore, favolista.

Sarà questa capacità di guardare il bello che lo farà aprire al mondo ed ai sentimenti.

 

Partecipa attivamente alla Rivoluzione Russa dell’ottobre 1917 ed in seguito alla stessa viene nominato Commissario dell’arte nella regione dello Vitebsk ottenendo finalmente un riconoscimento per la sua arte.

La Rivoluzione e la politica lo deludono e, per la prima volta, è esule.

Si trasferisce a Parigi dove, finalmente, incontra la luce.

 

E’ qui che le sue opere risplendono di colori, di luce, di paesaggi.

Complici della “illuminazione” dei suoi dipinti anche le nuove esperienze in campo artistico che Chagall ha modo di realizzare grazie agli incontri con altri pittori.

E’ il tempo del colore ed è il tempo in cui l’artista pone le basi dello studio di questo strumento che caratterizzerà sempre le sue opere e le renderà riconoscibili come una firma impressa a fuoco.

 

Durante un breve ritorno nel paese di origine sposa l’amore della sua vita, la sua Bella, moglie, compagna anche nelle arti, musa ispiratrice ed ammiratrice della sua opera.

Si trasferiscono a Parigi nel 1923 e Chagall, che sente forte il cambiamento nella sua vita, scrive le sue memorie volendo quasi enfatizzare il momento che vive: indietro non si torna.

 

Con Bella sono gli anni dell’amore.

Sono gli anni delle sue opere più note, più luminose, che più fanno sognare. Sono gli anni in cui gli amanti Marc e Bella volano “Sulla città”, sono gli anni di “Passeggiata” – si badi bene che in entrambi i casi la città sullo sfondo è Vitebsk – sono gli anni colmi della gioia che traspare apertamente in tutte le sue opere.

 

Durante l'occupazione nazista in Francia, nella Seconda guerra mondiale, con la deportazione degli ebrei gli Chagall fuggono da Parigi.

Si nascondono dapprima a Marsiglia e poi, aiutati ed incitati alla partenza da un amico giornalista americano, si spingono verso la Spagna ed il Portogallo.

 

Nel 1941 la famiglia Chagall si stabilisce negli Stati Uniti, dove è sbarcata il 22 giugno, giorno dell'invasione nazista della Russia. Negli anni terribili della guerra, a contatto con l’orrore del Mondo, l’arte di Marc Chagall si ritrova, ancora una volta, a cambiare, rappresentando ciò che l’artista vive.

E’ il tempo della maturità artistica, è il tempo dell’accentuato simbolismo, del dolore portato dal male umano e dall’esilio.

 

A questi dolori nel 1944 si aggiunge il più grande: la morte dell’amatissima Bella.

E’ il buio. E’ chiusura al mondo. E’ puro dolore.

Chagall smette di dipingere per mesi e quando riprende in mano i suoi pennelli lo fa ispirandosi a Bella, oppure affinché la sua opera sia una denuncia degli orrori di ogni guerra, così come lo è “La caduta dell’angelo” opera realizzata in tre diversi periodi (1923 – 1933 – 1947), carica del simbolismo chagalliano che qui esprime tutto il dolore e la tragedia umana di cui sono colme le guerre, una vera apocalisse.

 

Dal 1949 tornano gli anni della gioia ritrovata.

Chagall ritorna in Provenza, conosce ancora l’amore, diventa ancora padre, si sposa e, sebbene i ricordi non lascino mai del tutto la mente del pittore, la sua opera ritrova un nuovo slancio che lo accompagnerà, questa volta, sino alla morte nel 1985.

 

Abbiamo incontrato un artista poliedrico che nella sua vita amò giocare con l’arte dedicandosi alla pittura, alla scrittura, alla realizzazione di scenografie e costumi per il teatro, che fu illustratore delle favole di La Fontaine, che realizzò la superficie del soffitto dell’ Opéra Garnier di Parigi con magnifici pannelli dedicati a 14 compositori ed alle loro opere, che realizzò magiche vetrate per le chiese.

 

Fu un artista che ebbe rapporti con le avanguardie e con altri artisti pur restando estraneo alla loro contaminazione; procedendo sul suo personale percorso di espressione della sua arte che era espressione della sua vita. Tre culture, tre storie, tre civiltà d’immagine in lui; il loro fondersi, questa è la sua arte.

 

Sognatore e amante delle favole fino alla fine, dipingendosi come un “Don Chisciotte” nella sua opera omonima, sembra volerci lasciare un messaggio: nonostante tutto il dolore che la vita possa offrire, nonostante il buio entro cui possiamo trovarci a vagare durante i periodi della nostra esistenza, è sempre bene continuare a pensare che si può lottare contro i mulini a vento.

 

Esco dalla mostra che me lo ha fatto incontrare consapevole di avere “conosciuto” un uomo prima che un artista, un uomo che sapeva rappresentare sogni e favole, ma soprattutto un uomo che sapeva rappresentare i sentimenti, che dipingeva e dava colore alla forza dei sentimenti. Cos’altro se non la gioia dell’innamoramento e l’intensità dell’amore possono darci l’ebbrezza del volo?

 

Fino al 1 febbraio 2015 Marc Chagall è in mostra al Palazzo Reale di Milano.

 

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