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29 Ottobre 2010 The Grand Inquisitor di Gessica Franco Carlevero
The Grand Inquisitor. Essenziale, acuto, provocante. La scenografia è minima, due sedie, lo spazio di una cella, vuota e scura. Sul palco due figure: Cristo e il Grande Inquisitore. L'azione si svolge in Spagna, a Siviglia, nel 1500. Cristo per la seconda volta fa la sua comparsa sulla terra, e per la seconda volta viene condannato dal Sant'Uffizio. L'accusa: aver risvegliato nell'uomo la coscienza del libero arbitrio. Il Cardinale Grande Inquisitore avvolto in un lungo mantello nero incalza "Perché sei venuto a infastidirci? Il libero arbitrio è seducente, ma doloroso. Fosti tu a porre le basi per la rovina del tuo regno. Perché sei venuto a disturbare la nostra opera?". Nei panni del vecchio dagli occhi infossati c'è il grande Bruce Myers. I suoi gesti sono misurati ma energici, la voce un canto, l'interpretazione grave e naturale nello stesso tempo. Al vigore dell'Inquisitore spagnolo si contrappone l'immobile figura di Gesù Cristo, interpretata da Matteo Lorenzi, che siede serafica e silente. Nonostante l'apparente passività dell'interlocutore, il monologo di Myers non è un soliloquio ma uno scontro vivo e feroce. "L'uomo è più vile di quanto tu pensi. Se lo avessi stimato di meno, avresti preteso di meno da lui. Noi abbiamo corretto la tua opera. E gli uomini si sono rallegrati di essere guidati come un gregge. L'uomo cerca chi venerare. Noi convinceremo gli uomini che saranno veramente liberi quando rinunceranno alla libertà in nostro favore. Moriranno quietamente, e dopo la morte non troveranno che morte". Il Grande Inquisitore è impetuoso, violento, ma crede nelle proprie parole, è sincero. Il testo è così forte ed incisivo che il pubblico finisce per sentirsi chiamato in causa e giudicato per la sua viltà. The Grand Inquisitor, straordinario capitolo tratto da I fratelli Karamazov e adattato da Marie Hélène Estienne, esplora il cardine della filosofia di Dostoevskji: il rapporto tra il bene, il male e il libero arbitrio. Davanti al Cristo morente la folla gridava al miracolo, "Scendi dal crocefisso, dimostra che sei veramente il figlio di Dio". Ma proprio nella scelta di morire da uomo, Cristo dona all'umanità la libertà della scelta, la libertà dell'amore. "Non volesti rendere schiavo l'uomo, non scendendo dalla croce - dice il Grande Inquisitore - Ma tu hai scelto idee enigmatiche, al di sopra delle forze dell'uomo". È difficile non sentirsi coinvolti direttamente da parole tanto intense per cui l'umanità appare come massa assopita e strumentalizzata. In questo spettacolo Peter Brook, attraverso la semplicità del gesto e della composizione, riesce a dare massimo risalto al contenuto. Ancora una volta il grande maestro inglese dà mostra dell'eccezionale abilità nel coniugare linguaggio scenico, testo e significato. Le due figure in scena si scontrano dialetticamente come su un ring. Il Grande Inquisitore non cessa di colpire e Gesù Cristo, impassibile, incassa i colpi senza mai cadere. Al contrario, quando il vecchio pronuncia la sentenza: "Domani ti farò bruciare", il prigioniero finalmente si alza, si avvicina, e lo bacia delicatamente sulle labbra pallide. La sua unica risposta. L'Inquisitore dunque lo invita ad andarsene, e non tornare più. Il vecchio poi rimane solo nella cella scura, "Il bacio gli brucia il cuore, ma persiste nella sua idea". Lo spettacolo, inserito nella quinta edizione di Parole d'Artista, residenza Multidisciplinare del Teatro di Dioniso presso il Teatro Alfieri di Asti, avvalora un cartellone di per sé di alta qualità. The Grand Inquisitor è un lavoro importante in cui per 50 minuti la semplicità si coniuga perfettamente con un'intensa forza emotiva. "In un'epoca in cui le dicotomie che hanno retto il mondo per mezzo secolo si sono dileguate, - sostiene il regista - forse l'atteggiamento migliore è quello espresso dal Cristo di Dostoevskij, basato sull'azione, l'esperienza diretta, non la discussione. E l'esperienza diretta è proprio ciò che il teatro può offrire".
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