Questo spettacolo è un esempio di come il teatro sappia ancora essere vitale e affascinante, di come riesca ancora a divertire, emozionare, commuovere e sorprendere. Quattro atti profani riunisce i drammi torinesi di Antonio Tarantino, Stabat Mater, Passione secondo Giovanni, Vespro della Beata Vergine e Lustrini. Quadri distinti e indipendenti ma legati allo stesso tempo. Storie e umori differenti accomunati dal mondo che rappresentano, quello degli emarginati, dei balordi che faticano a tirare avanti. La scenografia si mostra come una crocifissione contemporanea ai margini della società, una periferia desolata, abbandonata, dove i pali della luce richiamano le croci e sopra vi è inciso INPS. Una scena fissa per i quattro quadri che si susseguono mostrando personaggi tormentati, disperati, che vivono di certezze fumose e improbabili. In Stabat Mater c’è Maria Croce, una donna che si vende, ma con vitalità. Aspetta Giovanni, l’uomo sposato da cui ha avuto un figlio, ma Giovanni non arriva. Lei chiama, "Giovanni, Giovanni", e intanto il figlio ha imparato a leggere ed è scomparso, forse arrestato per questioni politiche. "L’intelligenza ai poveri non ci fa bene" dice Maria Sole. Valter Malosti, al centro della Passione secondo Giovanni, interpreta un malato di mente sopraffatto dai sensi di colpa, isolato. Piccoli desideri e grandi paure riempiono la sua giornata, vuole continuamente un calicino, una MS, vuole essere visitato dal medico, vuole essere redento, assolto. "Padre Priore, io sono il re dei mat. Fammi provare le cure nuove che ti curano con le parole". "Padre Priore c’ho colpa? Né che non c’ho colpa?". Il tono si alza in Vespro della Beata Vergine dove un padre viene a sapere del suicidio del figlio, un ragazzo che vestiva da donna e batteva. Qui la lingua si eleva, si fa quasi sublime, come se fossero le parole ad agire sull’uomo, come se il Verbo facesse la sua intromissione, come se l’aldilà non fosse che Parola. E poi torna il mondo dei postriboli, degli scali ferroviari, il vagabondare in cerca di un riparo, per una bottiglia di vino buono, per il lusso di godersi, almeno un attimo, la bella vita. È il mondo di Lustrini, delle panchine, dei sacchetti di nylon per mano. E Mariano Pirrello dà una commuovente interpretazione di quel folle, ubriaco, sensibile e anche poeta, Lustrini. Al suo fianco Cavagna, compagno di bevute, ma anche di vita, forse, uomo rozzo, sboccato, ladro, primitivo e sgarbato ma che giunge a dire "Se hai coscienza, al mondo ti impiccano". La voce di ogni personaggio è unica, personale, quella di Tarantino è una lingua straordinariamente vera, e cruda. È la lingua dei disgraziati, lo slang degli sbandati, il repertorio di chi vive al margine della società, ma che vive, eccome, in un mondo parallelo, nascosto, indaffarato a trovare una sigaretta, un posto dove dormire, un motivo per tirare avanti.
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