Come un cerimoniale, un rito oscuro, "Le centaure et l’animal" pare una funzione profana. L’inaugurazione dell’edizione 2011 di Torinodanza con lo spettacolo di Bartabas assume i connotati di un’iniziazione, l’ingresso in una realtà aliena.
I ministri del sortilegio sono Bartabas, fondatore del teatro equestre, e Ko Murobushi, maestro del butô giapponese.
I due si alternano sulla scena eseguendo ciascuno le proprie funzioni.
Da una parte l’incontro uomo cavallo genera figure fantastiche, chimeriche. La parte superiore della silhouette è lieve, ondeggia leggera tra stoffe e veli che di volta in volta mutano connotati. La parte sottostante, al contrario, è ancorata alla terra, robusta, ritmica, scandita dal movimento degli zoccoli dei cavalli. La fusione di Bartabas con i cavalli è una fusione tra l’etereo e il terreno, incontro tra la propensione all’alto, all’indefinito e le radici, la materialità dello zoccolo che pesta la polvere. "Un cavallo e un angelo che formano lo stesso corpo".
Apparentemente un richiamo alla danza butô, secondo l’interpretazione di Miruboshi.
Per il danzatore giapponese, infatti, bu è lo stesso ideogramma contenuto nel termine Kabuki che significa ballare o muoversi elegantemente, riferito principalmente alla parte superiore del corpo; tô significa calpestare e indica essenzialmente il movimento dei piedi. Dunque, il butô potrebbe definirsi il prodotto del dialogo intimo tra movimento delle mani e quello dei piedi, tra calma e violenza.
Murobushi, dal canto suo, compie una serie di gesti che mutano con l’andare del tempo, a partire da situazioni di costrizione verso momenti di liberazione e elevazione.
Inizialmente nodoso, teso, curvo su se stesso, via via si scioglie dagli impedimenti umani e rimane nudo, fascio di muscoli d’argento. Sulle prime un personaggio di Edvard Munch, sopraffatto pesantemente dalla forza di gravità che lo piega, via via si trasforma in figura ultraterrena, astratta, virtuale.
Bartabas e Miruboshi non si incontrano mai apertamente sulla scena, non vi è tra i due un contatto diretto, ciascuno porta avanti il proprio percorso. Trait d’union sono le parole di Lautréamont, i suoi canti surreali, misteriosi, che narrano dell’incontro dell’uomo con se stesso e tutte le allucinazioni che ne possono derivare.
"Le parole che esprimono il male sono destinate ad assumere un significato di utilità. Le idee migliorano. Il senso delle parole vi partecipa".
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