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Cultura - SocietàNicoletta Novara

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24 Dicembre 2012
Auguri di Natale dall'Afghanistan
di Nicoletta Novara


Auguri di Natale dall'AfghanistanValerio De Leo, torinese di Nichelino, saluta la famiglia e gli amici dalla base di Herat Il caporal maggiore Valerio De Leo, 26 anni, passerà il Natale ad Herat nella base di "Camp Arena". Dopo l'intensa esperienza nella fob di Bakwa, l'avamposto più pericoloso di tutto l'Afghanistan, il giovane torinese ha deciso di prolungare il servizio fino a marzo 2013. Mentre saluta i suoi compagni di plotone che si stanno preparando per il rientro in patria, De Leo, ha deciso di raccontarci il suo Afghanistan.
Iniziamo con le presentazioni.
«Sono il caporal maggiore Valerio De Leo e ho 26 anni. Sono di Torino, o meglio, di Nichelino che è il mio paese. Appartengo al 2° Reggimento Alpini di Cuneo, sono inquadrato nel plotone esploratori e ho avuto la fortuna di partecipare alla missione di Bakwa nel sud - ovest dell'Afghanistan. Ho anche lavorato molto con il nostro comandante di battaglione in qualità di radiofonista. Questo vuol dire che ho avuto la possibilità di vedere lo svolgere di moltissime azioni e di scoprire, ad un livello superiore al mio, com'è che viene effettuata una pattuglia o un qualunque tipo di attività in questo teatro»
Parliamo di Bakwa
«Bakwa è una fob molto lontana da Herat dove non ci sono agi. Non nascondo che finché non arrivavano i nostri bauli abbiamo contato gli strappi di carta igienica perché una base acanzata come Bakwa poteva essere rifornita solo tramite elicottero. E' difficile vivere in certe situazioni, ma ci siamo adattati con il poco che avevamo e siamo riusciti a svolgere tutte le nostre attività portando un graduale miglioramento nelle condizioni di vita della popolazione locale».
Come passavate i pochi momenti liberi?
«Ricordo i pochi momenti di svago che ho avuto con il mio plotone e con gli amici che pian piano si creano. Penso alle serate in compagnia passate a chiacchierare o i film visti sul computer tutti quanti insieme. E' un'esperienza che unisce molto con i propri colleghi, si conoscono aspetti della personalità che sono diversi, sono cose che secondo me non si possono scoprire in un lavoro che dura solo 8 ore al giorno. Noi a Bakwa lavoravamo 24 ore su 24, sette giorni su sette. Eravamo sempre a lavoro, sempre in servizio e quindi vivendo a così stretto contatto con i propri colleghi si crea un rapporto che è unico»
Puoi raccontarci uno di questi momenti di svago?
«Una cosa che mi ha molto colpito è stata la festa di Halloween. Avevamo una compagnia di soldati americani e per loro questa festa è molto sentita. La sera del 31 ottobre mentre noi ci siamo presentati a cena, a mensa, come sempre in mimetica con la nostra arma al seguito a un certo punto abbiamo visto entrare un sosia di Elvis, qualcuno con il cappello da cow-boy e un diavolo! Insomma è stato un momento divertente, nella fob basta poco e ci si ricollega per un attimo con il mondo»
E il momento più difficile?
«Il momento più critico è stato sicuramente il 25 ottobre quando siamo stati coinvolti in un conflitto, abbiamo ricevuto del fuoco da parte di alcuni infiltrati talebani nell'Ana (le forse armate afghane ndr) e anche da altri insurgent. Lì purtroppo sono stati colpiti 4 colleghi e poi un ragazzo che era anche un amico, Tiziano Chierotti, è poi morto. Purtroppo in quelle situazioni è tutto diverso da come te l'aspetti. Fortunatamente però entra in gioco l'addestramento e tutto quello che sai fare. Almeno per quanto mi riguarda, ma penso per molti altri ragazzi, ci si distacca un attimo e si fa solo quello che si è in grado di fare. Io sono radiofonista e il mio ruolo era appunto quello di contattare i comandi e di trasmettere gli ordini che ricevevo alle altre unità. Fortunatamente si riesce a non pensare subito al fatto che un tuo amico è stato colpito, si rimane freddi o almeno più freddi di quello che uno può immaginare e si fa il proprio lavoro quello per cui siamo addestrati. Solo dopo pensi al fatto che un tuo amico, un ragazzo, non tornerà più a casa e pensi a tutto quello che è successo»
Voi avete lavorato assieme all'esercito afghano, puoi farcene una descrizione?
«L'esercito afghano, per quel che ho potuto vedere, è molto vario perché ci sono degli avamposti afghani dove loro non hanno un cambio per sette mesi, per otto mesi, dove non so bene se vengano pagati puntualmente o no, ma tanto sono dispersi in mezzo al nulla e ci si fa un'idea di quella che è la realtà locale. L'Afghanistan è un misto di etnie molto vario e l'esercito afghano, secondo me, rispecchia questa eterogeneità della popolazione. Abbiamo conosciuto molti soldati, molti poliziotti, abbiamo lavorato insieme con le forze locali ed è stata un'esperienza forte perché non sempre i nostri standard o il nostro modo di vedere le forze armate è rispecchiato in loro. Molti avamposti afghani sono tagliati fuori, non hanno la connessione radio, cosa che per noi è impensabile. Bisogna sempre essere in contatto radio con il tuo comando. Hanno a disposizione vecchi mezzi americani o comunque occidentali, vecchie mimetiche e armamento europeo, per quel poco che posso aver visto io. Il nostro compito è anche quello di interfacciarci con loro o comunque lavorare insieme sperando di trasmettere il nostro modus operandi. E' vero che è un esercito giovane quindi bisogna vedere se diventerà professionale come il nostro esercito italiano»
C'è qualcosa che vorresti dire a chi sta a casa?
«Purtroppo è capitato che qualche amico o conoscente mi chiedesse cosa facciamo noi qua. La missione in Afghanistan secondo me è varia e ci sono molti ruoli. Di sicuro non dirigiamo il traffico come una volta mi è capitato di sentir chiedere. In Afghanistan si spara, in Afghanistan si salta in aria, ci sono tante tante mine improvvisate soprattutto nella nostra zona che è la zona più colpita da questi ordigni improvvisati. Io stesso con i miei colleghi, i miei amici, siamo stati coinvolti in varie situazioni diciamo critiche e mi piacerebbe che in Italia si sapesse quello che succede perché può anche essere un argomento che magari non fa alzare lo share, però è importante per noi che in Italia sappiano quello che succede qua, quello che facciamo noi, tutto quello che vediamo, tutto quello che passiamo. Ecco questa è una cosa importante»
Vuoi mandare i tuoi auguri di Natale a casa?
«Purtroppo passerò il Natale lontano da casa, lontano da Torino che è la mia città e io l'adoro. Non potrò fare shopping sotto i portici come al solito e quindi spero di poter ritrovare tutti i miei amici al ritorno e fare shopping lo stesso e festeggiare con loro. Faccio gli auguri alla famiglia e agli amici che ogni tanto riesco a sentire su skype».
 

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