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Cultura - SocietàGiorgia Piombo

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28 Gennaio 2016
La vita... è bella!
di Giorgia Piombo


La vita... è bella!

“Sorridi, senza una ragione  

Ama, come se fossi un bambino”  

 

Queste le parole iniziali di una delle colonne sonore più significative ed emozionanti di sempre. Una melodia che segna la vittoria dell’innocenza sul male.  

 

La colonna sonora della speranza, della liberazione, della fine di quell’orrore, non degno di esser chiamato vita.  

 

La fine del “gioco”, direbbe Benigni, di quel maledetto “gioco” che segnò molti innocenti e giusti, che mai si sarebbero meritati un trattamento simile. Un trattamento non da esseri umani all’interno di quel campo di lavoro ove la ricompensa sembrava solamente essere la camera a gas.  

 

Fa sorridere pensare a come il grande Roberto Benigni abbia voluto interpretare la realtà della guerra in un film che vinse ben tre premi Oscar, anche se più che un film rappresenta un inno alla vita.

 

Un film in cui le scene comiche sono le più drammatiche, le più commoventi. Uno specchio paradossale di quella oscura realtà che riuscì, grazie all'indiscussa bravura dialettica del protagonista, ad essere nascosta ad un bimbo di soli sei anni, trasformando quella terribile situazione in un gioco: “In premio ci saranno 1000 punti e il primo classificato vincerà un carro armato vero...".

 

Una denuncia tanto originale quanto forte, un atto estremo di non accettazione della follia nazista, preferendo renderla marginale anziché rimarcare le atrocità. 

Ed ecco che sul finire del lungometraggio il carro armato arriva per davvero, ed era guidato dagli americani. "Abbiamo vinto!", questo l'urlo di quel finale intriso di poesia e delicatezza in cui Giosuè, il giovane bambino recluso, si ricongiunge alla madre, anch'essa sopravvissuta allo sterminio.

 

Era il 27 gennaio 1945 quando le forze alleate riuscirono ad aprire le spinose porte del più vasto campo di concentramento mai esistito, quello polacco di Auschwitz, riconosciuto all'unanimità come il più efficiente centro di sterminio della Germania nazista. 

Auschwitz, nell'immaginario collettivo, rappresenta il simbolo universale del lager, una vera e propria fabbrica della morte. Oltre allo scempio, rimane impressa la scritta apposta sopra il cancello: "Arbeit macht frei", ovvero "il lavoro rende liberi", una sorta di sogno irrealizzabile.

Auschwitz non fu l'unico centro di morte nazista e neppure il primo ad essere liberato, dato che i sovietici avevano già precedentemente sgombrato alcuni campi minori, come quelli di Chelmno e Belzec. Ma il fatto che questi ultimi fossero campi di sterminio e non di concentramento, furono salvate solo le vite di alcuni eletti, dato che i deportati venivano immediatamente asfissiati con il gas.

Ecco perché l'ONU ha scelto proprio la data del 27 gennaio come "giorno della memoria",con l'intento di commemorare le vittime del nazismo, dell'olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. Perché per molti tale data rappresenta la fine del terrore, per altri il risveglio da un tragico incubo e per altri ancora l'inizio di una nuova vita. Ma per tutti questo deve essere il giorno della speranza, affinché non si abbiano più a ripetere tali atrocità. E credo che mai, come in questa occasione, il detto "la speranza è l'ultima a morire" possa trovare conferme.

 

« Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no. »

Primo Levi - Se questo è un uomo. 

 


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