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In un mondo che ormai ha poca fiducia nella politica, molti scordano che la parola “politica” in effetti vuol dire "la scienza del popolo". Il vocabolario dell’Enciclopedia Treccani la definisce come “La scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica.”. In parole povere, la vita di ciascuno di noi e come veniamo rappresentati.
Pensiamo che la politica rifletta la realtà della nostra vita breve invece che lo sviluppo a lungo termine delle filosofie e i programmi politici. Così, non ci rendiamo conto che la politica cambia sempre perché i cambi vengono con i decenni.
Ho pensato a questo mentre leggevo un articolo del New York Times di lunedì nel quale un esponente del Partito Repubblicano si lamentava della direzione presa dal partito in seguito alla nomination di Donald Trump come il candidato ufficiale per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti contro il candidato democratico, Hillary Clinton.
In particolare l’autore dell’articolo si sentiva a disagio per come Trump avesse attirato al partito un grande numero di supporters con idee xenofobe ed estremiste. Questa è una confessione che tradisce un cambio enorme del partito nel corso degli anni. A dir il vero l’autore considerava questo cambio di direzione un tradimento degli ideali che il partito aveva difeso per due secoli.
Per capire meglio questo senso di smarrimento e di tradimento bisogna sapere che il Partito Repubblicano era il partito politico di Abraham Lincoln, considerato il più grande Presidente della Storia degli Stati Uniti, nonché colui che liberò gli schiavi durante la Guerra di Secessione proprio da coloro che ora sventolano la bandiera della supremazia razziale.
In quell'epoca era il Partito Democratico che teneva le linee che ora identifichiamo con i repubblicani. Infatti fu solo in seguito alla breve presidenza di John Fitzgerald Kennedy che iniziò la fase attiva da parte del governo federale per i diritti degli Afroamericani per cui la gente cominciò a percepire i democratici come i paladini dei diritti civili e i repubblicani come i rappresentanti dei privilegiati.
Però non dobbiamo pensare che questi cambi di rotta politica si limitino solo ai partiti americani. Leggendo le cronache politiche internazionali vediamo che in ogni democrazia importante i partiti tradizionali stentano a contenere i disagi dei loro elettori e in molti casi cambiano i programmi politici per riflettere i timori di una parte della popolazione.
Abbiamo visto la prova più lampante di questa reazione nei partiti durante la campagna per il referendum britannico se rimanere nell'Unione Europea che ha preso il nome di “Brexit”. Era ovvio che il Primo Ministro Cameron non credeva all'esito finale, come nemmeno i più ottimisti dei partiti che veramente volevano l’uscita del Regno Unito dalla comunità europea, e ora vediamo un paese comportarsi in modo insolitamente scombussolato mentre prima regolarmente dimostrava solo freddezza e decisione nei suoi rapporti esteri.
Ora vediamo questo, paese dopo paese, con partiti minori che mettono in difficoltà i partiti maggiori perché sono diventati portavoce di timori di minoranze che finora hanno avuto poco impatto sul mondo politico di ciascun paese.
Persino l’Australia considerata un paese passivo con una politica prevedibile e noiosa, almeno paragonata a paesi come l’Italia e Francia, si trova da oltre un lustro con un parlamento incapace di prendere decisioni importanti perché il Senato pieno di partiti minori vede bloccare il passaggio di proposte di legge importanti per imporre la volontà dei propri elettori.
Peggio ancora il Partito Liberale, ora al governo in coalizione con i Nazionagrari, e il Partito Laburista in opposizione si trovano in grande difficoltà perché i capi parlamentari hanno imposto cambi nei programmi dei partiti per il timore di perdere voti, anche se molti di questi cambi effettivamente sono considerati tradimenti degli ideali fondamentali dei due partiti dai tesserati di lungo termine.
Tutto questo è il risultato della delusione crescente della popolazione verso i suoi politici. Per molti questa delusione è naturale e degna punizione di una classe troppo spesso vista e descritta con la parola “Casta” come utilizzata dai giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo nel loro libro celebre in Italia.
Però, queste insofferenze verso la politica non hanno portato benefici ai vari paesi. Anzi, nel rendere più difficile ai governi di poter esercitare le loro responsabilità e di costringere l’uso sempre più frequente di compromessi parlamentari per poter far approvare leggi fondamentali, a partire dalle varie finanziarie, i parlamenti nazionali non fanno altro che creare ancora più problemi per il sistema amministrativo di ciascun paese e di conseguenza creare ancora più protesta nella popolazione.
Nessun sistema politico è perfetto e nessuna costituzione nazionale è così perfetta che non possa subire cambi, come vediamo dalle regolari modifiche alla Costituzione americana nel corso della Storia di quel paese. Ogni sistema governativo moderno contiene i mezzi di poter cambiare quegli aspetti che non funzionano ed è giusto che sia così. Ma quel che troppo spesso vediamo in giro per il mondo non è dibattito politico ragionato e calmo, bensì cambi veloci e spesso inefficaci perché sono il risultato di decisioni affrettate in seguito a proteste popolari.
Nessun sistema potrà mai funzionare senza cambiamenti, ma allo stesso tempo nessun sistema potrà mai funzionare bene se le decisioni sono prese in fretta, con eterni compromessi per garantire il passaggio parlamentare e senza considerare gli effetti a lungo termine.
Come cittadini dobbiamo capire che il risultato di agire in fretta, e solo in seguito a proteste, non giova al paese, ma a interessi estremisti, di ogni genere, politici e religiosi in primis. Dobbiamo renderci conto che nessun disegno di legge potrebbe mai accontentare tutti e che ogni compromesso rischia solo di aumentare il numero di elettori arrabbiati invece di accontentare piccole minoranze.
Ogni elettore ha gli stessi diritti e gli stessi doveri, come ogni parlamentare ha il dovere di ascoltare tutto il suo elettorato, ma alla fine è il parlamentare che deve prendere la decisione finale, pubblicamente e in parlamento.
Fin troppo spesso la rabbia degli elettori è giustificata, ma noi elettori dobbiamo anche chiederci se davvero protestare ogni volta contro tutte le proposte di legge perché sono contro interessi personali faccia bene al paese. Non è una domanda comoda, ma è da affrontare con il coraggio di chi vuole il bene del paese invece degli interessi personali che abbiamo visto vincere sempre più negli ultimi anni.
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