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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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24 Maggio 2016
La lotta eterna del paese
di Gianni Pezzano



La lotta eterna del paese
i cinque rioni di Faenza

Chi viene a Faenza in questi giorni troverà un centro storico decorato con gli stendardi dei rioni che delineano i confini di quattro dei cinque rioni che fanno parte del Palio del Niballo che si terrà il prossimo 26 giugno. Dunque il centro è diviso in quattro e ciascun rione prende il nome dal loro colore, il Rosso, il Nero, il Verde e il Giallo. Però, come succede spesso in molte città italiane, soprattutto quelle risalenti a molto prima del medioevo, il quinto rione non si considera parte della città storica.

 

Fuori delle antiche mura della città della ceramica si trova il Borgo che fino a due anni fa durante il periodo del Palio si chiamava il Rione Bianco, ma ora ha ripreso il suo nome storico, il Borgo Durbecco. In questo modo ha reso ufficiale la propria identità indipendente. Infatti, molti borghigiani non dicono che vanno “in centro” quando vogliono andare al mercato o a fare la spesa, bensì dicono di “andare a Faenza” e nel corso del Palio, come anche le altre manifestazioni legate ai rioni questo atteggiamento indipendentista è motivo di una rivalità spietata tra il Borgo e i rioni cittadini, in modo particolare con il Rosso e il Nero.

 

L’astio tra il Borgo e i concittadini non è nuovo e fu l’origine di un incidente molto particolare nella città all'epoca papalina. Nel 1824 il Cardinale Rivarola, governatore della Romagna per lo Stato Pontificio, cercò un rimedio alla violenza tra i faentini anticlericali (i cosiddetti sanfedisti) e i borghigiani papali (i cosiddetti papaloni). Perciò decise di sposare dodici faentini con dodici borghigiani, scrivendo persino la musica della cerimonia nuziale. Come descrive Salvatore Balzola nel sito www.historiafaentina.it l’iniziativa del Cardinale non finì bene e sentiamo ancora in questa città gli echi degli scontri secolari durante il Palio.

 

Ma dobbiamo riconoscere che le rivalità faentine non sono niente in  paragone a quelle tra le contrade di Siena e altre città italiane che riflettono una Storia italiana segnata da scontri tra uno o più gruppi che hanno macchiato il nostro paese con sangue e fuoco sin da prima dell’epoca romana.

 

Basterebbe leggere qualsiasi libro scolastico di storia della nostra penisola  per vedere le guerre degli etruschi, le lotte tra Orazi e Curiazi, come anche tra monarchici e repubblicani nella Roma antica, per proseguire poi alle lotte micidiali tra Guelfi e Ghibellini che ispirarono la Divina Commedia di Dante e che continueranno poi fino ai nostri giorni.

 

Da questi conflitti tragici e divisivi nacque un detto tanto famoso quanto triste perché spiega in poche parole l’incapacità nazionale di sapere agire in modo unitario e decisivo. Attribuito a Guicciardini, “Con Franza o con Spagna perché se magna” dice in otto parole il motivo per cui l’Italia non riesce ancora oggi a creare una vera identità nazionale.

 

Non solo ci ostiniamo a pensare ai nostri affari personali prima di quelli del paese, ma siamo così ossessionati dal nostro nemico in casa che siamo pronti a fare accordi con stranieri pur di bloccare il nostro rivale domestico. In questo modo, in quasi ogni decennio di ogni secolo della nostra Storia scopriamo che il nostro amico nuovo è peggio ancora del nostro nemico della porta accanto. Peggio ancora, non ci limitiamo solo al campo politico, ma lo facciamo persino nei campi sportivi e non semplicemente nelle tifoserie calcistiche. Sarebbe facile dire la Juventus contro tutte la altre società di calcio, ma in quel modo scordiamo come per anni l’Italia sportiva era divisa tra chi faceva il tifo per Bartali o Coppi, oppure Saronni e Moser tre decenni dopo.

 

Sarebbe bello se questo “tifare contro” si limitasse solo alle gare domestiche, ma siamo cosi convinti dei difetti dei nostri rivali che siamo pronti a festeggiare sconfitte internazionali di squadre italiane. Non scorderò mai la notte del 1998 durante una vacanza in Italia quando non dormii dopo la sconfitta della mia Juventus contro il Real Madrid in Champions League, non per la sconfitta di per sè, ma per i clienti del bar fuori la finestra della mia stanza da letto che festeggiarono la sconfitta fino alle ore piccole.

 

L’Italia non è l’unico paese che ha accenti e modi di parlare che cambiano da regione a regione e da città a città. Una della cose belle di girare il paese è di sentire frasi e parole nuove, ma continuiamo a identificarci con queste origini e non con il nostro paese. Però, nessuna città italiana è come New York negli Stati Uniti che ha cinque accenti molto diversi uno dall'altro, come anche Londra in Inghilterra che ha accenti particolari secondo la zona, il più famoso dei quali è il “Cockney” di una zona molto ristretta della città e difficilissimo da capire per i non inglesi. Ma queste differenze tendono a sparire all'estero quando i connazionali si trovano insieme. L’identità nazionale prende il sopravvento e nessuno di loro metterebbe in imbarazzo un connazionale con uno straniero come spesso accade tra italiani all'estero.

 

Scrivo queste parole con molta tristezza e ancora più rammarico perché in molte occasioni in iniziative comunitarie tra gruppi italiani in Australia la comunità italiana non è stata capace di sfruttare la nostra grandezza demografica per ottenere diritti e servizi che la nostra popolazione avrebbe meritato. Spesso dopo un tentativo fallito abbiamo saputo che il motivo del rifiuto di una richiesta era dovuto proprio all'intervento di rivali italiani che non volevano perdere la loro posizione all'interno della comunità locale.

 

Per questo motivo la Storia del nostro paese si ripete fin troppo spesso, sia in politica che in organizzazioni internazionali, non riusciamo a trovare candidati o proposte che dovrebbero favorire il nostro paese. È una disgrazia per un paese che tanto ha dato all'Europa, soprattutto nelle istituzioni internazionali nate dopo l’ultima guerra mondiale perché alcuni dei nostri politici più saggi avevano riconosciuto il bisogno di strutture sopranazionali per evitare guerre nel futuro.

 

Nessuno sognerebbe mai di proporre di abolire rivalità interne, non sarebbe normale e infatti esistono in ogni paese. Però dobbiamo cominciare a chiederci per quanto tempo dobbiamo continuare ad esportare le nostre rivalità domestiche sui vari palchi internazionali perché non facciamo male ai nostri rivali internazionali in qualsiasi campo, ma facciamo il danno a noi stessi perdendo troppo spesso occasioni importanti sia per il prestigio del nostro paese, che per la nostra capacità di dare al Bel Paese un posto che la nostra Storia, la nostra Cultura e i nostri grandi personaggi di talento potrebbero dare a tutto il mondo.

 

 

 

 

 








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