Rss di IlGiornaleWebScrivi a IlGiornaleWebFai di IlGiornaleWeb la tua home page
Mercoledì 05 novembre 2025    redazione   newsletter   login
CERCA   In IlGiornaleWeb    In Google
IlGiornaleWeb

Cultura - SocietàGianni Pezzano

CONDIVIDImyspacegooglediggtwitterdelicious invia ad un amicoversione per la stampa

14 Maggio 2016
Le tristi e crudeli realtà
di Gianni Pezzano



Le tristi e crudeli realtà
Al Capone

Mentre crescevo in Australia la nascente industria televisiva locale già cominciava a importare programmi polizieschi americani sin dalle prime trasmissioni e, inevitabilmente, una grande parte di questi programmi aveva come antagonisti, e dunque i “cattivi”, personaggi italiani. Egualmente inevitabilmente il giorno dopo a scuola noi figli di italiani eravamo soggetti a ironie e scherzi di cattivo gusto da parte dei nostri coetanei per le nostre origini “criminali”.

 

Allo stesso tempo e per almeno due decenni, in seguito a reati commessi da immigrati in generale e soprattutto da italiani, le prime pagine riflettevano la natura della “criminalità straniera” e in seguito a reati simili da parte di criminali autoctoni la stessa notizia non otteneva mai lo stesso rilievo. Gli editori dei giornali ignoravano il fatto che la maggior parte degli immigrati non aveva mai commesso reati, ma era un bersaglio facile perché non era capace di rispondere. Anche la polizia ci metteva la sua cercando sospetti di origini  generalmente “italiane”, “slave”, “asiatiche” e cosi via. Peggio ancora gli editori sapevano che i nomi stranieri aiutavano a vendere giornali in un periodo, non del tutto sparito purtroppo, che sospettava i nuovi arrivati nel paese.

 

Con il tempo questo trattamento è scomparso, inizialmente perché fin troppo spesso le descrizioni così generali limitavano le indagini e si rischiava di non catturare i veri colpevoli, spesso criminali australiani. Poi, la decisione in Australia e altri paesi come gli Stati Uniti di proibire l’uso del “racial profiling”, cioè di identificare i ricercati con segni etnici non era dovuta solo a questi aspetti puramente tecnici, ma da una realizzazione fondamentale.

 

Trattare tutti dello stesso gruppo etnico secondo il comportamento di alcuni individui, sempre una piccola minoranza  di ogni gruppo di immigrati, creava un pericolo per la società stessa. Trattare individui secondo  luoghi comuni, stereotipi e leggende non sempre urbane creava le condizioni per il razzismo e le discriminazioni che di conseguenza portavano alla marginalizzazione di interi settori della popolazione con grossi rischi, come vediamo dai foreign fighters dell’ISIL che sono in maggioranza figli emarginati di immigrati e, un dettaglio particolare ancora non capito del tutto, non sempre di origine musulmana.

 

Ancora oggi  negli avvisi della polizia e nei giornali e notiziari televisivi di questi paesi si cerca di stare attenti di non trattare sospetti per via delle loro etnie. Purtroppo non sempre con successo come vediamo con il numero di morti tra la popolazione di colore negli Stati Uniti.

 

Nel caso australiano la presa in giro degli italiani per i nostri criminali nascondeva il fatto che anche quel paese aveva un passato di criminalità organizzata dove “Squizzey” Taylor a Sydney era un noto gangster durante gli anni trenta e la città di Melbourne aveva una banda criminale conosciuta come i “Toecutters” per la sua usanza di tagliare gli alluci dai piedi delle loro vittime. Senza scordare che ancora oggi un quasi eroe nazionale del paese è Ned Kelly, un bandito irlandese dell’ottocento ucciso in una sparatoria con la polizia della colonia che diventerà poi l’attuale stato di Victoria.

 

Ma parlando di questi fatti in modo razionale a freddo non deve trarre in inganno e nascondere una realtà che per noi italiani è triste e crudele allo stesso tempo. Per quanto abbiamo avuto e abbiamo ancora una grande tradizione di emigrati che hanno dato contributi enormi ai loro nuovi paesi di residenza, non possiamo e non dobbiamo scordare che abbiamo anche esportato una criminalità organizzata in tutti questi paesi. Non è un caso che nei polizieschi americani certi nomi come Al Capone e Frank Nitti appaiono regolarmente, come ci vuole poco per identificare  esattamente i nomi veri del film “Il Padrino”, a cominciare proprio da don Vito Corleone.

 

Un caso del genere si trova proprio a Melbourne in Australia che è stata teatro di guerre sanguinose tra bande di origini italiane e che ha persino ispirato una serie televisiva, “Underbelly” che non ha nemmeno cambiato i nomi dei protagonisti perché i fatti erano noti e confermati dai tribunali.

 

Infatti, molti di questi gruppi mantenevano e mantengono stretti contatti con bande in Italia dopo decenni e generazioni. A Melbourne qualche mese fa un noto avvocato italo-australiano di seconda generazione è stato assassinato davanti a un suo locale per motivi di successione di potere all'interno di un gruppo. Non intendo dare rilievo al nome e individui, non meritano essere ricordati, ma sarebbe facile confermare queste notizie da chi ne abbia qualche dubbio.

 

Un’altra triste e crudele realtà è che i criminali esistono in ogni comunità e sarebbe impossibile identificarli tutti e dunque di poter avere la certezza che in qualsiasi gruppo entrato in un paese non ci sia un criminale, oppure un terrorista.

 

Però, non dobbiamo commettere l’errore di guardare con sfiducia ogni persona dei gruppi immigrati, è proprio questo comportamento che crea gli scontri di culture che tutti temono. Il razzismo inizia quando non giudichiamo il nostro prossimo nuovo in base a quel che fa o non fa, ma secondo quel che avrebbe fatto un suo connazionale. Il vero razzismo inizia quando ci ostiniamo a credere che le fonti dei nostri problemi siano dovute agli “altri” e non a causa delle nostre azioni o a qualche nostra inadeguatezza.

Questa è la terza crudele realtà che molti non vogliono affrontare quando parlano degli stranieri che si trovano ora al nostro fianco ogni giorno a lavoro, sui mezzi di trasporto e al mercato. Il razzismo non è la misura del comportamento dell’immigrato. Anzi, è proprio l’opposto, il razzismo e i suoi atti di discriminazione sono il metro per giudicare chi li commette.

 

Disgraziatamente è natura umana cercare di dare la colpa agli altri per i nostri sbagli, oppure per qualche nostra inadeguatezza. Purtroppo gli immigrati sono un bersaglio facile da colpire perché non hanno i mezzi e le capacità di poter rispondere in modo giusto, particolarmente nei primi anni nel nuovo paese.

 

Ma questo non deve scoraggiare chi teme per il futuro. Di nuovo siamo proprio noi italiani a dimostrare con le nostre azioni all'estero che è possibile superare la diffidenza e la discriminazione, con il lavoro, con la padronanza della lingua locale e dunque di sapere comunicare con il nostro prossimo per far capire la realtà più importante che alcuni non vogliono capire.

 

Il luogo di nascita, il colore della pelle e la religione non cambiano la natura fondamentale dell’essere umano. In tutti gli aspetti più intimi e importanti, siamo tutti uguali.

 

 








  Altre in "Società"