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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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08 Aprile 2016
Le feste che dividono
di Gianni Pezzano


Le feste che dividono

Per molti le feste nazionali sono viste come occasioni di gite e giornate libere da impegni di lavoro o di scuola invece di quel che dovrebbero essere, giornate di ricordo di avvenimenti storici che hanno formato il nostro paese attuale.  

 

Sono anche le giornate che ci fanno capire profondamente che la Storia non solo è crudele e piena di sangue, ma anche che nessuna Storia potrebbe mai essere dipinta solo in bianco e nero e spesso la retorica dei discorsi fatti durante le cerimonie evita di parlare di controversie che non sono mai sparite del tutto. Per questo a volte le feste non diventano occasione di unità nazionale, ma spesso di dibattito aspro su quel che veramente è successo nel passato del nostro paese.

Questo è il caso di molti paesi, ma per questo articolo mi limito a tre paesi che hanno feste nazionali contestate per vari motivi legati agli avvenimenti commemorati: l’Australia, gli Stati Uniti e la nostra Italia. Nel caso del continente australe e gli Stati Uniti le controversie sono strettamente legate alle motivazioni per le feste e nel caso del Bel Paese alla natura della festa nazionale stessa.

Il 26 gennaio è Australia Day, il giorno in cui il paese festeggia l’arrivo nel 1788 della Prima Flotta inglese nel luogo che diventerà la città di Sydney e dunque l’inizio della colonizzazione britannica del paese. Negli Stati Uniti il secondo lunedì di ottobre è l’occasione del Columbus Day, una festa fortemente legata alla comunità italiana del paese, per festeggiare la scoperta del Nuovo Mondo da parte del navigatore genoano in nome del regno di Spagna.

 

In entrambi i paesi le feste sono diventate pomi di discordia perché questi avvenimenti sono considerati da molti non occasioni pacifiche, bensì invasioni europee vere e proprie dei rispettivi continenti che hanno distrutto le popolazioni locali.

 

Nel caso australiano la Corte Suprema ha dichiarato che il concetto di “Terra nullius”, cioè la base giuridica del paese che diceva che il continente non era popolato al momento dell’arrivo dei colonizzatori, effettivamente riconosce il possesso legale del territorio agli indigeni e il governo ha dovuto ricompensare i superstiti per la perdita dei terreni. È stata proprio questa decisione a mettere in campo il dibattito a livello nazionale che tuttora divide profondamente il paese, anche dopo le scuse ufficiali del governo Rudd nel 2008 agli aborigeni per il torto fatto a loro dall'arrivo della Prima Flotta e nel corso della Storia del paese.

 

Negli Stati Uniti e anche in altri paesi delle Americhe il dibattito è molto simile al caso australiano perché i colonizzatori europei commisero atrocità nel corso dei secoli verso le  popolazioni indigene dei due continenti delle Americhe. Intere civiltà furono distrutte nel corso della colonizzazione e i discendenti degli indigeni ora chiedono riconoscimento per gli orrori perpetrati in molti paesi.

 

Siamo cresciuti con i film dei cowboys americani che lo dimostrano chiaramente, ma un film particolarmente caro a noi italiani per via della musica di Ennio Morricone, The Mission, del regista Roland Joffé, dimostra meglio di tutti quel che successe in Sud America. Ora in alcuni paesi esiste il movimento per rimuovere il nome di Columbus e di istituire giornate in memoria delle popolazioni indigene e di ricordare e commemorare gli orrori del passato.

 

Nel caso dell’Italia il giorno che divide è il 25 aprile, cioè il Giorno della Liberazione. È una giornata dove molti cittadini hanno ancora ricordi diretti degli avvenimenti e la natura del conflitto rese ancora più tragica e controversa l’occasione, in parole povere la Liberazione era anche un periodo di guerra civile per il paese, la categoria di guerra più spietata perché divide famiglie e amicizie e spesso conosciamo personalmente i nostri avversari.

Già in questi giorni noto post sui social media che trattano il tema e naturalmente il nodo centrale è il ruolo e le attività di certi gruppi di partigiani, come anche gli atti di rappresaglia contro esponenti e simpatizzanti di un lato o dell’altro di quel conflitto orrendo.

 

Per questo motivo nel 1946 Palmiro Togliatti, il ministro della Giustizia, decise di istituire un’amnistia per entrambi le parti per reati in tempo di guerra. In teoria quella decisione doveva essere un passo verso la pacificazione del paese. Disgraziatamente l’amnistia ebbe l’effetto di non mettere alla luce del sole gli atti, buoni e cattivi, di entrambe le parti e di indicare i responsabili dei reati commessi nel nome del paese.

Quindi la decisione non accontentò nessuno perché nessuno fu costretto a rispondere per i reati ed entrambe le parti indicano orrori commessi dall'altra, senza dover rispondere per i propri reati. Purtroppo, questo tema regolarmente fa ancora parte del nostro dibattito nazionale perché, almeno ufficialmente, non esistono colpevoli per i morti, solo i parenti delle innumerevoli vittime.

 

Abbiamo visto come i processi di Norimberga costrinsero i tedeschi ad affrontare direttamente le loro responsabilità per i crimini del governo nazista e dunque poter davvero formare la base per una Germania nuova ancora più forte economicamente della Germania nazista. Allo stesso modo la grandezza di Nelson Mandela in Sud Africa dopo la fine dell’Apartheid fu di istituire la Commissione della Verità per mettere alla luce del sole i responsabili degli atti di terrore compiuti sia dal governo che dalle forze di opposizione che non risparmiò nemmeno  la sua propria ex moglie che ordinò rappresaglie orribili.

 

Purtroppo abbiamo pagato e continuiamo a pagare un prezzo amaro del rifiuto di Togliatti di istituire i processi per i reati dell’epoca di quella guerra fratricida. Verità dimostrate in tribunale avrebbero risparmiato il solito caso di puntare il dito contro altri senza ammettere i propri reati che vediamo spesso in questo paese e non solo in occasione del 25 aprile.

 

Un paese ha l’obbligo di guardare avanti, ma per poterlo fare deve riconoscere quel che è successo nel passato e farsi carico delle responsabilità per quel che ha portato il paese al giorno d’oggi. In Australia, negli Stati Uniti e in Italia questo non è ancora successo del tutto e per questo motivo certe commemorazioni non uniscono il paese, ma diventano occasione per mettere sale su ferite che non sono chiuse del tutto.

 

Come sempre nella vita l’onestà personale e/o nazionale deve essere il primo passo verso un futuro unito. Nessuno può cambiare il passato, ma è altrettanto vero che possiamo cambiare il futuro e possiamo farlo soltanto riconoscendo gli errori  del passato.

 








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