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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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29 Marzo 2016
Vivere in due mondi
di Gianni Pezzano


Vivere in due mondi

Come la maggior parte degli italiani in Australia, in generale, i miei genitori rispettavano la legge. Però, almeno una volta all'anno eludevano una legge, come molti nostri amici,  e c’erano altri amici che ne eludevano un’altra. Mi ricordo questo in questi giorni mentre vedo le foto di amici in Australia su Facebook.

 

Il primo caso è la stagione del vino e alcuni di loro ancora fanno il vino che bevono religiosamente a tavola, sia in famiglia che quando vengono ospiti a cena. Questo è il primo periodo di due avvenimenti importanti per la nostra vita da famiglia italiana e come noi quasi tutti i nostri amici e conoscenti.

 

Per mio padre e mio zio che abitava con noi la cena non si faceva mai se non accompagnata dal vino che avevano fatto loro, sempre rosso e forte. Un weekend all'anno era dedicato a prendere l’uva, a volte raccolta da noi tutti, poi si seguivano tutte le procedure in garage e la casa veniva riempita  dal profumo del mosto fresco. Mia madre poi prendeva una o due pentolate del mosto per ridurlo e creare il mosto cotto che era l’ingrediente più importante di alcuni suoi dolci, soprattutto quelli natalizi.

 

La produzione del vino per uso domestico non era contro la legge australiana, ma la produzione di grappa si e questo lo facevano sempre i nostri amici e vicini di casa veneti e friulani che persino ci chiedevano la nostra vinaccia per produrre la loro grappa in tale quantità che spesso ne vendevano una parte. In compenso loro ce ne davano un paio di bottiglie per il nostro contributo alla loro produzione.

 

Solo anni dopo ho capito che questo non era permesso dalla legge, ma per quanto poteva sembrare banale la nostra seconda tradizione che ha luogo circa due mesi dopo il vino è un’infrazione ancora più seria della legge australiana.

 

A maggio facevamo il maiale che ci impegnava per una settimana intera e questa tradizione scombussolava la nostra casa ancora di più di quella del vino, a partire dall'odore della carne e degli insaccati appesi che mio fratello odiava. Benché illecita, era di gran lunga  la tradizione più diffusa tra gli italiani e malgrado il fatto che molti degli immigrati originali non sono più in vita, molte famiglie ancora la continuano oggigiorno.

 

Negli anni sessanta, settanta e ottanta se facevi un giro nelle zone degli italiani in tutte le città australiane nel mese di maggio e vedevi più di una macchina davanti a una casa potevi essere sicuro che in quella casa facevano il maiale. Ogni famiglia aveva la sua specialità, chi la soppressata, chi il capocollo e cosi via. Naturalmente ogni famiglia faceva anche le salsicce, ma ognuno a suo modo, chi con vino, chi con spezie e chi con o senza peperoncino. Era un’usanza severamente proibita dalla legge, ma questo  non ci impediva di seguirla ogni anno.

 

Anche in questo i nostri vicini veneti ci mettevano il loro tocco imprenditoriale. Loro, insieme ai cognati facevano almeno tre o quattro maiali, a volte di più per vendere una parte della produzione per poter coprire il costo di quel che loro tenevano per uso domestico. A mia madre andava bene perché lei prendeva il sangue dei  loro maiali per fare il sanguinaccio in più modi.

 

In alcuni casi queste tradizioni sono state l’inizio di imprese importanti di insaccati e vini che ora esportano i loro prodotti. Però, non cambia il fatto che spesso non erano usanze permesse dalla legge.

 

Penso a questo quando sento parlare degli immigrati ora in Italia e i commenti di alcuni sul fatto che  mantengono le loro tradizioni e che alcuni macellano agnelli e capre in casa. Confesso che anche noi abbiamo macellato capretti in casa ed era il motivo per cui per anni non ho più mangiato carne di capretto, almeno volontariamente fino al giorno che scoprii che la carne che mangiavo con tanto gusto non era agnello come pensavo, ma capretto e non avevo più motivo di rifiutarlo.

 

In casa gli immigrati parlano le loro lingue, come noi italiani all'estero. Perciò dico che gli immigrati vivono in due mondi.

 

Fino alla loro morte non ho mai parlato in inglese con i miei genitori, ma esclusivamente in italiano ed è giusto che sia così. Non solo in casa, ma anche fuori casa, persino sui mezzi pubblici con mia madre quando andavamo a fare la spesa, malgrado qualche sguardo storto da parte di altri passeggeri e un commento di tanto in tanto che dovevamo parlare inglese in Australia. Commenti ai quali facevo sempre orecchio da mercante.

 

Lo stesso vale per i nostri doveri religiosi che seguivamo con messe in italiano, di solito celebrate da preti italiani o maltesi dai francescani o gli scalabriniani, però a volte da preti australiani che parlavano la nostra lingua. Poi, oltre ai doveri domenicali andavamo spesso a feste religiose italiane, quasi sempre dedicate a una della Madonne onorate da comunità particolari, come quella di Montevergine o del Carmine particolarmente seguite dalla forte comunità campana ad Adelaide.

 

Le tradizioni e le lingue sono quel che ci separano da altri e non sarebbe giusto dire ad emigranti di abbandonarle. Infatti, trovo strano come molti di quelli che parlano bene di come gli italiani all'estero abbiano mantenuto le loro tradizioni italiane siano gli stessi che insistono che gli immigrati qui dovrebbero abbandonare le loro tradizioni.

 

L’integrazione non è semplicemente cambiare vestiti da un momento all'altro, come pretende l’assimilazione. L’integrazione è una strada a due sensi dove entrambi le parti devono rispettare le tradizioni dei loro vicini. In quei casi dove ci sono tradizioni chiaramente impossibili da accettare, come certe usanze africane che sono culturali e non religiose come molti pensano e che ora sono contestate persino nei paesi di origine, enti governativi devono lavorare con le varie comunità per trovare il modo di aiutarli con il cambio di usanze. Ma dove le tradizioni non rompono le leggi italiane dovremmo avere l’obbligo e la civiltà di rispettare le loro usanze, come loro hanno lo stesso obbligo nei nostri riguardi.

 

Non è sempre facile e ho conosciuto italiani che disprezzavano le usanze australiane, ma i benefici per il futuro del paese sono enormi, come vediamo nei paesi come l’Australia che hanno saputo integrare le varie comunità. Non lasciamo che alcuni critici vocali creino discordia, come vediamo spesso, ma accettiamo i nostri vicini nuovi come la maggior parte degli australiani hanno accettato i nostri amici e parenti. Abbiamo solo da guadagnare e niente da perdere.

 








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