 | | il ragù alla bolognese |
Siamo un popolo che litiga su qualsiasi soggetto, il calcio, i programmi televisivi, la politica, ma c’è un soggetto che ci fa litigare più di qualsiasi altro, la cucina. Ci mettiamo a litigare sugli ingredienti, le spezie da utilizzare e le ricette precise, Siamo tutti d’accordo solo su una cosa, che la nostra cucina è la migliore del mondo e per questo motivo l’abbiamo esportata in tutto il mondo. Ma è davvero così?
Chiunque abbia viaggiato fuori dal nostro paese sa che i piatti che trova spesso non sono quelli che ci aspetteremmo dalla cucina italiana. Troviamo pasta scotta, quantità di salse in un piatto che in Italia basterebbero per una famiglia intera e ingredienti che non si trovano in Italia.
Queste scoperte ci fanno apprezzare due aspetti fondamentali della nostra cucina che spesso sottovalutiamo. Il primo è ovviamente la qualità dei nostri ingredienti. La bistecca a Firenze è straordinaria non solo per la cottura, ma soprattutto per l’animale specifico dal quale prendiamo la carne e lo stesso vale per un piatto soltanto apparentmente semplice, la pizza margherita in tutta la sua gloria con la mozzarella di bufala che nessuno fuori del nostro paese è riuscito a replicare. Il secondo aspetto della nostra cucina è la diversità incredibile di modi di cucinare piatti e che cambia non solo da regione a regione, ma da paesino a paesino.
Basterebbe vedere cosa troviamo se mettissimo a cucinare una salsa che si chiama “ragù”. Utilizzo la parola “salsa” con cautela perché non ho dubbi che molti considerano il loro ragù molto di più di una semplice salsa...
Sarebbe facile per uno straniero pensare che questa parola comprende una salsa specifica, ma sappiamo che non è così. Ovviamente il più famoso nel mondo è quello “bolognese”, però se mettiamo insieme emiliani e romagnoli sarebbe facile iniziare un dibattito acceso su come farlo, dalla miscela di carne, a se mettere o no mortadella o carne di salsiccia, quali spezie e persino se utilizzare vino rosso o vino bianco per sfumarlo. Senza scordare la ricetta registrata al Comune di Bologna che dice di aggiungere il latte durante la cottura. Poi, se andiamo in altre regioni d’Italia vediamo ragù con pezzi di carne intera, non solo bovina e/o suina, ma anche pollo e altre carni.
Tutte queste ricette hanno in comune tempi di cottura lunghissimi. Infatti Eduardo de Filippo utilizza proprio questa cottura lunghissima, nel suo caso una notte intera, come parte integrale della sua celebre commedia teatrale “Sabato, domenica e lunedì”.
Poi, per confondere la situazione ancora di più, i nomi e tipi di pasta e piatti cambiano con la stessa regolarità man, mano che viaggiamo intorno per il paese. La semplice “zeppola” ha mille forme e tipi, dolci e salate, con e senza acciughe e variazioni personali.
Tutto questo crea una cucina italiana ricchissima di tradizioni e di gusti, perciò sarà mai possibile dire esportare una cucina puramente italiana all’estero?
Putroppo, malgrado la buona volontà dei nostri ristoratori in giro per il mondo e quei turisti italiani che sognano poter mangiare i loro piatti preferiti in locali italiani all’estero, la risposta deve essere per forza che non è sempre possibile.
In quei casi dove è possibile trovare ingredienti, come carni, pesci e formaggi simili ai nostri, i loro gusti sono diversi per la natura dei prodotti, dei pascoli, l’acqua e anche le razze di animali. Per i formaggi il discorso diventa ancora più complicato per certi formaggi e salumi. Il caso della mozzarella soprannominata abbiamo avuto le prove da tentativi americani di replicare la produzione delle mozzarelle di bufala campane che l’esito non ha lo stesso gusto del prodotto italiano. Un risultato non soprendente e per questo motivo ogni giorno aerei trasportano mozzarelle campane in altri paesi per clienti che possono permettersi il lusso. E qui si aggiunge l’altro aspetto che cambia alcuni aspetti della nostra cucina all’estero.
Regole di igiene e prodotti alimentari cambiano da paese a paese e dunque il prodotto che viene esportato in altri paesi deve essere necessariamente diverso dal prodotto italiano originale. Questo ovviamente ha un effetto importante sui formaggi, ma ha effetto anche in altri prodotti come gli insaccati.
Per questo motivi tanti ristoratori devono considerare ingredienti locali che si adattano bene a ricette italiane e creano fusioni culinarie buonissime, ma che non possiamo certamente definire interamente italiane.
Poi, una considerazione fondamentale è quello dei gusti dei clienti. Noi italiani siamo cresciuti nelle nostre tradizioni di come si mangia, delle combinazioni di ingredienti e anche come vengono presentati e mangiati i piatti. I clienti all’estero, la stragrande maggioranza dei clienti dei locali italiani all’estero, non hanno le stesse tradizioni e quindi i ristoratori devono modificare di nuovo le loro ricette. Per dare un esempio specifico di prodotto italiano modificato per l’estero, la ricetta della Nutella cambia da paese a paese in base ai gusti dei clienti in ciascun paese.
Questi cambiamenti alla cucina vanno dai tempi di cottura della pasta, spesso scotta per i gusti italiani, all’esclusione di prodotti suini in Israele e paese musulmani, come anche le quantità di salse e le porzioni da servire. Chi va nei paesi anglosassoni scopre che i clienti hanno la scelta tra due misure di primi, l’entré più piccolo per chi vuole fare più di una portata e il primo piatto “intero” per chi vuole mangiare solo pasta. Un’usanza che devo ammettere non è necessariamente sbagliata.
Per questi motivi sarebbe difficile istituire una certificazione d.o.c. per la cucina italiana all’estero come il governo giapponese intende fare con la loro cucina, soprattutto sushi e sashimi. Per gli stessi motivi turisti italiani che intendono mangiare in locali italiani durante un viaggio devono capire che non possono aspettarsi gli stessi piatti che mangerebbero a casa.
Come la nostra Cultura, la cucina è una gloria del nostro paese, ma sarebbe sbagliato pensare che sia possibile esportarla all’estero in un modo identico dal prodotto italiano. Però questo non cambia l’importanza economica e culturale della crescita dei ristoranti italiani all’estero.
L’esportazione di prodotti alimentari italiani all’estero dà un contributo importantissimo alla nostra economia e crea un grandissimo numero di posti di lavoro. Poi, dobbiamo essere fieri che i migliori cuochi del mondo prendono ispirazione delle nostre ricette e prodotti. Non è proprio un caso che molti di loro lavorano in Italia all’inizio della loro carriera per imparare meglio l’Arte della cucina.
Siamo realisti nelle nostre aspettative quando andiamo all’estero. I nostri piatti cambiano da locale a locale e da famiglia a famiglia. Come possiamo mai aspettare e pretendere che non cambino all’estero?
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