 Ogni decisione della nostra vita porta con sé un prezzo. Spesso pensiamo di saperlo, però la vita spesso ci regala delle sorprese e per gli emigrati il prezzo è particolarmente alto e lo capiamo solo quando è ormai troppo tardi.
A Natale siamo andati al paese della mia compagna in Calabria e come di consueto siamo andati al cimitero per onorare i suoi defunti. Durante quelle due visite si notavano molto le tombe ricoperte di fiori e corone, ma si notavano molto di più quelle tombe senza un fiore ed era ovvio che non poche erano in quello stato da tempo. In un paese con una forte comunità negli Stati Uniti era il segno che per i loro parenti quel rito delle feste e del 2 novembre fosse impossibile. Riflettevo su quello che sentivo dentro di me mentre guardavo la mia compagna deporre i fiori, pensavo alla tomba dei miei genitori in Australia e non so quando sarà la prossima volta che potrò depositarci fiori.
L’atto di emigrare, soprattutto per quelli che partono per i nuovi continenti, è una rottura non solo della nostra vita quotidiana, ma anche di quei riti e cerimonie che sono una parte fondamentale della nostra identità. Però non sono gli emigrati a pagare un prezzo alto per quella decisione.
I genitori degli emigrati non vedono i giorni più felici dei loro figli. Per molti motivi e non solo di distanza, i genitori raramente sono presenti ai loro fidanzamenti e matrimoni, come non possono essere presenti alle nascite dei nipotini e a ogni successivo passo della loro vita. Allo stesso tempo gli emigrati non possono condividere in pieno la loro gioia di questi momenti con i genitori e, peggio ancora, non possono essere presenti per le loro malattie e il declino dei loro genitori, come anche all'ultimo atto della loro vita che dovrebbe essere il passaggio definitivo delle generazioni, i loro funerali. Naturalmente gli emigrati trovano il modo di esprimere il loro cordoglio nel miglior modo possibile.
Negli annunci dei defunti e dei funerali dei nuovi paesi di residenza dei figli, quasi ogni giorno ci sono annunci non di chi è deceduto in quella città, ma nei paesi d’origine. Le chiese nelle comunità italiane all'estero regolarmente fanno messe di suffragio per i nonni e gli altri parenti e le messe domenicali spesso sono dedicate a persone che non erano mai entrate fisicamente in quelle chiese.
Naturalmente abbiamo trovato altri modi di poter fare il nostro dovere verso i nostri defunti. Mia madre non era l’unica a sistemare un piccolo angolo del salotto con i santini dei nostri defunti, in Italia e in Australia con una lampadina eterna a loro memoria. Poi le foto sui mobili comprendevano anche parenti in Italia e altri paesi. Però questi gesti non possono mai bastare.
Nei nostri sposalizi all'estero dove le distanze rendono difficile la presenza dei parenti italiani, la lettura dei loro messaggi di auguri ha sempre fatto parte della cerimonia dei ricevimenti, una volta con la lettura dei telegrammi non solo dall'Italia, ma anche dagli altri paesi e ora con filmati trasmessi via computer e Skype così si vedono i visi dei parenti lontani. Però, per quanto possano essere belli, questi messaggi e partecipazioni virtuali non sono che surrogati per la mancanza della presenza fisica dei cari.
Per gli emigrati oltreoceano la chiamata di mezzanotte con notizie tristi non può essere sempre seguita con una partenza veloce per il paese di nascita. La procedura e tempo tecnico burocratico per rinnovare un passaporto scaduto, trovare velocemente un posto su un aereo o avere i mezzi finanziari per poterselo permettere non sempre garantiscono di arrivare in tempo per il funerale, tanto meno arrivare in tempo per dare il saluto finale a una madre o un padre.
Poi i genitori e i parenti non contano solo quando non ci sono più e la tirannia della distanza è peggio ancora nelle circostanze dove la vicinanza non solo è necessaria, ma allo stesso tempo impossibile. L’abbiamo saputo durante la malattia orrenda che portò via la mia cugina diciannovenne Marina. Mia madre avrebbe voluto essere vicino alla sorella perché il verdetto iniziale dei medici era implacabile, pochi mesi. Sento ancora nella mia mente il grido di mamma quando arrivò la notizia terribile e il suo dolore che non poteva esserci. Fu una morte che fece capire più delle altre il prezzo che paghiamo per essere emigrati.
Quando finalmente possiamo visitarci, i visi dei nostri cari mostrano i segni del passare degli anni e magari di lotte e di dolori che ci tenevano nascosti. So con certezza che la mia famiglia non è stata l’unica a nascondere malattie non gravi e incidenti ai parenti in Italia per non impensierirli. In un caso estremo una famiglia nascose la morte del figlio in Australia ad una signora anziana malata di cuore. Per timore di farla morire di tristezza i figli in Italia imposero ai parenti australiani di trattarla come fosse ancora vivo il figlio. Quella povera signora morì tre anni dopo ignorando il destino del figlio maggiore. Per fortuna questo è un caso raro.
Il prezzo finale arriva quando finalmente riusciamo a incontrarci fisicamente e capiamo che, per quanto vorremmo starci vicini, esiste una barriera tra parenti all'estero e quelli rimasti a casa. Una barriera creata dalle differenze di esperienze tra i vari rami della famiglia. Questa barriera è creata dalla differenza di lingue parlate quotidianamente da tutti, dalla vita diversa da paese a paese e anche da non sapere tutto quel che è successo da una parte o dall'altra.
Non sempre questa barriera crea problemi, ma certamente fa sentire le differenze tra fratelli e generazioni. Un immigrato che torna al paese di nascita dopo decenni spesso parla un dialetto che non esiste più, oppure torna e si aspetta di trovare il paesino che aveva lasciato e invece trova un paese moderno che è cambiato ancora di più del suo nuovo paese di residenza. I parenti in casa aspettano di vedere il giovane che era partito e non sono pronti alla realtà dei cambiamenti causati dalla vita nel suo nuovo paese di residenza.
Malgrado tutto questo, l’emigrato alla fine potrà fare quel rito che era impossibile prima, di deporre i fiori sulla tomba di chi non c’è più e dimostrare con quel gesto che, anche malgrado abitasse lontano, una parte importante dell’emigrato e dei suoi figli sarà sempre nel paese d’origine.
|