 | | I Lanzichenecchi |
Nel suo film capolavoro “Il mestiere della armi” il regista Ermanno Olmi racconta la storia della morte di Giovanni dé Medici, detto delle Bande Nere, mortalmente ferito nel tentativo vano di bloccare l’avanzata dei lanzichenecchi dell’Imperatore Carlo V che fecero il Sacco di Roma nel 1527. All'inizio del film alcuni personaggi storici esprimono i loro pensieri riguardo alla vita e al sacrificio del ventiseienne parente di Papa Clemente VII. Purtroppo le dichiarazioni di due dei personaggi, Federico Gonzaga di Mantova e Alfonso d’Este di Ferrara, nascondono il loro contributo alla morte del giovane condottiero.
Nel tentativo di salvare le loro Signorie, Ferrara e Mantova, avevano offerto assistenza e armi ai lanzichenecchi per assicurare che il loro soggiorno in questi territori fosse il più breve possibile. Alla fine il risultato non solo causò la morte di Giovani e il Sacco di Roma, ma creò anche le condizioni per garantire che la nostra Penisola non avrebbe più avuto un governo centrale per oltre cento anni.
Sarebbe facile dire che questi fatti siano lontani e non hanno niente a che fare con il nostro paese moderno, ma sappiamo che il comportamento di Federico Gonzaga e Alfonso d’Este non fu un fatto raro nella Storia del nostro paese e che ancora oggi abbiamo politici e industriali che non pensano al bene del paese, bensì soltanto alle tattiche che farebbero buon gioco alle loro cause e alle loro ambizioni. E come la politica, lo stesso discorso vale a tutti i livelli della nostra società.
Non ci vuole molto per ricordare politici italiani che sfruttarono le visite di nostri Presidenti a sedi e convegni internazionali per fare mostra del loro dissenso per cercare voti nell'ambito della politica interna italiana. Non importa che questi gesti e atti non fanno altro che dimostrare al mondo che non riusciamo ad agire in modo unito e di conseguenza da decenni il Bel Paese non riesce a imporsi ai livelli che la nostra Storia e la nostra Cultura dovrebbero assicurare come posti d’onore.
Estendiamo questa pratica allo sport, al mondo accademico e alle lotte tra le industrie italiane e vediamo un paese che non trova la forza di emergere negli organi internazionali che darebbero il potere di avanzare non solo ai nostri prodotti, ma anche ai nostri sportivi, artisti e accademici. Ci lamentiamo della “fuga dei cervelli”, ma non dobbiamo meravigliarci se sono proprio i nostri comportamenti a creare le condizioni che costringono loro a cercare posti all'estero degni dei loro talenti.
Purtroppo, questo nostro vizio d’essere proprio noi il nostro peggior nemico si estende anche all'estero in mezzo ai gruppi delle varie comunità italiane in tutti i continenti.
Posso citare la mia ex città di residenza di Adelaide in Australia dove esistono oltre centocinquanta circoli e clubs italiani di tutti i generi. Il lettore in Italia potrebbe immaginare la presenza di club da ogni regione, ma non potrebbe mai pensare che non solo esistono circoli dedicati a regioni, ma anche a città e paesini. Nel caso di Adelaide la comunità calabrese ci dà un cattivo esempio di questa pratica di litigare tra di noi.
Non esiste una “Associazione Calabria”, ma ben tre simili, dopo la rottura della prima e della seconda per motivi di conflitti di personalità. Poi, non solo esistono circoli di paesi individuali, ma in almeno un caso, che non nomino per non mettere in imbarazzo i responsabili per le rotture, non solo esiste la festa del santo patrono del paese, ma anche delle madonne di due frazioni dello stesso paese perché le famiglie delle frazioni considerano le loro feste più importanti della festa del paese principale e sede del comune. Le conseguenze di questi conflitti di vanità non fanno altro che dividere le nostre comunità e impediscono loro di poter fornire i migliori servizi ai nostri connazionali
Come abbiamo visto con il comportamento dei nostri rappresentanti all'estero e il danno che fanno alla nostra immagine, questo nostro comportamento egocentrico, come quello dei nostri parenti e amici all'estero, non fa altro che spaccare il nostro voto e la nostra voce quando abbiamo bisogno di unità di azione e di programma.
Nessuno pretende che dobbiamo avere tutti le stesse idee e gli stessi programmi. La presenza di miriadi di partiti politici in Italia e la cronaca politica quotidiana di politici di tutti gli schieramenti che minacciano spaccature e la formazione di nuovi raggruppamenti non sono altro che dimostrazioni di egoismo e non la promozione di idee o identità politiche.
Per quanto possiamo avere certe idee diverse, abbiamo anche ideali e idee in comune che potrebbero e dovrebbero essere la base per un nuovo percorso nella vita politica, e non solo politica del nostro paese. Per quanto parliamo spesso di prendere idee dall'estero, nessuno guarda un certo comportamento nel mondo politico anglosassone che davvero darebbe una svolta su come procedono i processi decisionali nel nostro paese a tutti i livelli.
Nei parlamenti britannici il ruolo dei capigruppo non è solo di preparare l’ordine del giorno parlamentare. Il loro ruolo comprende anche sondare il terreno in comune tra i vari partiti e i parlamentari indipendenti. Nel cercare i punti in comune si riduce il campo di scontro politico che troppo spesso impedisce al parlamento di prendere decisioni. Ricordiamo tutti i milioni di emendamenti a una recente proposta di legge, non per migliorare o modificare la proposta, ma nel tentativo, nemmeno tanto occulto, di bloccare prima il dibattito e poi il voto.
Sarebbe impossibile aspettare che tutti fossero d’accordo su ogni punto di qualsiasi programma, ma sarebbe altrettanto impossibile negare che la nostra tendenza nazionale di impedire e bloccare tutto perché non siamo d’accordo su alcuni punti individuali è ancora più dannosa al paese.
In un sistema parlamentare, come nei circoli e clubs di qualsiasi genere poiché sono nel loro piccolo enti parlamentari, tempi lunghi nel prendere decisioni non fanno altro che riscaldare animi che troppo spesso sono già caldi prima dell’inizio del dibattito.
Se i nostri rivali in campo politico internazionale, oppure nel commercio o nello sport, riescono, battaglia dopo battaglia, a far avanzare le loro cause dobbiamo riconoscere che è proprio perché riescono a fare quel che noi non siamo capaci a fare: di agire in modo unito, almeno di fronte ai nostri avversari. Nessun sistema politico esiste senza scontri più o meno feroci, ma sono pochi che hanno le spaccature pubbliche che vediamo in Italia.
Se vogliamo, come paese, vincere le battaglie che ci stanno più a cuore cominciamo col riconoscere che i nostri peggiori nemici non sono i nostri avversari, ma proprio noi stessi.
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