 | | Mercedes Sosa |
La canzone di Lucio Dalla è diventata il nostro inno di Capodanno, come anche il titolo della trasmissione del concerto trasmesso dalla Rai per dare il benvenuto al 2016, insieme ad altre canzoni del nostro passato. Però, come tanti brani dell’epoca in cui Dalla la scrisse, “L’Anno che verrà” è una canzone di un periodo irripetibile perchè tanti, troppi, dei sogni per un mondo migliore erano irrealizzabili.
Allo stesso modo di John Lennon con “Imagine” e “Merry Christmas (War is over)”, il cantautore bolognese ha messo parole a desideri che tutti abbiamo avuto ma che, per moltissimi motivi, rimaranno soltanto sogni nel cassetto per un futuro che pochi di noi vedremo.
I cantanti di quella generazione erano nati all’epoca della Seconda Guerra Mondiale e hanno dato voce e parole a desideri di chi conosceva per esperienza diretta le tragedie personali e internazionali di periodi bellici. Questi giovani volevano vivere in un mondo pacifico dove tutti erano uguali e la loro musica e i loro libri erano grida agli adulti perché li ascoltassero.
Infatti, non è un caso che negli Stati Uniti le proteste studentesche del 1968 non erano dirette solo ad aspetti sociali come in Europa, ma esprimevano il disagio dei giovani che rischiavano davvero di far parte della guerra misteriosa e scomoda del Vietnam. Per questo motivo non è una sopresa che molti dei cantanti importanti sono spariti dal grande pubblico dopo la fine del conflitto della guerra in Asia.
In Europa invece il senso sociale delle proteste ha creato il clima per attività e proteste che erano destinate a durare molto di più di quelle americane e, tragicamente, con conseguenze che gli autori dei brani di speranza non potevano immaginare.
Per quanto vorremmo credere ai sogni espressi da Lennon e Dalla nei loro brani, altri cantautori hanno avuto una visione molto più realista dei problemi sociali che tormentavano il Vecchio Continente. Uno in particolare ha prodotto brani che indicavano problemi veri da affrontare e che non sono mai stati risolti, soprattutto nel nostro amato Bel Paese. Cantanti come De André ed Edoardo Bennato hanno riconosciuto che i problemi da risolvere facevano parte del tessuto della nostra società e dunque non facili da risolvere.
In brani come “Via del campo”, ”Il Giudice” e “La Guerra di Piero” per nominarne soltanto tre delle sue canzoni più consociute, il cantautore genovese Fabrizio De André ha potuto descrivere i problemi veri affrontati nella vita quotidiana. Purtroppo per noi altri dei suoi brani, come “Il Bombarolo”, De André ha esposto la violenza nata dall’ala estremista delle proteste che non volevano aspettare per un futuro indefinito per realizzare i loro sogni per un mondo nuovo.
Prima di continuare, vorrei ricordare una generazione particolare di cantanti importanti a livello internazionale che volevano cambiare il loro paese utilizzando la loro musica come arma pacifica, ma che ne pagò un prezzo orrendo. La cosidetta Nueva Cancion Cilena ha prodotto cantanti e brani che noi tutti conosciamo come “Gracias a la vida” di Violeta Parra e cantata in italiano da Gabriella Ferri, ma i nomi più importanti per il loro impegno sociale erano ben altri.
Il primo tra di loro era senza dubbio Victor Jara che fu una delle prime vittime dei militari del golpe di Pinochet che volevano cancellare le sue parole e come gesto di vendetta, prima di giustiziarlo gli tagliarono le mani che scrissero quelle canzoni . Però le sue canzoni furono immortalate in tutto il mondo da altri, come gli Inti Illimani, Quilapayun e Mercedes Sosa. La sua “Venceremos” era la canzone della campagna elettorale vincente di Salvador Allende, ma le sue altre canzoni hanno fornito la colonna sonora dell’opposizione alle dittature militari non solo in Cile, ma in tutto il continente sudamericano. Per poi ricordare che quella stagione produsse anche "El pueblo unido jamas sera vencido" che diventò la canzone di protesta di tutto il mondo.
Per quanto siano importanti la musica e l’impegno di questi grandi artisti, le bellissime parole non potrebbero mai bastare. Per poter realizzare questi sogni bellissimi la nostra società deve riconoscere i problemi sociali da affrontare e fare lo sforzo necessario per rimediare le cause dei conflitti. Senza scordare che la via maestra non è tramite azioni violente e oscure come abbiamo visto da terroristi di sinistra e di destra durante gli Anni di Piombo, ma da tutta la nostra società moderna.
Purtroppo abbiamo visto che i politici usciti da questa generazione non sono stati capaci di risolvere i problemi che tanti di loro gridavano durante la loro gioventù. Peggio ancora, questa generazione è ora incapace di dare le redini del potere ai propri figli, proprio come fecero i politici del 1968.
È strano come le voci delle proteste studentesche siano diventate i pilastri proprio della società che volevano cambiare. Purtroppo, girare per il paese ancora vediamo i problemi denunciati nella musica, i libri e il cinema di quell’epoca. L’unico cambio vero è l’esistenza di tecnologie di comunicazione che rendono più facili esprimere proteste e dissenso. Con Facebook, Twitter e Youtube sarebbe stato più facile trasmettere le idee al mondo. Disgraziatamente il successo di questi mezzi per trasmettere idee ha creato un’industria di operatori che cercano di smentire e screditare ogni idea e progetto nuovo, come facevano i servizi segreti in vari paesi negli anni delle proteste studentesche.
Come società l’Italia deve agire, non in protesta, ma con il voto e per dare voce e aiuto a chi cerca soluzioni realizzabili per i problemi che tutti conosciamo e che ormai pochi credono siano risolvibili. Bisogna riconoscere che la strada per il futuro non è negli individui, ma nelle azioni della nostra comunità. Solo così avremo la possibilità di potere vedere il mondo migliore che Dalla, De André, Lennon e Jara non poterono vedere.
La partecipazione pacifica della popolazione è il sine qua non per il funzionamento della Democrazia che sappiamo è la base vera per una società moderna ed egualitaria. La presenza di profughi che vediamo ogni giorno nei giornali e i notiziari televisivi non sono altro che la prova del fallimento di dittature e sistemi di governo corrotti e antichi.
È giusto che l’inizio di un anno nuovo sia accompagnato di parole di speranza per il futuro, ma non facciamo lo sbaglio di credere che bastino da sole. Se vogliamo migliorare il nostro paese e il nostro mondo dobbiamo capire che cantarle non basta, bisogna mettere in azione i programmi e i sistemi necessari per realizzare quei sogni bellissimi.
Solo così renderemo davvero onore a questi grandi cantanti e artisti.
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