 La partenza di un viaggio è sempre un momento particolare, parti con piacere e poi la realtà si fa sempre sentire. All’inizio del viaggio in Calabria per Natale la realtà era nella forma di una valigia nera e pesantissima, non per via dei vestiti, ma per il peso dei regali e regalini da portare ad amici e parenti.
A Faenza e a Bologna il peso di quella valigia non si sentiva più di tanto, ascensori e scale mobili hanno aiutato a non far sentire lo sforzo. I soldi spesi per ammodernare le attrezzature di quelle stazioni sono stati ben spesi e sono sicuro di non essere l’unico viaggiatore ad apprezzare queste comodità. Purtroppo, dopo le prima due tappe ci siamo trovati di nuovo ad affrontare la realtà del viaggiatore nel nostro paese.
Appena scesi a Termini per la coincidenza per la Calabria ci siamo trovati in mezzo alla solita scena che si ripete ormai da decenni. Un grande gruppo di persone in attesa sotto il tabellone per vedere da quale binario partire e, una volta annunciato il numero, si corre al binario indicato con la speranza di non dover cambiare di nuovo pochi minuti prima della partenza, come mi era già capitato in altre occasioni.
Almeno l’Intercity ci dava la certezza di un posto, anche se il binario non era necessariamente una garanzia. Dopo mezz’ora eravamo seduti sul treno, valigia a posto, valigette e giubotti sistemati e pronti per la partenza a orario regolare. Però la partenza non era del tutto quel che aspettavamo. In un treno moderno, pulito e comodo non capivamo perché c’era gente in piedi nel corridoio. Non era una scena del passato e siamo costretti a vedere che non tutta l’Italia è uguale.
Per noi viaggiatori seduti il treno era comodo e la presenza di una coppia amichevole ha reso il viaggio veloce e piacevole. Però eravamo sempre consci di quelle persone in piedi per le ore del viaggio e non capivamo come fosse potuto accadere. Poi in orario, siamo arrivati a Lamezia Terme per l’ultima tappa al paese di origine e di nuovo la triste realtà si fa sentire.
In un centro importante per il trasporto ferroviario, e dunque anche per la stagione turistica, la stazione non aveva ascensori, o scale mobili. Alla fine di un viaggio di oltre sei ore eravamo costretti a portare valigie e pacchi pesanti su e giù per le scale in mezzo alla gente che si fermava in gruppo per scambiare baci e abbracci con i parenti in arrivo.
Era l’ennesima prova che in certe zone del paese le cose non cambiano mai. Lasciare un treno moderno per dovere passare per una stazione all’antica non è stata un bel modo di finire un viaggio di Natale. E a rendere il fatto ancora più triste era il fatto che per noi non era una sopresa.
Andare in Calabria, come in tutte le zone del Sud del paese, dovrebbe essere un piacere non un viaggio in una macchina del tempo.
Le zone meridionali del Bel Paese hanno le spiagge e i prodotti locali capaci di dare un contributo importante all’economia di queste regioni, ma ci domandiamo per l’ennesima volta, perché non vediamo gli sviluppi e l’intraprendenza necessari per cambiare il volto di città e paesaggi con migliaia di anni di Storia e di Cultura? Peggio ancora, ci chiediamo quanti turisti stranieri dopo esperienze del genere consigliano ai loro parenti e amici di fare quel viaggio? Temiamo che la risposta sia che sono in pochi a farlo.
Come le altre province meridionali i paesi della Calabria mostrano segni degli effetti dell’emigrazione massiccia. Vediamo gli scheletri di case iniziate decenni fa da chi intendeva ritornarci a vivere, per poi abbadonarle per rimanere permanentemente nelle loro nuove città di residenza. Vediamo gli uliveti e campi che non sono più coltivati perché i proprietari sono vecchi, oppure perché i proprietari non vogliono più tornare a lavorarli. Che tristezza vedere uliveti secolari con la frutta nera e secca sui rami per mancanza di manodopera a raccoglierla. Mi ha fatto ricordare un viaggio al paese di mio padre pochi anni fa con i fichi d’india marci sulla piante e nessuno che voleva raccoglierli per spedirli in zone dove c’era mercato. E come quella volta, nessuno in questi giorni poteva spiegare il motivo di quell’abbandono di terre fertili e potenzialmente ricche. Per chi abita nell’Emila-Romagna dove non esiste un metro quadro incolto, vedere campi dopo campi abbandonati fa un effetto devastante.
Sarebbe troppo facile parlare dei soliti luoghi comuni. Sarebbe facile dare la colpa a facce ignote e poteri occulti per spiegare i campi abbandonati e la frutta sui rami. Il difficile è trovare la chiave per attivare l’unico meccanismo capace di portare energia e ricchezze a zone che una volta erano paesi importanti del Mediterraneo. Questo meccanismo si trova nella gente di queste zone.
Non basta essere fieri dei propri prodotti, ma bisogna trovare la forza e le volontà non solo di aumentare la produzione, ma anche di saperlo pubblicizzare e vendere in quelle zone e paesi che ancora non conoscono il gusto dell’olio dell’ulivo calabrese,come della sua frutta e altri prodotti che questo terreno è capace di offrire.
In altre regioni esistono modelli di vita sociale e impegno comunitario che servirebbero come ispirazione per far vivere al massimo del loro potenziale questi paesi vuoti e improduttivi. Trovare la soluzione giusta per dare la forza a queste zone per diventare di nuovo centri importanti di produzione agricola e anche importantissimi centri di villeggiatura per tutto l’anno con spiagge bellissime che ancora pochi conoscono non è una sfida solo per i governi regionali. È una sfida per tutto il paese, a cominciare dal governo nazionale.
Non cadiamo nella trappola di pensare che siano casi e zone irrecuperabili, sarebbe la vittoria di quei gruppi che hanno solo i loro interessi a cuore. Dobbiamo capire che lo sforzo di sconfiggere i poteri occulti e le debolezze che permettono questo abbandono sono da confrontare e da sconfiggere.
Queste zone sono troppo belle e importanti da trattare con belle parole per poi lasciarle sole. Tutto il paese deve capire che ricuperare queste zone non sarebbe solo la sconfitta di pochi, ma la vittoria di tutto il paese. Però dobbiamo farlo tutti insieme e non con tentativi isolati e dunque destinati a fallire perché così ci troveremo per sempre con due Italie diverse.
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