 | | Lawrence d'Arabia |
In questi giorni ho deciso di rivedere il film capolavoro di David Lean, Lawrence d’Arabia. Un film indimenticabile dove la vera star è il deserto che controlla ogni aspetto della vita dei suoi abitanti e che ci fornisce scene naturali bellissime. Non lo vedevo da anni e pensavo che, viste le sue quattro ora di durata, mi avrebbe dato qualche ora di piacere. Oltre il piacere, il film mi ha dato molto da considerare.
Mentre guardavo la scena del ritorno trionfale allo Stato Maggiore inglese al Cairo di T. E.Lawrence per annunciare la sua prima vittoria e la reazione sbalordita degli altri ufficiali al vederlo vestito come un arabo ho pensato che questa scena ben rappresentava un aspetto delle guerre nel corso dei secoli che è sempre vista come uno scontro tra civiltà.
Ho pensato immediatamente al romanzo di fantascienza Dune di Frank Herbert e a quello di fantastoria I Leoni di Al Rassan di Guy Gavriel Kay ambientato in un mondo chiaramente ispirato dalla Riconquista della Spagna dai Mori e nel quale uno dei personaggi più importanti è un poeta-guerriero, chiaramente ispirato dai musulmani che costruirono le meraviglie in Spagna come il palazzo di Al’Amhra, che sfida i nostri pregiudizi verso i musulmani. In entrambi i casi gli autori dimostrano che troppo spesso questi pregiudizi non si basano sui fatti, ma su percezioni sbagliate, oppure su idee intenzionalmente manipolate per rendere il nostro avversario indegno d’essere considerato pari a noi.
Questo gioco di pregiudizi, oppure di propaganda come sarebbe più giusto chiamarlo, si vede benissimo all'inizio e alla fine del film Joyeux Noel del regista francese Christian Carion che racconta la storia dell’armistizio ufficioso del fronte occidentale del Natale 1914, il primo Natale della Grande Guerra.
L’inizio del film ci fa vedere le scene dolorose di ragazzi francesi, inglesi e tedeschi che recitano in classe poesie e tesi che descrivano i loro nemici come barbari o peggio. Chi ha mai letto i giornali e le cronache dell’epoca sa che succedeva davvero, come in tutte le guerre.
La versione originale del film è affascinante perché è girato in tre lingue per dimostrare la capacità umana di comunicare anche senza una lingua in comune, dunque rafforzando la tragedia della guerra. Purtroppo, la versione italiana non riflette questa realtà e il doppiaggio di tutti in lingua italiana perde questo aspetto fondamentale del film.
Nella scena finale vediamo un altro messaggio di odio verso il nemico barbaro, ma questo volta non da bambini, bensì da un vescovo cattolico ai soldati scozzesi che nella sua predica cancella il messaggio del prete combattente che stava in trincea con i suoi fedeli e che conosceva la verità della vita dei suoi fedeli. Una storpiatura del messaggio di Cristo che dovrebbe essere la base di qualsiasi predica durante la messa.
Questi sono aspetti strazianti della guerra che non fanno altro che assicurare problemi nel futuro perché l’odio e i pregiudizi non spariscono con la fine del conflitto, ma continuano per anni a seguire, se non addirittura per generazioni e secoli.
Chi sparge questo odio verso il nemico non sa se i nemici di oggi potrebbero essere gli immigrati nel prossimo futuro. Ci vuole poco per capire questo concetto, basti pensare agli emigrati italiani dopo la Seconda Guerra Mondiale che si trasferirono negli Stati Uniti, Australia, Canada e altri paesi che avevano combattuto proprio contro l’Italia. I pregiudizi bellici hanno creato problemi di integrazione per gli italiani e i loro figli.
Questi pregiudizi non si limitano solo a una parte del conflitto oppure a una singola religione, tutti ne sono colpevoli, dal vescovo del film a Osama Bin Laden che chiama gli occidentali “crociati” per associarli agli orrori di mille anni fa che non sono mai stati scordati del tutto nel medioriente. Lo fa ogni paese che si trova in guerra e non solo per alimentare l’odio, ma anche per rendere più facile il compito del fante, del marinaio e dell’aviere di ammazzare i nemici in combattimento.
Tutto nel nome del “conflitto tra civiltà” che è utilizzato come uno dei motivi principali della guerra. Però la forma più dolorosa di guerra sbugiarda questo concetto: le guerre civili. Inevitabilmente queste sono le guerre più crudeli perché mettono a nudo gli inganni della propaganda non solo perché il nemico parla la nostra stessa lingua, ma perché fino al giorno prima il soldato dell'altra parte era il nostro vicino di casa e nei casi più estremi è il nostro fratello o parente.
Non è un caso che il conflitto più importante della Storia degli Stati Uniti non è la sua Guerra di Indipendenza, ma la Guerra di Secessione che mise a nudo le contraddizioni di un paese che sognava la Democrazia e l'Indipendenza, ma negava i diritti umani più importanti a una parte della sua popolazione. Sono ferite ancora non sanate del tutto come vediamo nel dibattito attuale in alcuni stati americani di rimuovere la bandiera sudista da palazzi statali perché è ancora utilizzata da estremisti per giustificare l’odio verso gli americani di colore.
Il semplice fatto che uomini uccidono uomini rende la guerra l’atto umano più crudele di tutti, ma siamo proprio noi esseri umani a trovare il mezzo più adatto per giustificare l’atto che contravviene una legge che è alla base di tutte le religioni, a partire dai Dieci Comandamenti: non uccidere.
La guerra non è un periodo “normale” della nostra società, è un periodo dove le leggi garantiste vengono sospese e dove la popolazione si sottomette a leggi e regole che in periodi di pace non sopporterebbe mai come ad esempio limiti alla libertà personale, la sospensione dei diritti umani “universali”, i limiti alle nostre azioni quotidiane, senza scordare le inevitabili mancanze di prodotti e servizi a causa della sospensione delle importazioni, magari da paesi diventati nemici nel frattempo.
Disgraziatamente il mondo è ancora ben lontano dal giorno in cui potremo abolire la guerra del tutto, ci sono troppi conflitti irrisolti che continuano a creare situazioni di instabilità. Possiamo solo vigilare sui nostri politici per assicurare che i motivi di azioni belliche siano ridotti al minimo necessario e soprattutto che risolvano situazioni a rischio e non creino le condizioni per conflitti nel futuro.
Però è molto più importante, come popolazione, non cadere nel tranello del “conflitto di civiltà” dove consideriamo “gli altri” inferiori a noi, perché questo nostro atteggiamento non fa altro che contribuire a creare le condizioni che fanno nascere conflitti e guerre.
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