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10 Ottobre 2015
Chi cambia il mondo?
di Gianni Pezzano


Chi cambia il mondo?

I giornali italiani hanno parlato poco dell'attentato avvenuto al centro operativo della polizia a Sydney in Australia, lo scorso venerdì, quando un uomo vestito di nero si è avvicinato ad un tecnico informatico per ucciderlo sparandogli un colpo in testa.

 

L'assassino è a sua volta rimasto ucciso durante la sparatoria con alcuni agenti che si trovavano nelle vicinanze. Solo dopo la fine di tutta quella confusione di quei minuti di paura, gli agenti si sono resi conto che l'assassino era un adolescente di quindici anni.

 

Non entro nel merito di questa tragedia: le indagini sono ancora in corso per capire chi era responsabile di aver radicalizzato questo ragazzo e di avergli fornito l'arma del delitto. Dirò solo che le autorità della locale Moschea hanno dato piena collaborazione alla polizia e che in conseguenza di questo sono già stati arrestati cinque sospetti, due dei quali erano a loro volta minorenni. Tragedia nella tragedia, che avrà il suo seguito in tribunale e che avrà sicuramente molta eco nei servizi giornalistici mondiali.

 

Naturalmente le prime notizie di un uomo in nero e poi la conferma che poco prima dell'aggressione era stato visto nella Moschea, hanno scatenato il pubblico di Internet. Da tempo in Australia è in corso un acceso dibattito riguardo il ruolo e l'arrivo di profughi dal medio oriente e, come nel nostro Paese, una parte di questo pubblico grida fortemente di cacciare questi immigrati perché, secondo loro, i nuovi arrivati vogliono cambiare le usanze del Paese che li ospita.

 

Il colmo per me, mentre leggevo questi commenti, è che spesso i cognomi di queste persone non erano anglosassoni ma italiani e greci. Molti dei miei coetanei hanno scordato che già in passato l'Australia è cambiata in seguito all'arrivo di ondate di immigrati che non solo hanno fornito la manodopera alle sue fabbriche, ma hanno anche cambiato molti aspetti della vita australiana dalla cucina al design, dalle costruzioni alla creazione di nuove industrie di vini, formaggi e salumi, ecc. Infatti questi immigrati erano per la maggior parte italiani e greci.

 

Non è semplice per un paese accettare nuovi immigrati, come non è facile per i nuovi residenti ambientarsi in un paese con un'altra lingua e tradizioni diverse dalle proprie. Ci sono già problemi di ambientamento per gli Inglesi che entrano in Australia, figuriamoci per Italiani e Greci o immigrati di altre nazionalità che arrivano in quel Paese. Sarebbe sciocco di conseguenza  pensare che non ci siano adattamenti sia da parte degli immigrati che da parte dei cittadini residenti, e quelli che dovrebbero capire meglio questi problemi di adattamento dovrebbero essere proprio i figli di immigrati.

 

Perciò è davvero assurdo e triste vedere figli di immigrati italiani e greci lamentarsi dei nuovi arrivati con lo stesso linguaggio utilizzato contro loro stessi e i loro genitori per decenni.

 

Partiamo dall'aspetto più banale quando si parla di cambi nelle tradizioni di un paese come ad esempio le tradizioni alimentari.

Vediamo in Italia che è stata tentata una campagna per l'abolizione della vendita del Kebab perché cibo non italiano, ma io non ricordo di aver mai visto campagne simili contro l'importazione di altri cibi non italiani come gli hamburgers o il pollo fritto del Kentuky Fried Chicken. Senza contare poi il danno economico che subirebbe l'Italia se altri paesi dovessero fare campagne pubblicitarie contro il cibo italiano…

 

Campagne come queste non fanno altro che aumentare sempre di più i timori creati dai “film dell'orrore” di un piccolo gruppo di fanatici. Peggio ancora, un effetto di questi filmati è di far bollare agli occhi di molti, tutti i profughi musulmani come potenziali terroristi e questi timori si leggono tutti i giorni negli scambi di opinioni nei social media, nei programmi televisivi e radiofonici.

 

Non solo, i pregiudizi e i timori creati da questi dibattiti infuocati rimbalzano contro la categoria meno capace di resistere alle lusinghe dei fanatici, i giovani musulmani, spesso nati e cresciuti in zone socialmente svantaggiate e dunque senza gli aiuti e gli appoggi sociali necessari per aiutare quelli in pericolo di radicalizzazione.

 

Basta ricordare l'attentato a Charlie Hebdo e i profili dei cosiddetti “foreign fighters” e le giovani che si avvicinano all' ISIL  per vedere che molti di loro avevano problemi di alcool e droga, che spesso avevano avuto precedenti penali ed erano isolati dai loro coetanei non musulmani. In condizioni come quelle è facile vedere nascere l'odio in quei giovani che cercano negli altri i responsabili per i loro problemi di vita.

 

Questi non sono problemi da affrontare con semplici formule o con luoghi comuni, ma con una conoscenza profonda della realtà e una consapevolezza di cosa vuol dire trovarsi in una situazione simile. In parole povere, le persone più adatte a trovare una soluzione vera sono i figli di immigrati che ci sono passati personalmente.

 

In questo caso il nostro paese avrebbe una potenziale base per chiedere aiuti per i nuovi arrivati che si sentono allontanati, oppure si sentono minacciati dal linguaggio violento utilizzato da qualcuno.

Nelle comunità italiane in giro per il mondo esistono gruppi diassistenza sociale con l'esperienza e la capacità di poter consigliare e indirizzare i gruppi in Italia e fornire le strutture amministrative e assistenziali più adatte per aiutare i nuovi arrivati, siano profughi o immigrati regolari.

 

Inoltre il miglior modo di aiutare i nuovi arrivati sarebbe di creare i propri gruppi di assistenza e anche in questo l'esperienza dei gruppi italiani di assistenza sociale all'estero potrebbero rappresentare la base per mettere in azione programmi validi in breve tempo.

 

Sarebbe uno sbaglio pensare che il progetto per accogliere e integrare gli immigrati fosse a breve termine. In effetti i temi dell'integrazione vera non sono statici, ma cambiano nel tempo. All'inizio vediamo i problemi di ambientamento, di lingua, di cambio dei costumi, successivamente si affacciano i problemi di scolarizzazione e più avanti nel tempo quelli legati alla vecchiaia, il primo dei quali è il potenziale vero di perdere la capacità di parlare e capire la seconda lingua, l'italiano.

 

Sono tutti problemi che i nostri connazionali all'estero hanno risolto, chi più chi meno bene, ma che sarebbe un peccato non poter sfruttare accedendo a queste esperienze per poter trovare un modello che meglio si addica alla situazione italiana. La stragrande maggioranza di chi viene nel Bel Paese cerca una vita migliore per la sua famiglia e dobbiamo assicurarci di poter creare le condizioni perché lo possa fare.

 

Naturalmente qualcuno dirà che questo comporta una spesa, ma la risposta è semplice. Quanto costerebbe alla società non integrare i nuovi immigrati? Nel caso migliore vedremmo casi di conflitti individuali, nel peggiore, come nei casi citati, il costo sociale e di vite umane sarebbe altissimo.

 

Questi modelli funzioneranno solo se tutti vorranno lavorare insieme e non parlo solo di chi arriva, ma anche e soprattutto di chi c'è già perché solo così avremo un paese migliore.








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