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23 Settembre 2015
Il costo del potere
di Gianni Pezzano



Il costo del potere
Crozza nei panni
di Napolitano

La settimana scorsa l’Australia ha avuto il suo quinto primo ministro in altrettanti anni, solo uno dei quali in seguito a un’elezione nazionale. Il potere non è permanente e può finire in modi inattesi, ma chi vuole il potere deve anche capire che il costo è altissimo e questo è solo uno dei rischi che un politico affronta se vuole arrivare all’apice.

 

Il primo ministro australiano uscente Tony Abbott del Partito Liberale non era stato eletto per il suo programma politico, ma perché il Partito Laburista al potere per due legislature era malvisto dal pubblico per i giochini politici all’interno del partito che vide due capi di governo in tre anni per colpi simili. Abbott  non ha capito che il potere non veniva dal voto popolare, ma dai propri parlamentari. Peggio ancora, lui non aveva capito un voto interno dei parlamentari liberali di febbraio scorso che era un chiaro avvertimento di cambiare rotta.

 

Questo è il primo costo del potere. Nel corso della sua gestione del paese Abbott aveva ignorato un principio fondamentale della democrazia, che un capo di governo non deve badare solo ai suoi interessi e pregiudizi, ma deve riflettere i cambi all’interno del paese. Abbott, un ultraconservatore, era deciso di promuovere programmi politici e sociali che ormai non riflettevano l’attuale società australiana. Il suo rifiuto di affrontare il tema di parità di diritti delle coppie gay, il rifiuto di riconoscere il problema del cambiamento climatico, anzi di abolire le leggi e le agevolazioni a favore delle fonti rinnovabili di energia e di fare una politica aggressiva verso minoranze importanti del paese erano tutti contrari al sentimento generale del paese.

 

Nessuno nega al primo ministro il diritto d’avere le proprie idea e opinioni su qualsiasi tema, ma un capo del governo deve bilanciare le proprie idee e pregiudizi con quelli dei suoi parlamentari e della popolazione. Di seguito e per questo motivo le decisioni prese del governo vengono giudicati quotidianamente dai suoi parlamentari che sono in grado di giudicare il suo comportamento. Questi parlamentari si rendono benissimo conto che il loro futuro politico è legato strettamente al voto dei cittadini alle urne. Il primo ministro dunque è sotto il microscopio ogni secondo di ogni giorno, a partire dai suoi colleghi parlamentari.

 

Infatti, non è un caso che le soffiate ai giornali di solito vengono dall’interno di un governo e sono il primo segno dello scontento interno che porta al cambio di primi ministri e presidenti di consiglio.

 

Nel caso di capi di governo cacciati dai propri parlamentari, dobbiamo riconoscere che un primo ministro sconfitto subisce un’umiliazione personale tremenda. Non piace a nessuno essere bocciato, ma proprio per la natura della politica queste decisioni sono pubbliche e dunque sono ancora più difficili da superare nel breve termine. Infatti, nella maggioranza dei casi questi sconfitti si dimettono dal parlamento, di solito per prendere posizioni prestigiose lontane dal seggio del potere nazionale e dagli occhi del pubblico.

 

Tutto questo fa parte della politica formale e lo vediamo chiaramente nelle regole parlamentari e costituzionali. Però ci sono altri costi personali che spesso il  pubblico non percepisce. Per la sua natura della politica un parlamentare rinuncia alla sua vita privata, ma per il capo di governo questa rinuncia si estende ben oltre i limiti normali. Ed è un costo che non paga solo il politico.

 

Cominciamo dalla stampa. Le decisioni e il comportamento del capo del governo sono soggetti a critiche e discussioni, a volte giuste e a volte esagerate. La stampa è una parte importante della struttura della democrazia, non sempre agisce in base a teorie, ma spesso in base agli interessi finanziari dei propietari delle testate. Questa situazione diventa più difficile in paesi come l’Italia dove giornali appartengono a partiti politici e dunque la linea tra critica interessata e disinteressata diventata quasi impossibile da giudicare.

 

A questo si aggiunge la satira che svolge un ruolo importante nei giornali e nei programmi televisivi. Naturalmente il capo di governo è il bersaglio principale per i vignettisti e i comici dove ogni suo gesto e frase diventa fonte di sketch e vignette. Basta vedere una puntata dei programmi di Maurizio Crozza che è imperdonabile verso tutti i politici, ma allo stesso tempo fornisce risate al pubblico che si diverte a vederli derisi. Non tutti apprezzano le prese in giro e abbiamo visto la reazione di vari politici,compresi presidenti del consiglio che le hanno contestate, senza capire poi che non fanno altro che alimentare e ispirare gli autori.

 

I giornalisti che lavorano per reti televisive statali si trovano poi in una situazione delicata. Qualsiasi critica verso il governo rischia di attirare l’ira dei governanti che potrebbero minacciare i fondi all’ente e qualsiasi complimento viene preso dall’opposizione come propaganda politica. Infatti, non è casuale, e non solo in Italia, che di solito ogni governo si lamenta dell’emittente di Stato e questo in fondo è un buon segno perché dimostra che i giornalisti svolgono bene il loro lavoro. Purtroppo, come abbiamo visto nel corso degli anni, non è sempre cosi.

 

Ma chi paga il prezzo più alto fin troppo spesso sono le famiglie dei politici. Purtroppo non giudichiamo i capi di governo solo da quel che fanno in ufficio e nel parlamento, ma anche nella loro vita privata.

 

Le mogli, i mariti e i figli, come spesso anche fratelli e sorelle, diventano motivi per criticare capi di governo e ministri. Per capirlo, basta vedere gli Stati Uniti e i commenti a riguardo di Michelle, la moglie del Presidente Barak Obama, oppure anni fa le critiche a Bill Clinton durante la sua presidenza per la moglie Hillary, uno degli avvocati più bravi del paese. Stranamente, ora che Hillary vuole candidarsi per la presidenza è criticata proprio per suo marito.

 

Allo stesso modo crisi di famiglia che di solito sono private diventano di dominio pubblico per i politici, come abbiamo visto con la vita privata burrascosa del Presidente francese Francois Hollande.

 

Questo uso dei parenti nelle vicende politiche è sbagliato. I politici devono essere giudicati per gli atti politici compiuti o non compiuti e non per le famiglie. La presenza di una moglie o un marito di un politico in foto o in cerimonie non dovrebbe giustificare il coinvolgerli in vicende poltitiche in cui non svolgono alcun ruolo. Purtroppo non viviamo in un mondo perfetto e ci sarà sempre chi cercherà di creare scandalo da vicende private e tristemente il numero di politici divorziati riflette questa realtà.

 

La prossima volta che guardiamo i politici in azione, teniamo in mente che il loro non è un lavoro normale. Spesso pretendiamo da loro quel che non faremmo noi stessi. Pensiamo solo ai costi legati al loro lavoro, perché i privilegi e i benefici sono tanti, ma mi domando quanto persone sarebbero pronte a pagare il prezzo personale che i politici pagano ogni giorno.

 








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