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11 Agosto 2015
Barbari e civili, la battaglia eterna
di Gianni Pezzano



Barbari e civili, la battaglia eterna
Paesaggio di
Darkover

Nel suo ciclo di libri di fantascienza intitolato Darkover, Marion Zimmer Bradely racconta l’incontro tra la popolazione del pianeta omonimo e la sua civiltà apparentemente medioevale con il modernissimo Impero con base nella nostra Terra. Entrambi considerano gli altri barbari, i residenti di Darkover perché l’Impero utilizza armi a raggio che ammazzano e distruggono a lunga distanza, mentre l’Impero considera gli indigenti barbari perché utilizzano ancora spade e combattono secondo un “concordato d’onore” dove chi vuole uccidere deve mettersi allo stesso pericolo di morte della potenziale vittima, un concordato che in effetti proibisce persino gli archi.

 

In un volume memorabile i rinnegati di Darkover trovano un’arma potentissima del passato e i terrestri imparano con stupore che la società darkoveriana aveva avuto una società capace di produrre armi potentissime e che, dopo un periodo di guerre catastrofiche, decisero di rinunciarci per non rischiare la distruzione del loro pianeta. In quel momento entrambe le parti sono costrette a rivedere la loro definizione di barbari.

 

Sembra un modo strano di iniziare una considerazione del settantesimo anniversario delle bombe nucleari di Hisoshima e Nagasaki che posero fine alla guerra nel Pacifico, però nel corso della Storia delle nostra variegate civiltà nel corso della Storia abbiamo visto atrocità dopo atrocità dove le armi non erano il fattore che mette un limite ai morti, bensì la ferocità dell’essere umano stesso. Atrocità spesso giustificate nel nome di civiltà contro barbari.

 

Tutti gli studenti italiani hanno studiato le Guerre Puniche e conoscono, almeno di nome, le due grandi disfatte Romane al Lago Trasimeno e a Canne. Chissà quanti abbiano saputo dai loro insegnati che, secondo gli storici, in quelle battaglie persero la vita tra i quarantacinquemila e gli ottantamila romani? Il solo pensiero di come morirono quei legionari in solo due giorni di combattimento a mano ci fa impallidire e infatti la scene impressionarono così tanto il generale vittorioso Annibale che smise di combattere per un lungo periodo dopo Canne.

 

Nella Battaglia di Ci Bi in Cina nel 206 d.C. il Primo Ministro Cao Cao portò in campo un esercito enorme. Secondo le dichiarazioni di Cao Cao l’esercito numerava ottocentomila soldati, una cifra contestata dagli storici, però anche la cifra moderna di almeno duecentocinquantamila soldati è impressionante. In ogni caso, erano quasi tutti soldati senza esperienza di combattimento sul grande Fiume Yangtse dove si doveva svolgere la battaglia. Quando la flotta giunse al luogo della battaglia Cao Cao ordinò ai suoi capitani di legare insieme le navi per ridurre il mal di mare che aveva colpito duramente le truppe. Vedendo questo i generali del Sud finsero una resa per poi attaccare le flotte con dieci navi incendiarie, il risultato fu una incendio enorme. In questo caso i morti saranno stati nelle centinaia di migliaia con un destino ancora più atroce dei legionari sconfitti da Annibale.

 

Potrei andare avanti caso dopo caso, ma sarebbe superfluo. La mente umana ha dimostrato sin troppo bene che non ha limiti quando si tratta di vincere guerre e battaglie. Nessun tentativo di limitare queste armi potrebbe mai avere successo se prima non riusciamo a limitare la cause delle guerre.

 

Ci sono tanti fattori quando si considera l’utilizzo della bombe atomiche che certamente non erano necessarie per creare livelli altissimi di morti. Solo qualche mese prima, il 9 marzo dello stesso anno, almeno centomila giapponesi morirono e altrettanti furono feriti in un attacco incendiario a Tokio, una città dove le case erano costruite soprattutto di legno con pareti dei carta, statistiche simili agli attacchi nucleari.   

 

Immediatamente dopo si svolse la Battaglia per l’isola di Okinawa dove i morti furono oltre settantamila tra i giapponesi e quattordicimila tra gli alleati. Naturalmente queste cifre furono la base per calcoare i morti di un’eventuale invasione della principale isola giapponese. Le stime erano orrende.

 

Il neo Presidente americano Harry S Truman, che prima di prendere il posto del defunto Roosevelt non sapeva che il Project Manhattan construisse le bombe, si trovò con un dilemma. Utilizzare l’arma nuova e cercare di finire la guerra velocemente, oppure andare avanti ad oltranza e rischiare livelli ancora più alti di morti da entrambi le parti.

 

Sappiamo la sua decisione e non doveva essere stata facile, ma bisogna anche riconoscere il rischio del prolungare. Se il nuovo Presidente avesse deciso di continuare a oltranza, avrebbe potuto difendersi se il pubblico avesse saputo di questa decisione? 

 

Però sono queste le considerazioni da fare da chi conduce guerre dove l’unica regola è di vincerla il più presto possibile con il minor numero di morti possibile dalla propria parte. Una regola crudele, ma realista. Il problema vero non è semplicemente la produzione di armi del genere, ma di limitare i conflitti e di conseguenza ridurre il bisogno di produrle.

 

Le armi non esistono solo perché esistono industrie belliche, ma perché esistono conflitti che le rendono necessarie. Inoltre, gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre, 2001, l’utilizzo di bombe e armi rudimentali da parte dei Talebani e altri gruppi terroristici in vari conflitti, come anche il conflitto con l’ISIL che riempe i giornali ogni giorno fanno capire come le guerre riescono a creare le armi quando necessarie

 

La società moderna non deve solo sapere affrontare i risultati di questi conflitti, e le ondate di profughi che vediamo non sono che la parte più visibile di questi, ma deve anche saper prevenirli nel futuro.

 

Questa è la vera sfida che confronta il mondo moderno da oltre un secolo. Troppo spesso le superpotenze non sono riuscite a risolvere problemi in un modo definitivo. Fin troppo spesso tattiche individuali e  strategie nazionali limitate non hanno fatto che assicurare che il mondo si trovasse regolarmente a dovere trovare soluzioni nuove.

 

In teoria esistono i mezzi internazionali capaci di gestire le crisi che rischiano di diventare guerre, purtroppo questi mezzi sono limitati dalla volontà politica della superpotenza di turno che non vuole perdere un influenza politica, oppure una pedina vitale nella sua lotta eterna con un rivale. Ed ora con il ritorno della Cina come potenza mondiale che si mette in concorrenza con gli Stati Uniti e la Russia, il mondo non rischia più una lotta internazionale tra due superpotenze, ma addirittura tra tre potenze militari.

 

Commemorare i morti di due attacchi nel 1945 non avrà mai un significato fondamentale finché la comunità internazionale non avrà trovato il modo, non di impedire le armi, ma di prevenire il bisogno di costruirle.

 

In questo sarebbe bello imitare i "barbari" di Darkover e trovare il coraggio di rinunciare alle armi potenti.








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