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05 Giugno 2015
Vittoria o sconfitta? Il rito distorto
di Gianni Pezzano


Vittoria o sconfitta? Il rito distorto

Una matita, una scheda elettorale e una cabina con tenda. Con questi tre oggetti un cittadino compie l’atto fondamentale di una democrazia moderna, votare per il suo candidato preferito. Per questo motivo milioni di elettori sono andati alle urne domenica scorsa per le loro regioni e comuni con la speranza di decidere chi governerà per i prossimi cinque anni. Quel che hanno trovato lunedì mattina era il rito distorto di chi non riesce ad accettare il verdetto degli elettori.

 

Se lasciamo a parte i comuni che si trovano ora in ballottaggio tra due settimane, i partiti politici si sono impegnati a far pensare di non aver subito una sconfitta, ma aver compiuto una vittoria in faccia ai numeri di voti che sono la prova maestra dell’esito elettorale. Purtroppo, questo rito fa parte della politica italiana da decenni. I giochi strategici per formare, oppure rompere alleanze in vista della nuova legislatura impongono ai partiti di agire, come minimo, in modo di non perdere la loro influenza politica oppure, soprattutto per i partiti nuovi, di mettersi in mostra per acclamare il loro diritto a un seggio nelle nuove giunte o consigli.

 

Sono tutte tattiche che il paese conosce, non dal Risorgimento, ma sin dai tempi dell’Impero Romano con i suoi giochi di potere che portarono a Guerre Civile e peggio alla città eterna. Il film capolavoro di Ermanno Olmi, Il Mestiere delle Armi dimostra chiaramente come nascono questi giochi dove le varie signorie pensavano alla loro posizione nella nuova Europa che stava nascendo, invece di mantenere fede ai loro accordi con la Santa Sede in pericolo dai Lanzachenecchi. Questi giochini portarono alla morte del protagonista, Giovanni delle Bande Nere quando il proiettile del falconetto lo colpì.

 

Le statistiche del voto dimostrano che il numero di elettori in Italia è in continua diminuizione e dunque l’aumento della delusione popolare verso la politica. Sarebbe facile scrivere di sistemi elettorali, di turno doppio o turno singolo, liste aperte o liste chiuse, di primarie e non primarie, tutti sistemi che esistono in altri paesi e che funzionano con successo, ma non spiegherebbe il rifiuto dei politici di accettare il voto popolare e di far finta d’aver ottenuto un successo inesistente.

 

Questo rito distorto non solo cerca di nascondere risultati deludenti, ma indirettamente dimostra insofferenza verso e elettori che non fa altro che aiutare ad aumentare la sfiducia contro una classe, quella politica, malvista della popolazione generale.

 

La soluzione a questa situazione non è facile, non solo perchè ormai la sfiducia ha preso il sopravvento, ma perché una parte della situazione comprende cambi fondamentali nel comportamento dei partiti stessi e dei loro capi. Per quanto potrebbe essere doloroso, il riconoscimento di una sconfitta dovrebbe essere il primo passo per capire il motivo per cui gli elettori non abbiano votato per quel partito.

 

Nel mondo anglosassone il rito della notte delle elezioni non è descritto in nessun libro di galateo politico, ma segue una metodologia precisa. Il vincitore non dichiara mai vittoria, ma aspetta la dichiarazione del capo del partito di opposizione di riconoscere la sconfitta. Potrebbe sembrare strano, effettivamente questo comportamento è una forma di “onore delle armi” al valoroso  sconfitto. Le prime parole pubbliche del candidato vittorioso sono sempre verso l’avversario per complimentarsi per la sua campagna e l’impegno del suo partito. Infatti, questo rito è cosi importante nello svolgimento delle elezioni che capi politici che aspettano troppo per dire d’aver perso si trovano a subire le critiche della stampa e anche dei loro stessi elettori.

 

Esiste anche il verso opposto del comportamento scorretto dello sconfitto. In inglese esiste un detto americano, There’s only one thing worse than a bad loser, a bad winner, ossia “C’è soltanto una cosa peggio di chi non sa perdere, chi non sa vincere”. Le parole sono chiare e hanno valore non solo nel campo sportivo, ma anche in tutte le competizione, di ogni genere.

 

Ma torniamo al sistema italiano. La fuga degli elettori del 31 maggio era un modo scomodo di ricordare il 69° anniversario della Festa della Repubblica il martedì seguente. Non intendo scrivere di martiri per il diritto del voto ottenuto con la morte dei partigiani, oppure della guerra finita solo l’anno prima. Non solo abbiamo visto frasi del genere negli articoli dei giornali e alla televisioni in questi giorni ma, peggio ancora, non farebbe niente per trovare una soluzione all’assenteismo.

La decisione di non votare fa parte della scelta del cittadino. Non andare alla cabina vale quanto chi ci va per pura formalità e lascia una scheda bianca, oppure compilata intenzionalmente da risultare nulla. Criticare chi non va perché preferisce andare al mare per un ponte invece di aspettare un giorno o qualche ora in più non fa altro che evitare di fare come fanno in altri paesi, di poter votare nei giorni prima, oppure anche in absentia.

 

Però, qualsiasi soluzione all’assenteismo deve partire dai gruppi che vantano di rappresentare gli elettori, i partiti politici. Ogni partito deve assumere l’onere di riconoscere il fenomeno e di rendersi conto degli aspetti dei loro comportamenti che inducono i loro elettori di non voler compiere il diritto e il dovere civico di votare. Le parole Democrazia e Politica rivelano la loro origine e base tra la gente, demos e polis, e il non voto vuol dire che manca sempre meno la base su cui si construisce la nostra società moderna.

 

Una democrazia forte e moderna si costruisce con la partecipazione attiva della popolazione e il non voto indica un fallimento da risolvere nella società.

 

Non è un fenomeno puramente italiano, tutte le democrazie si trovano a dover affrontare la delusione delle loro popolazioni. Però ogni paese deve affrontarla nel modo più adatto alle proprie esigenze. Nel caso dell’Italia la sfida comporterebbe finalmente affrontare le condizioni che hanno portato all’uso della parola “Casta” verso i politici e come sono diventati quasi gli “intoccabili” della società italiana, ma non nel senso indiano di strato più povero, ma come il gruppo più diffidato nel paese.

 

Questi passi non possono mai venire dagli elettori, ma dal riconoscimento da tutta la classe politica di avere la responsabilità di adempiere quelle azioni e leggi senza i quali non potrebbero mai riguadagnare la fiducia dei loro elettori. Il giorno che il pubblico vede la politica agire in questo modo sarà il giorno che gli elettori torneranno alle urne a votare.

 

Mi rendo conto che queste parole sono utopistiche e difficilmente realizzabili. Ma chiunque abbia studiato la Politica sa che i partiti nascono quasi sempre da concetti utopistici, alcuni sono datati con il cambio della società nei secoli, ma le idee fondamentali sono sempre le stesse. Nel corso degli anni queste idee bellissime sono state trasformate in azioni di bassa politica sempre meno nobili.

 

Spetta alla politica ritornare agli elettori e fornire programmi e comportamenti adatti alla società del ventunesimo secolo.   








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