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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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10 Febbraio 2015
La definizione
di Gianni Pezzano


La definizione

L’altra sera durante uno scambio su Facebook  riguardo al razzismo il signore con cui discutevo mi ha chiesto cosa, secondo me, era il razzismo. La mia risposta è stata veloce e senza esitazione.  “Il razzismo è giudicare una persona per quel che è e non quel che fa. Il razzismo è utilizzare due misure in tutto secondo con chi tratti. Il razzismo è negare diritti agli altri...”

 

Dopo, mentre pensavo agli scambi di pareri pensavo che la mia risposta fosse stata incompleta. Il razzismo è molto più sottile e per questo motivo spesso molto più pericoloso.La risposta era solo parziale perché gli atti di razzismo non si limitano soltanto a giudicare altri e decidere se sono criminali in base al loro paese di origine. Il razzismo si trova anche in atti amministrativi, scuole e in qualsiasi campo della vita quotidiana.

 

Nel 1988 ero a Roma e decisi di mangiare in un ristorante cinese. La proprieteria aveva una sessantina di anni e ovviamente cinese e mi accolse con un bel “vuoi magnà” che mi sorprese. Mentre mangiavo arrivarono il nipotino della signora con la sua morosa, anche lei cinese. Si sedettero al tavolo vicino a me e si misero a parlare, non in cinese, ma in romanesco perfetto.

Quei giovani ora saranno sposati con figli. È giusto che i figli di questi giovani che sono nati e cresciuti in Italia non possano nascere con la cittadinanza italiana? A tutti gli effetti gli immigrati nati in questo paese sono italiani, con il solo “reato” di non avere nome e cognomi italiani. Negare l’approvazione di una lex sanguinis di cittadinanza non è altro che un atto razzista di una parte del parlamento contro una sempre più grande parte della popolazione del nostro paese.

Quando andavo a scuola volevo studiare il latino, ma la scuola non mi diede il permesso. Dopo una paio di anni ci rendemmo conto che in quella scuola nessuno studente di latino era di origine non anglosassone. Sapemmo anni dopo che secondo alcuni insegnanti gli studenti italiani non avevano l’intelligenza di studiare una lingua difficile come il latino. Per noi italo-australiani andava bene il francese, ma non il latino. Naturalmente, all’epoca non esisteva nelle scuole australiane la possibilità di studiare l’italiano.

Un giorno mentre parlavo con alcune amiche di origine italiana e greca abbiamo parlato delle nostre esperienze a scuola. A questo punto bisogna precisare che fino agli anni settanti le scuole private  australiane erano segregate e allora noi maschi non sapevamo cosa succedeva nelle scuole delle ragazze. Una delle amiche mi ha sbalordito quando disse che l’addetto della scuola responsabile per aiutare le studentesse a scegliere una carriera inevitabilmente consigliava le italiane e le greche a fare le commesse, oppure la parrucchiere, perché erano le uniche carriere adatte a loro. Non erano presi in considerazione i loro voti o le loro capacità. L’unica cosa che veniva considerata per queste ragazze erano le loro origini. Per fortuna ci volle poco per queste ragazze a ribellarsi e ora ci sono donne di origine non anglossasoni in tutti i campi di lavoro in Ausutralia.

Sono solo tre esempi delle difficoltà per gli immigrati di seconda e terza generazione. Questi giovani dovrebbero essere cittadini del loro paese di nascita a tutti gli effetti. Purtroppo non è cosi. Per motivi di razzismo, più o meno occulto non vengono giudicati per le loro capacità, o per le loro azioni, ma in base a colore della pelle, religione, o il loro passaporto.

Situazioni come queste non solo creano problemi per i diretti interessati, ma impediscono anche al loro paese di residenza di poter avanzare nel miglior modo possibile.

Pochi si rendono conto che i figli degli immigrati, se educati e preparati bene e se hanno la possibilità di imparare per bene la lingua dei loro genitori, non sempre possibile purtroppo, hanno il potenziale di poter diventare i portavoci per l’Italia nel mondo. Questi stessi figli sono i migliori promotori per vendere il made in Italy al mondo perché sono coloro che meglio conoscono le lingue e le tradizioni dei paesi di origine dei loro genitori e nonni.

Senza dubbio, negare loro la possibilità di studiare  secondo le loro capacità è un atto di razzismo.

Ma integrare gli immigrati non vuol dire solo educare gli immigrati, genitori e figli, al miglior dei modi perchè la loro completa integrazione non è possibile senza dare a loro parità di diritti e di doveri. Questo non lo dice solo chi scrive, ma è incluso nel Titolo III della prima parte della Costituzione Italiana.

Atti di razzismo sono tutte quelle azioni che condizionano la vita quotidiana di qualsiasi membro della nostra popolazione a causa delle sue origini, o della sua fede religiosa o politica. La buona integrazione dei nuovi residenti nel nostro paese non potrà mai accadere affinchè ci sia almeno una persona soggetta a discriminazione.

Nel cercare l’integrazione dei nuovi residenti nel paese nessuno vuole dare agli immigrati diritti speciali, o  dare accesso a servizi privilegiati. Basta semplicemente assicurare che gli immigrati abbiano parità di diritti, che ci siano interpreti agli ospedali per garantire che le cure praticate siano quelle giuste e appropriate. Se assicuriamo che gli immigrati abbiano parità di diritti assicureremo la loro  buona integrazione nella nostra comunità.

Il razzismo esiste ovunque ci sia qualcuno che nega agli altri di imparare e parlare la propria lingua, di praticare la propria religione, oppure gli impedisce di vivere secondo i propri mezzi e e le proprie capacità.

Senza alcun dubbio il razzismo comprende le cronache che mettono in risalto i reati degli stranieri, che danno notizie non riscontrate che potrebbero coinvolgere immigrati o non cittadini, come anche non smentire immediatamente notizie infondate e poi dimostrate false. La percezione di aumenti di reati a causa di immigrati è pericolosa perché crea tensioni sociali.

Dare notizie in modo etico farebbe molto per ridurre paure create da notizie esagerate. Infatti, non è un caso che paesi di forte immigrazione non permettono di nominare cittadinanze e nomi di sospettati fino all’imputazione ufficiale del responsabile del reato. Troppo spesso nel passato il solo sospetto che uno straniero sia stato responsabile di un reato violento ha portato ad atti di violenza contro immigrati innocenti e non coinvolti, come accadde a Torino pochi mesi fa e non fu l’unico caso. Peggio ancora quando si scopre poi che non c’è stato affatto il reato, come a Torino, oppure che il responsabile era italiano e non immigrato.

 

Tutti vogliamo una società pacifica e prosperosa e nessuno lo vuole più di chi viene da paesi tormentati da guerre e catastrofi. Se vogliamo che gli immigrati siano integrati nel nostro paese cominciamo dal semplice atto di accettarli come persone semplici e di giudicarli per come si comportano e non per le loro origini.

Cominciando cosi faremmo il primo passo verso un paese sempre più ricco e pacifico. Ma lo devono fare tutti, sia i cittadini italiani che i nuovi arrivati.  

Infatti, l’integrazione è una procedura che coinvolge tutti. Il paese di origine ha obblighi legali e morali di accogliere nel migliore dei modi i nuovi arrivati nel paese. Però anche gli immigrati hanno il dovere di imparare la lingua, le leggi e le usanze del loro nuovo paese. Questo procedimento non è facile, ma la storia dell’emigrazione all’estero dimostra che è possibile e non bisogna rinunciarci semplicemente perché qualcuno ritiene che culture diverse non possono coesistere.

 








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