 | ..che tutti i bambini abbiano libri in mano e scuole da frequentare |
Cento anni fa a Sarajevo fu sparato il colpo sentito in tutto il mondo. Il 28 giugno 1914 il serbo ortodosso Gavrilo Princip assassinò il cattolico Gran Duca Francesco Ferdinando d’Austria. Quel delitto scatenò un inferno che lasciò 37 milioni di vittime tra morti, feriti, prigionieri e dispersi.
Il 20 agosto 1191 ad Acri nella Terra Santa 2.700 prigionieri furono sgozzati perché il re che li aveva catturati in battaglia si era stancato dei ritardi per il pagamento del riscatto richiesto. Il re che ordinò il massacro era Riccardo Cuor di Leone e i prigionieri erano tutti musulmani. La strage è ricordata ancora nel Medioriente.
Invece, nel Quarto Canto del suo Inferno, Dante mette il Saladino, capo di quell’esercito musulmano, tra gli “spiriti magni”, i giusti non battezzati. È considerato il più cavalleresco dei cavalieri, quasi un paradosso visto che questo concetto è essenzialmente cristiano. Infatti fece un atto di straordinaria tolleranza in un‘epoca intollerante. Nel 1187 alla cattura di Gerusalemme, compiuta senza spargimento di sangue, rifiutò l’invito del prete della Chiesa del Santo Sepolcro di pregare con lui nella chiesa. Quando il prete, sorpreso dalla decisione perché era fuori carattere per il guerriero, gli chiese il motivo, la spiegazione fu esemplare, “Se prego in quella chiesa diventerà un luogo santo per la mia gente e voi la perderete”.
Il 29 luglio 1900 a Monza l’anarchico italiano Gaetano Bresci assassinò il re d’Italia Umberto primo. Era uno di tanti atti di terrorismo compiuti da anarchici italiani. Fu uno dei motivi del pregiudizio anti-italiano negli Stati Uniti che porteranno alle esecuzioni di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti in Boston nel 1927. Nel 1977 i due condannati furono perdonati dal Governatore dello stato di Massachusetts che riconobbe che fu il pregiudizio razziale che portò alla sedia elettrica e non le prove di un processo farsa.
Il 28 aprile 1986, Martin Bryant, un giovane biondo dagli occhi blu entrò nel sito storico di Port Arthur, Tasmania in Australia. Nel corso di quella giornata Bryant, poi riconosciuto squilibrato, uccise trentacinque persone e ne ferì altre diciotto, fino al 2011 la strage più grande compiuta da un uomo solo. Questo fu il secondo atto di terrorismo in Australia dopo l’attentato all’Hotel Hilton di Sydney del 13 febbraio 1978 che ancora oggi rimane senza colpevoli.
Il 7 dicembre 1992 ad Ayodhiya in India un folla di oltre mille fedeli hindù distrusse la moschea locale che risaliva al 500. Secondo il rapporto ufficiale sull’incidente la folla fu organizzata dai capi del partito politico nazionalista BJP. Nelle sommosse che ne seguirono oltre 1.000 persero la vita. Nel 2002 un’altra moschea fu distrutta allo stesso modo ad Ahmadabad, mettendo la statua del dio Hanuman al posto del palazzo distrutto.
Il 21 luglio 2011 all’isola di Utoya in Norvegia, Anders Breivik, anche lui biondo dagli occhi blu, fece irruzione in un campeggio di giovani attivisti del Partito Laburista Norvegese. Nel corso di sette ore il ventunenne estremista di destra uccise settantasette persone e ne ferí altre 209. Ora condannato a trent’anni di reclusione, il massimo sotto la legge norvegese, alcuni giovani attentatori negli Stati Uniti hanno citato Breivik come l’esempio per le loro azioni.
Dopo gli attentati di Sydney e Peshawar di questi giorni sarebbe facile puntare il dito contro i musulmani per dire che sono la causa principale di tensioni internazionali. Dopo episodi del genere è fin troppo facile scordare che atti di terrorismo non sono compiuti solo da musulmani, oppure pensare che siano solo episodi recenti. Gli avvenimenti attuali non devono farci perdere il senso della proporzione, dobbiamo sempre ricordare che i fanatici, i malvagi non hanno un colore della pelle, un’unica fede, né appartengono solo a un gruppo politico.
Il dizionario Treccani definisce il terrorismo come “l’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e sim.”. Leggendo questa definizione ci vuole poco per capire che il terrorismo non è semplice da identificare, né da prevenire.
In questi giorni abbiamo visto il rilascio del rapporto del Senato degli Stati Uniti sugli episodi di tortura e interrogazioni illecite della CIA nella cosidetta “guerra al terrorismo” dopo l’attentato dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelli di New York. Il comportamento descritto nel rapporto degli esponenti statunitensi certamente corrisponde a questa descrizione.
Abbiamo appena visto la Sony cancellare il rilascio di un film natalizio “L’Intervista” perché la società era soggetta ad attacchi di hackeraggio che pretendevano che il film non uscisse. Il film è una parodia di Kin Jong-Un, il dittatore della Corea del Nord e allora la fonte del terrorismo è ovvia.
Nel concentrare l'attenzione solo su alcuni atti diventa facile perdere la visione di verità dolorose. Scordiamo che violenza e morti non sono una triste condizione del mondo moderno. Peggio ancora, scordiamo che le vittime non appartengono solo a un gruppo, o nazionalità. Nel vedere le notizie della morte dei cinque occidentali dall’ISI perdiamo di vista i musulmani giustiziati contemporeamente dagli stessi assassini. Nel leggere le cronache dell’attentatore solitario è facile perdere la notizia della condanna condizionale di tutta la comunità musulmana australiana all’assalto.
A causa di questi due episodi per qualche giorno i giornali del mondo non parlano più delle tensioni tra la Russia e l’Ucraina e dunque scordiamo che i due paesi contendenti sono cristiani. Solo pochi mesi fa a causa di questo conflitto fu abbattuto un aereo civile con quasi trecento persone a bordo e non sappiamo ancora con sicurezza quale delle due parti ne sia responsabile. Senza parlare degli altri morti in quel conflitto.
Grazie a questi attentati abbiamo scordato che soltanto la settimana prima il Nobel della Pace fu assegnato alla diciassettene pachistana Mamala Yousafzai e il sessantenne indiano Kailash Satyarthi. Un notizia di speranza per il futuro che non deve essere scordata.
La motivazione del premio dice “I bambini devono poter andare a scuola e non essere sfruttati per denaro. Nei paesi più poveri del mondo, il 60% della popolazione ha meno di 25 anni di età ed è prerequisito per lo sviluppo pacifico del mondo che i diritti dei bambini e dei giovani vengano rispettati. Nelle aree devastate dalla guerra, in particolare gli abusi sui bambini portano al perpetuarsi della violenza generazione dopo generazione”.
Sono parole eloquenti che ci dicono in modo chiarissimo che i bambini sono il futuro del mondo e che esiste, non il diritto all’educazione, bensí l’obbligo dei governi di garantire l’educazione a tutti. I paesi poveri rimarranno tali se le loro popolazioni rimarranno analfabete e dunque incapaci di crescere economicamente. I paesi poveri non potranno proseguire e modernizzarsi se le loro popolazioni vivono nelle condizioni dei secoli bui e non nel ventunesimo secolo.
Dobbiamo capire che la guerra di educare i giovani è mondiale e non limitata solo ai paesi poveri. I terroristi sono solo terroristi punto e basta e non bisogna etichettarli con il nome delle religioni che danneggiano con le loro azioni. Ma i bambini sono di tutti e sono il futuro del mondo.
Poi, diciamo la verità, la migliore arma contro questi fanaticismi non è con le armi ma, parafrasando Malala, assicurare che tutti i bambini del mondo abbiano libri in mano e scuole da frequentare. Senza eccezioni...
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