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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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16 Dicembre 2014
La barriera invisibile
di Gianni Pezzano



La barriera invisibile
Spaghetti allo scoglio

Quattro volte Luigi aveva chiesto alla signora che lavoro facesse suo marito e quattro volte lei aveva risposto ruffiano. Dietro le spalle della donna lui vedeva gli sguardi curiosi e divertiti dei suoi colleghi al Consolato d’Italia e cominciava a pentirsi d’essersi offerto di aiutare la signora a riempire quel modulo. Non voleva mollare, sapeva che non poteva inviare il modulo con quella parola, ma la signora insisteva che suo marito facesse proprio quel mestiere.

“Signora, cosa fa suo marito?” le chiese per la quinta volta. “Ve l’ho detto,”  ripetè lei per l’ennesima volta “Il ruffiano.” “È contenta del lavoro che fa suo marito?”, “Certo, fa tanti di quei soldi”. E di nuovo Luigi lasciava vuoto la spazio del modulo. Vedeva che la signora cominciava a perdere la pazienza e allora le disse di nuovo “Signora, lo sa che non posso mettere quel mestiere?”. “Perché no? E quel che fa, lo sanno tutti.” Esasperato, il cancelliere del consolato: “Ma signora, cosa fa suo marito?”. “Lavora sui ruffi!” (roofs, in inglese, pronunciato ruff, vuol dire tetto).

Luigi vide i suoi colleghi scappare per non ridere davanti alla donna. Luigi non fece alcun commento, annuì con un piccolo sorriso controllato mettendo la parola nella casella e completò il modulo dopo pochi minuti. Solo dopo la partenza della signora si permise la risata che voleva fare nel sentire la spiegazione del mestiere.

Filippo e Giovanna erano andati in Australia per trovare Rocco, fratello di lui che era emigrato qualche anno dopo la fine della guerra. Quella sera tutti e quattro erano vestiti nel miglior modo possibile perché Rocco aveva promesso che avrebbero avuto una serata divertente in un posto speciale. Per strada Filippo chiese al fratello, “Dove andiamo?”. “Al Casino” rispose il fratello con gran piacere, riflesso anche dalla moglie. Filippo non sapeva cosa rispondere, pensava che il fratello fosse diventato matto e vedeva la propria moglie con la bocca aperta per l'orrore. “Ma cosa vuol dire casino? Mica vuoi scherzare?”. Rocco rispose ridendo, “No, non scherzo, Giovanna ed io ci andiamo spesso, vedrete che ci divertiremo”.

I due ospiti non sapevano cosa dire o come reagire, certamente non volevano credere che il fratello e la cognata volessero portarli in un bordello, ma per non litigare Filippo fece un gesto alla moglie di non dire niente. Dopo venti minuti di viaggio arrivarono ad un palazzo in centro e videro le luci che formavano le parole “Adelaide Casino”. Dai simboli intorno alle parole capiscono che  in inglese la parola “Casinò” non ha accento. Marito e moglie scoppiarono in una risata liberatoria, raggiunti poi anche dai cognati quando spiegarono il motivo del divertimento.

Senza dubbio la lingua italiana è l’elemento che ci differenzia dalle altre nazionalità. Purtroppo spesso è proprio la lingua a formare una barriera invisibile che crea equivoci tra chi abita in Italia e i parenti e amici all’estero, a volte buffi come questi due casi e a volte portando a litigi seri. Però non è un problema solo italiano, succede in tutte le lingue, basta pensare alle differenze enormi nella lingua inglese da un paese a un altro.

Ci sono tante persone in Italia convintr che i parenti all’estero facessero lavori rurali non sapendo che la fattoria ricordata nelle lettere e nelle telefonate fosse uno stabilimento e l’unica parola che l’emigrato conosce per il luogo è fattoria, la loro versione della factory inglese.

I libri d’italiano come seconda lingua ci insegnano la grammatica, ma insegnano poco per svolgere i compiti quotidiani più normali. Allora un turista italo-australiano si presenta al forno in Italia per comprare del pane e chiede una loffa, dalla parola loaf, ossia pagnotta in inglese. Purtroppo in alcuni dialetti quella parola ha più a che fare con gli effetti collatterali dei fagioli che il prodotto del fornaio...(!)

Qualsiasi lingua è in costante evoluzione con i cambi della vita. Chi torna in Italia dopo un lungo periodo all’estero sente subito i cambiamenti nella lingua nel corso degli anni. I cambi vengono da tutte le fonti, dalla televisione o cinema, da qualche canzone popolare, oppure un comico che introduce una frase buffa che viene accolta da tutti. Allora perché meravigliarsi che la lingua subisca poi questi cambiamenti, a volte soprendenti in paesi dove la lingua nazionale è diversa? Però non è soltanto la lingua che cambia.  

Infatti, il discorso diventa ancora più complicato quando cominciamo a parlare della cucina italiana all’estero. Non sempre quel che ordini in un ristorante italiano all’estero coincide con quel che dice il vocabolario italiano. Un caso famoso è il pepperoni (sic) che ordini su una pizza. Naturalmente in Italia ti arriva una pizza con peperoni grigliati, invece in tanti altri paesi ti arriva una pizza con il salame piccante che all’estero ha preso il nome pepperoni.

In Australia chi va al ristorante italiano e ordina spaghetti alla marinara sicuramente non si aspetterebbe di trovarsi con un piatto di pasta e pesce. Infatti, i primi ristoratori italiani hanno utilizzato la prima parola che venisse loro in mente per descrivere il piatto che in Italia si chiama “allo scoglio”. Allo stesso modo la “salsa marinara” si chiama “neapolitan sauce” in Australia.   

Naturalmente il turista australiano che va in Italia non solo deve affrontare il fatto che non esistono gli spaghetti bolognaise, o che il cappuccino non si serve oltre le 10.00 del mattino e a temperature fredde secondo i gusti italiani, ma anche il fatto che i piatti che ordinano non sono quelli che mangiano in Australia.

Anche se è ingenuo, questi turisti non hanno torto nel pensare che quel che si mangia in Italia dovrebbe essere uguale a quel che si mangia in Australia.  Differenze di prodotti disponibili e i gusti della popolazione anglosassone assicurano che i piatti serviti in Australia subiscono cambiamenti inattesi in patria. La stessa cosa succede in Italia con i ristoranti cinesi che aggiungono pomodori e altri prodotti sconosciuti in Cina per piacere al palato italiano.

Sorrido quando gli australiani tornati da vacanze italiane dicono che la pizza e il caffè sono meglio in Australia. Il prodotto che mangiano di solito all’estero non è uguale a quello servito in Italia. Tradizione, gusti e usanze dei vari paesi hanno prodotto culture culinarie diverse. Attenzione però, diverse non vuol dire peggiori o migliori. In fondo sappiamo dei litigi su  come si cucinano i piatti in Italia, figuriamoci se non succedono le stesse cose tra un paese e un altro.

Viaggiare ci insegna, non solo di luoghi nuovi, ma anche di scoprire che quel che noi pensiamo sia normale e immutabile in effetti è capace di mostrare facce diverse e di rinnovarsi nel tempo.








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