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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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05 Dicembre 2014
Il menu che cambia
di Gianni Pezzano



Il menu che cambia
kebab
Quando usiamo la parola cultura tanti pensano soltanto all’arte, al cinema, alla letteratura e alla poesia. Spesso scordiamo che la cultura comprende tutti le facce della vita di un paese. Allo stesso tempo la cultura è come un essere vivente, cresce, ingrandisce, cambia per riflettere i cambiamenti nel paese. Il campo della cultura dove i cambiamenti sono più evidenti è in cucina.
Nella mia gioventù in Australia il rito del sabato in casa mia, come in tante altre case italiane, consisteva nell’andare con mia madre in una via centrale della città. La prima sosta era a un piccolo negozio ortofrutticolo gestito da due siciliani, fino all’inizio degli anni 70 l’unico negozio che vendeva verdure esotiche come broccoli, zucchine, carciofi, peperoni, melanzane. Si, esotici, ma per gli australiani. Poi la seconda fermata era al un negozio vicino gestito da greci che vendeva olio d’oliva, pasta, salame e le spezie necessarie per la nostra cucina.
Con il passare degli anni questi prodotti cominciavano ad apparire nel mercato centrale della città e nei supermercati. Come per i prodotti italiani, col tempo è successo la stessa cosa con i prodotti di tutti gli altri gruppi nazionali immigrati in Australia e i supermercati e mercati del paese ora vendono prodotti che rappresentano quasi tutti i paesi del mondo.
Ho pensato a questo mentre vedevo una foto di un gruppo che indossava magliette con la scritta "Si alla spiedo e no al kebab". Mentre non metto in dubbio la buona volontà dei partecipanti, la storia dimostra che la loro battaglia è già persa. Basta vedere le file di ragazzi italiani a comprare kebab ogni giorno in tutto il paese. Lo spiedo non sparirà, ma i nuovi prodotti fanno già parte del nostro nuovo menu.
Guardiamo in Inghilterra e vedremo che da oltre un decennio il fast food più popolare non è più il famoso "fish and chips" (patatie fritte con pesce in pastella), ma il "chicken tikka masala", un piatto indiano che, incredibilmente, non esiste nel suo paese d’origine. Un giorno un cliente non trovando aperto il suo negozio regolare di fish and chips si è recato a un negozio di cibo indiano. L’unico piatto che gli interessava era il chicken tikka, spiedini di pollo speziato che di solito viene mangiato da solo. Però il nuovo cliente voleva una salsa, come l’usanza inglese, allora per non perdere il cliente il proprietario ci ha messo su la salsa masala di un noto spezzatino indiano. La settimana dopo il cliente è tornato per il bis e nello spazio di pochi anni il piatto è sparso per tutto il paese.
Vediamo questo cambiamento in tutti i paesi con immigrati. Ma il caso del chicken tikka masala dimostra che i piatti subiscono cambiamenti che riflettono i gusti del paese di residenza e non del paese d’origine dei vari piatti. Spesso il risultato è di piatti irriconoscibili ai loro paese d’origine. Chi guarda il programma "Man Vs Food" avrà visto i piatti italiani presentati nei locali italiani negli Stati Uniti e non dubito che tanti di questi spettatori avranno pensato che non fossero italiani. Hanno ragione, è la cucina nuova che riflette i cambi della cultura culinaria italiana e allo stesso tempo i cambi nella cultura culinaria americana.
Questo non è un fenomeno nuovo. È un fatto di storia e la scoperta di spezie indonesiane in una macelleria dell’antica Pompei ci dimostra che la cucina, come la cultura sia in continua evoluzione.
In Italia "alla fiorentina" indica uno specifico  taglio di carne, soprattutto da un animale particolare, la Chianina. Però, fuori d’Italia "alla fiorentina" vuol dire con gli spinaci. La spiegazione è semplice. Quando Caterina De Medici diventò regina di Francia portò con se il suo cuoco personale. Visto che lei adorava gli spinaci allora accompagnavano tutti i piatti destinati per lei. In poco tempo i francesi, e dopo di loro il mondo, volle mangiare il piatto della Fiorentina.
L’Inghilterra ci fornisce un’altra storia divertentissima. Nei primi decenni dell'ottocento un Lord inglese tornò dai suoi viaggi in India con la ricetta indiana prediletta. Commissioniò a due farmacisti di farla, ma il risultato fu deludente e il prodotto rimase in cantina. Qualche anno dopo uno dei farmacisti trovò i barili della salsa, la provò e ebbe la sorpresa che l’invecchiamento aveva dato un gusto nuovo ed intrigante alla salsa. La mise in vendita col nome della zona, il Worcestershire.
Anche la cucina italiana ci dimostra esempio dopo esempio di piatti entrati nella nostra cucina dall’estero e che ora sono simboli del nostro paese o di qualche nostra città. Naturalmente il primo e più famoso di questi sono gli spaghetti, anche se gli storici non sono del tutto d’accordo. Ma senza dubbio la Cina di Marco Polo aveva piatti simili all’epoca, se non identici ai nostri spaghetti. Il secondo caso è diventato un icona di Napoli, il babà che arrivò dalla Polonia tramite soldati napoleonici.
I nuovi arrivati, i nuovi prodotti, le nuove cucine non sono un pericolo per la nostra cultura. Sono le parole di una nuova pagina della storia del nostro paese. Dimostrano che il mondo ha ancora molto da insegnarci, come gli italiani hanno insegnato all’estero. Infatti, nei programmi televisivi come Master Chef Italia e il Re delle Griglia la presenza di concorrenti non italiani e ingredienti e prodotti stranieri, senza scordare poi i piatti preparati con chiare ispirazioni estere, dimostrano che il cambio non solo è arrivato, ma è anche accettato con piacere dai grandi cuochi italiani e dei concorrenti stessi.
La mia reazione alla foto contro i kebab è stata di sorridere. Di tutti gli emigrati nel mondo, il gruppo che ha fatto spargere di più la propria cucina nel mondo siamo stati proprio noi italiani. Non esiste paese nel mondo senza ristoranti italiani e pizzerie. Dobbiamo essere noi per primi a capire che questo cambiamento è inevitabile e naturale. Dobbiamo essere noi ad aprire le braccia per accogliere i nuovi gusti.
La prossima volta che andiamo a fare la spesa al supermercato guardiamo gli scaffali, apriamo gli occhi e vedremo che il menu nuovo è già pronto per essere assaggiato. È il gusto del nuovo, il gusto del cambiamento, perchè senza cambiamento non c’è più vita.







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