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28 Novembre 2014
Quale verbo?
di Gianni Pezzano



Quale verbo?
Abraham Lincoln
Le parole sono armi e utilizzare una parola invece di un’altra cambia la direzione di un dibattito. Un esempio classico è il perno sul quale gira il dibattito politico italiano da tanti anni. La differenza tra governare e comandare. 
Il dizionario Treccani definisce governare come "reggere le sorti di uno stato, esercitando i diritti e le attribuzioni proprie del potere esecutivo". Invece definisce comandare come "Ordinare, imporre di fare una cosa" . Leggendo queste due definizioni è facile capire quella che più si addice alla democrazia, in effetti, la differenza tra questi due verbi definisce la differenza di visione politica da un partito a un altro. 
Abbiamo sentito nei discorsi del Presidente della Repubblica la frase "esercitare i diritti e le attribuzioni proprie del potere". Si capisce senza dubbio che chi fa parte del governo agisce entro i limiti stabiliti dalla costituzione. Allo stesso modo si capisce anche il ruolo della Corte Costituzionale, perché nel mondo selvaggio che è la ricerca di compromessi per ogni legge approvata dal parlamento è fin troppo facile far passare clausole che vanno oltre i poteri costituzionali. 
L’intervento della Corte Costituzionale non è insolito e limitato soltanto all’Italia. Basta seguire la politica negli U.S.A., in Australia e le altre democrazie per vedere che anche in questi paesi interventi della loro Alta Corte fanno parte della vita politica, però nessuno sognerebbe di proporre l’abolizione dell’Alta Corte. Anzi, il ruolo di questi giudici è considerato una parte fondamentale della democrazia e un mezzo per bilanciare il potere dei politici. 
Dall’altro lato i due verbi "ordinare e imporre" sono la definizione stessa di cosa vuol dire una dittatura. Chi impone non cerca di seguire regole precise, ma vuole essere libero di seguire la propria strada e di non tollerare chi non ubbidisce ciecamente. Figuriamoci poi i limiti imposti dalla costituzione, oppure l’Alta Corte. 
Allo stesso tempo bisogna riconoscere che all’interno di una democrazia esiste una categoria specifica che si impegna a comportarsi secondo la seconda definizione, le forze armate. Per la loro natura e le condizioni in cui spesso si trovano durante le loro azioni, il soldato è tenuto a obbedire gli ordini dati dai suoi superiori. Ma l’obbedienza assoluta non è più una condizione imprescindibile per un soldato. 
Durante i processi di Norimberga la difesa vincente di tanti soldati era "d’aver eseguito gli ordini dei propri superiori". Questa fu la difesa di Herbert Kappler, l’ufficiale SS responsabile per la strage delle Fosse Ardeatine e infatti ha avuto successo. La sua condanna non fu per la rappresaglia dei dieci italiani per ogni soldato tedesco morto, incredibilmente fu per le cinque vittime in più che furono uccise. Purtroppo un caso tragico dove alcuni morti valevano davvero più degli altri. 
In seguito ai processi post bellici il codice penale delle forze militari fu cambiato per stabilire l’obbligo di un ufficiale di non obbedire a ordini illeciti. Dalla fine della seconda guerra mondiale nessun ufficiale può citare l'obbedienza per giustificare di aver eseguito l’ordine di ammazzare civili, o prigionieri. Chi segue i processi di Ratko Mladic e Radovan Karadzic, i maggiori responsabili per le stragi durante i conflitti nei Balcani sa che proprio questo è il punto centrale sia della difesa che del pubblico ministero. 
Nessuna delle due definizioni sopracitate impedisce a un uomo forte di diventare capo di un governo. Ma il destino della democrazia cambia a seconda se l’uomo forte comanda o governa. 
Nel caso di una visione autocratica della politica il capo del governo dovrebbe essere per definizione un uomo forte, capace di imporre le sue idee e ambizioni al paese. In questo caso le regole della democrazia sono a rischio perché un capo di governo simile non si considera tenuto a regole che limitano le sue azioni, o che gli impediscono di prendere decisioni che non sono nelle sue competenze. Col tempo un tale capo diventa il simbolo stesso del paese e i suoi ministri diventano comparse senza competenze di decisioni. I limiti ai poteri del capo vengono visti come limiti al destino del paese e con questo pretesto i passi verso le dittature sono pochi e veloci.
Perciò, in una democrazia la presenza di un uomo forte di questo genere diventa un pericolo per la democrazia stessa.  Esempi di questo tipo di capi di governo in democrazie sono facili da trovare, i primi due si chiamavano Benito Mussolini e Adolf Hitler.  
Un uomo forte che governa invece gestisce la corsa del governo e dunque del paese. Il consiglio di ministri diventa come il consiglio di amministrazione di una grande società che decide insieme le leggi e le tattiche da seguire. In seguito il capo di governo e/o i ministri responsabili presentano le proposte di legge per l’approvazione del parlamento. Il capo di governo davvero forte e democratico  è quello capace di guidare il governo entro le regole della costituzione e le decisioni del parlamento. Per questo motivo nel sistemaa Westminster utilizzato nei paesi del Commonwealth Britannico s'impone la fine della legislatura alla sfiducia del governo con il ritorno immediato alle urne.
In fondo una democrazia non si costruisce su un uomo, non importa quanto forte. Si basa sulle decisioni degli elettori. Troppo spesso si sottovaluta chi vota. Abraham Lincoln disse "Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo". A lungo termine gli elettori capiscono chi cerca di cambiare il paese per il bene o per il male.
Un politico davvero forte segue il programma del governo, entro i limiti della costituzione. Non sempre i passi necessari sono indolori, come tagli di servizi necessari e aumenti di tasse, ma proprio se necessari il capo di governo ha l’obbligo di seguire il programma. Dunque se un politico ha le idee chiare di cosa vuole fare e dimostra la capacità di andare fino in fondo con un programma politico preciso e lungimirante verrà premiato alle urne
Ma queste condizioni hanno un prerequisito specifico da parte degli elettori, di aspettare di vedere i risultati dei cambiamenti. È fin troppo facile pretendere riforme importanti, ma in quasi tutti i casi le riforme hanno bisogno di tempo  e solo dopo questo tempo si può giudicare per bene l’operato di un governo. In parole povere, se  alla fine della legislatura il governo può dimostrare d’aver compiuto il suo programma allora ha le carte in regola per chiedere di nuovo la fiducia dei cittadini. D’altronde, se non li ha fatti, allora il suo operato avrà fallito e il cittadino ha il dovere e il diritto di votare un altro governo.
La democrazia in azione non si compie in un anno o due, ma si compie in legislature, decenni e anche generazioni. Basta vedere la storia spesso difficile di altre democrazie. In fondo, i cittadini sono i veri giudici dell’operato del governo e danno il loro verdetto alle urne, ma per farlo bene devono avere la pazienza di attendere i risultati.







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