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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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21 Novembre 2014
Settant'anni dopo
di Gianni Pezzano



Settant'anni dopo
Cappello tipico dell'esercito australiano

La prima volta che sono venuto a Faenza il mio amico Gino mi ha chiesto di portargli un cappello tipico dell’esercito australiano, quello col fianco alzato. Quando gliel’ho consegnato mi ha spiegato che aveva ricordi dei soldati che l’indossavano alla liberazione di Faenza alla fine del 1944. Ora che in questa città, come in altre città e paesini della zona dove si organizzano le commemorazioni della loro liberazione, Gino non c’è più, mi dispiace perché avrebbe potuto aggiungere un’altra testimonianza a un’epoca storica importante e difficile.
Queste commemorazioni si svolgono in un periodo economico difficile per il paese e un risultato è un altissimo livello di disoccupazione giovanile. Purtroppo questi disagi sociali hanno creato l’opportunità di far risorgere fantasmi dal passato e non mancano le persone con la volontà di farlo.
Un mese fa ho sentito una ragazza giovane dire che la migliore cosa per il paese sarebbe il ritorno di Mussolini. A me è sembrato strano evocare un politico che, con le decisioni di far entrare l’Italia in tre guerre, fu direttamente responsabile della morte di più italiani di qualsiasi altro personaggio della Storia del paese.   
Come dimostra questo episodio,  i fomentatori di questo passato ignorano, in entrambi i sensi della parola, cosa voleva dire veramente il ventennio.
Settant’anni sono tanti e i testimoni diretti degli episodi importanti di quei due decenni non ci sono più per dire cosa veramente è successo nel paese. Non rimane più nessuno di quelli che non potevano trovare lavoro perché non avevano la tessera al partito. Non rimane più nessuno che fu soggetto di minacce, violenza, castighi e peggio perché osava criticare un fascista semplice, tanto meno il duce stesso. Non rimane nessuno che fu costretto all’esilio per evitare carcere, o morte e in alcuni casi la morte li seguì anche all’estero. Non rimane più nessuno che fu costretto al matrimonio per poter avere una promozione al lavoro, oppure doveva pagare tasse più alte perché ancora scapolo
 Ci vuole poco per trovare pagine sui social media che lodano gli anni sotto Mussolini, ma chi li gestisce non dice le verità nascoste dietro le frasi propagandistiche. Dicono di un periodo senza reati e delitti, ma non dicono che non esistevano pubblicamente perché era proibito ai giornali pubblicarli. Parlano in queste pagine del vanto fascista d’aver domato la mafia in Sicilia, ma non dicono che Cesare Mori, il Prefetto di Ferro, responsabile, fu rimosso dall’incarico perché si avvicinava troppo a personaggi di spicco nel partito e dunque intoccabili.
Basta guardare cosa successe con l’arrivo degli alleati a Napoli e in Sicilia per capire che la criminalità organizzata non era mai stata domata del tutto. Nel suo libro "La Pelle" Curzio Malaparte svelò la realtà criminale scomoda di Napoli che i decenni dopo hanno soltanto confermato.
Infine questi siti non dicono che non furono gli alleati a rimuovere Mussolini come capo del governo, ma i gerarchi del suo stesso partito perché lui non era più capace di far uscire il paese dall’alleanza con Hitler e la guerra.
Questi sogni del ritorno a un passato glorioso si basano su un passato impossibile perché il mondo che descrivono non è mai esistito.
La nascita di questi gruppi dimostra lo sbaglio di non aver voluto mettere sotto processo i responsabili dei reati commessi in quegli anni sotto il nome del paese. Con i processi di Norimberga i cittadini della Germania furono costretti ad affrontare le responsabilità dei loro capi e i delitti contro l’umanità commessi nel nome di Hitler e della Germania. Purtroppo non possiamo dire la stessa cosa in Italia. La concessione di un’amnistia, anche per coprire i reati del dopo guerra, non fece altro che aiutare a creare il mito di un paese che non commise mai reati. Purtroppo non era vero. Alfio Caruso scoprì l’uso del gas dai militari italiani durante le guerre coloniali. Come ci sono anche prove della complicità italiana in stragi e non soltanto durante il periodo di Salò.
Ma per motivi di politica internazionale, precisamente l’arrivo della Guerra Fredda e il ruolo chiave che assunse l’Italia a causa della sua geografia, si decise di non seguire i processi ai criminali di guerra e contro la popolazione italiana da parte di italiani. La decisione poteva sembrare sana e logica all’epoca, ma il tempo ha mostrato che questa mancanza non fece altro che creare problemi che il nuovo stato costituzionale non è ancora riuscito a risolvere.
Con l’arrivo del settantesimo anniversario della disfatta italiana, il paese ha l’obbligo di affrontare questi fantasmi e non solo per onestà storica. Nel paese la democrazia non è ancora forte, soffre di difetti causati da clausole inserite nella nuova costituzione repubblicana per evitare il ritorno della dittatura. Ma vediamo dalla stato della politica attuale che sono proprio queste clausole la causa delle debolezze della democrazia italiana.
La soluzione ai problemi dell’Italia non è nel ritorno al passato impossibile. La soluzione si trova nella democrazia stessa e risolvere quelle clausole che bloccano la creazione di un sistema di governo efficace. La soluzione ai questi problemi non si trova nella forma di un uomo forte, come speravano i seguaci di Berlusconi prima e anche una parte dei seguaci di Renzi ora.
La soluzione si trova in un parlamento forte ed efficace e si trova in un sistema elettorale capace di far quel che nessuna elezione italiana è riuscita a fare dalla guerra, formare un governo capace di decidere leggi senza bisogno di compromessi nocivi al paese. La soluzione vera è di dare al paese un governo davvero democratico. Possiamo solo augurare che succeda al più presto.
Abito a pochi chilometri da Bagnacavallo dove nacque Leo Longanesi. Fu fascista di prima fila e fece parte della Marcia su Roma. Fu lui a scrivere il Decalogo Fascista che finiva con la frase celebre "Il Duce ha sempre ragione". Malgrado questo appoggio apparentemente incondizionato Longanesi si rese conto che la strada presa dal suo capo era sbagliata e faceva male al paese.
Nel 1944, dopo avere visto il destino crudele del suo paese e prima ancora di sapere la fine del suo ormai ex capo disse le parole che solo l’esperienza poteva insegnare e che tanti oggi hanno scordato, "Soltanto sotto la dittatura riesco a credere nella Democrazia".








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