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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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31 Ottobre 2014
L'altro volto
di Gianni Pezzano


L'altro volto

La storia dell’emigrazione italiana è composta anche di un volto che nessuno vuole ricordare, tanto meno commemorare. 
Benché la stragrande maggioranza degli emigrati italiani sia onesta e lavori al massimo per dare un futuro ai propri figli, non si può dire lo stesso di una piccola minoranza che ha macchiato l’immagine degli italiani in tutto il mondo. Purtroppo ora in Italia succede la stessa cosa con i nuovi immigrati.

Le due storie che sto per raccontare sono vere, hanno come protagonisti degli italiani e sono ambientate all’estero.

Del primo caso ricordo benissimo l’inizio e il  pomeriggio quando Marino è entrato al bar. Abbiamo visto tutti che era sconvolto.
"C’è la polizia al ristorante, hanno arrestato Gino e stanno perquisendo tutto il locale", ha detto subito. Remo gli ha fatto un caffé, ma Marino non sapeva altro. Che Gino fosse stato arrestato non ci ha sorpreso più di tanto, lo conoscevamo bene e non aveva mai nascosto il suo passato, ma non pensavamo che avrebbe fatto qualcosa per meritare questo trattamento.

Il giorno dopo era la notizia principale del giornale locale e di tutti i notiziari. Era stata scoperta una piantagione enorme di marijuana al nord della città e abbiamo capito il perché dell’azione del giorno prima. Benché Gino non fosse stato nominato per motivi tecnici, il nome del coimputato ha sconvolto la città. Era il capo della squadra antidroga della polizia regionale. Infatti il processo ha preso poi il nome del poliziotto.

Malgrado i giornali chiamassero Gino semplicemente "Mister X", tutti nella città sapevano chi fosse, il suo locale era ben conosciuto. Incredibilmente, nello spazio di due settimane il ristorante ha triplicato il suo guadagno ed cosí le cose sono andate avanti fino alla fine del processo. Erano quasi tutti clienti nuovi che volevano vedere in faccia il personaggio misterioso coinvolto. Gino non si è mai nascosto da questi sguardi curiosi e infatti ha messo su tutte le pareti foto di Marlon Brando da "Il Padrino" per prendersi beffa di loro.

Il processo è finito con una condanna esemplare all’ormai ex detective e a Gino con la condizionale. La leggerezza della condanna a Gino ha sorpreso tutti e i giornali hanno protestato, ma senza alcun esito. Non ha mai fatto un giorno di galera, malgrado una pantagione di marijuana di un valore di diversi milioni di dollari.

Qualche mese dopo, durante una serata tra amici in cui era presente anche Gino, qualcuno gli ha chiesto come avesse fatto. Ha risposto col suo solito sorriso beffardo e poi ha detto, "Cosa pensate facessi nel mio bordello quando venivano i politici, poliziotti e giudici come clienti? Ho semplicemente fatto capire che se fossi andato in galera avrei fatto uscire le videocassette dei loro incontri". Non avevamo alcun dubbio sul fatto che dicesse la verità.

Con la fine del processo, il ristorante ha cominciato ad andare male. Nello spazio di tre anni è andato in fallimento e Gino si è trovato divorziato e senza lavoro, ma non è rimasto cosí per molto. Un giorno abbiamo saputo che aveva cominciato a gestire un locale di lapdance. Poco dopo si è presentato al solito bar con un gran sorriso e una ragazza vistosa al suo fianco, ovviamente una delle ragazze del suo locale. Si è seduto al mio tavolo e ci siamo messi a parlare. Dopo un po' ha tirato un sospiro e mi ha detto "caro mio, ho cominicato col sesso e finirò col sesso". Ci voleva poco per capire cosa volesse dire, il suo locale era nello stesso palazzo di un albergo e a meno di cento metri dal casinò della città.

Nemmeno un anno dopo ha comprato una villa costosa in un quartiere di lusso. Non lo vedo da anni, ma ho saputo che si è ritirato pochi mesi fa, gestendo il locale fino alla fine.

Il secondo episodio che voglio raccontare è successo in un grande centro rurale. Era un paese prosperoso non troppo distante dalla capitale dello stato. Aveva una grande comunità di origine italiana, composta quasi tutta da parenti e paesani.
Purtroppo alcune delle piantagioni non erano legali e in poco tempo il distretto ha cominciato ad avere la nomina della capitale della marijuana. Peggio ancora, gli abitanti originali della zona hanno cominicato a chiamare le grandi ville degli italiani grass castles, ossia "castelli di erba". Non imporatava che la stragrande maggioranza degli italiani fosse onesta, l’etichetta è stata messa a tutti.

Un uomo d’affari nato e cresciuto nel paese ha cominciato una campagna contro la criminalità importata. Voleva vedere il suo paese tornare al suo passato pulito e innocente, non più inquinato da chi si beffava della legge. Un effetto naturale di questa sua campagna è stato anche un peggioramento dei rapporti tra gli immigrati italiani e gli altri abitanti. I giornali e le televisioni regolarmente parlavano di lui come un eroe e in poco tempo è stato considerato il candidato naturale alle successive elezioni statali. Non si è mai candidato.

Un giorno hanno trovato il suo furgone macchiato di sangue e con alcuni bossoli al suo interno. Un uomo, non italiano, è stato condannato all’ergastolo per aver progettato l’omicidio e nel corso del progetto sono saltati fuori i nomi di chi avrebbe voluto far sparire il potenziale politico, ed erano italiani. Di tanto in tanto la polizia statale riprende le ricerche del corpo, ma fino ad oggi sempre senza successo.

Potrei andare avanti con altri casi simili, come la strage di Duisburg in Germania del 2007, o semplicemente fare una ricerca su Google per trovare casi da tutto il mondo che trattano di criminalità di origini italiane, ma non servirebbe che a confermare casi come questi e tanti ancora peggiori. Non tutti i criminali hanno un nome, spesso sono senza volto, ma quando vengono arrestati le loro azioni si riflettono su tutti gli emigrati italiani, creando non pochi problemi per chi rifiuta una vita del genere.


Sono fatti che tutti conosciamo, ma ce ne scordiamo quando i reati in Italia vengono commessi da non italiani. Tutte le persone con la stessa nazionalità dei condannati vengono considerate come delinquenti. Quando l’imputato o il semplice sospettato è straniero la notizia arriva in prima pagina, ma quando si tratta di un italiano la stessa notizia si trova nelle pagine interne e magari non ha un titolone. Noi italiani nati e cresciuti all’estero sappiamo tutto questo, è successo a noi e succede ancora.



Ne risultano la creazione e la crescita di sospetti e paure che non fanno niente per aiutare i nuovi arrivati a integrarsi in Italia. Negli Stati Uniti, in Australia e in tanti paesi è illecito pubblicare notizie in cui si parla di nazionalità, o in cui si parla di tratti somatici come "asiatici", "mediorientali", "africani" e così via fino all’imputazione formale. Ci vuole tanto per fare una legge simile in Italia?



Non ci vuole molto a ricordarsi di casi di accusa per stupri, rapimenti di bambini e altri reati con accuse nei confronti di extracomunitari, con tanto di ronde e pestaggi di componenti di quel gruppo, per poi scoprire che l’accusa altro non era che una bufala per coprire degli errori di chi quei reati li aveva davvero commessi.

Italiani brava gente, sì, ma non tutti. Non lo scrivo con piacere, ma con tristezza. Ma questo non vale solo per noi italiani, vale per tutti.








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