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24 Ottobre 2014 Celebrazione o promozione della lingua italiana? di Gianni Pezzano
Palazzo Vecchio a Firenze è un luogo di potere, il potere della politica e il potere dell’arte. È anche il luogo dove l’arte fu asservita dal potere e la Sala dei 500 ne è un esempio stupendo, con le opere enormi di Vasari che facevano comprendere agli ambasciatori delle altre città italiane e dei regni stranieri, al tempo, che la capitale toscana era ricca e potente.
Questo è il luogo della prima giornata degli Stati Generali della lingua italiana: nessun altro posto poteva essere più adatto per una conferenza del genere e, allo stesso tempo, nessun luogo poteva essere più ingannevole. Infatti, più che una conferenza di promozione della lingua, poteva sembrare un incontro per la celebrazione della cultura.
I participanti erano tutti già convinti dell’importanza di insegnare la lingua e, ancora di più, conoscevano benissimo le bellezze della cultura italiana. Allo stesso tempo erano quelli che meno avevano bisogno di vedere queste opere perché già le conoscevano. Gli insegnanti, i letterati e le autorità ministeriali sanno benissimo cosa si trova nei confini del nostro paese. Il problema è che lo sanno cosi bene che spesso pensano che lo sappiano tutti. Cosa non vera, purtroppo.
Se così fosse l’Italia non sarebbe solo al quinto posto delle mete turistiche mondiali e i musei italiani sarebbero invece tra i primi dieci nel mondo...
Per dare vero impatto all'intenzione degli organizzatori a Firenze mancavano proprio quelli che dovevano rimanere colpiti dall’arte e dalla gloria della città che è culla della lingua italiana. Mancavano le autorità estere, che poco o niente fanno per includere la lingua italiane nelle loro scuole e università. Sono queste le autorità che potrebbero fare i passi più importanti per aumentare il numero di studenti della nostra lingua nei propri paesi di riferimento. Mi auguro che alla prossima conferenza nel 2016 vi sia una presenza maggiore di questi personaggi.
Come paese abbiamo l’obbligo di mostrare cosa significa essere italiani, cosa ci distingue dagli altri. Queste differenze si notano non solo nella nostra cultura, ma proprio dalla nostra lingua.
Mentre scrivo queste parole mi rendo conto che alla conferenza mancava la categoria che più ha da guadagnare dalla promozione della nostra lingua: gli editori italiani.
Non ho visto nessuno stand legato all'editoria che mostrasse gli ultimi volumi sui grandi autori italiani. Non ho visto un libro di nessun autore del nostro paese. Da quanto ho capito, l'assenza delle autorità straniere potrebbe essere giustificata dalla mancanza di fondi per finanziare le loro spese, ma come si giustifica l'assenza degli editori?
Ho iniziato questo articolo con l’intenzione di analizzare il documento finale e le sue raccomandazioni. Ci sono però dei momenti che durante l'incontro mi hanno particolarmente colpito e vorrei muovere alcune riflessioni in proposito.
Nel suo intervento Renzo Arbore aveva ragione nel dire che la musica leggera avrebbe il potenziale di promuovere la lingua italiana e non solo perché la nostra lingua di per sé è musicale, ma in primo luogo perché è vero senza ombra di dubbio che la musica è il mezzo più efficace per avvicinare i giovani alla lingua. Aveva ragione anche Dacia Maraini quando parlava dell’introduzione di troppe parole straniere nella lingua italiana negli ultimi decenni. La nostra lingua è davvero ricca e non ha bisogno di rubare parole straniere.
La RAI ha un ruolo importante in questo senso, sia in Italia che all’estero. Prima di tutto può limitare l’uso di parole e termini stranieri nei suoi programmi, ma può soprattutto insegnare le origini delle canzoni di successo a chi non le conosce.
Basta guardare Techetechete, il programma estivo di gran successo di RAI 1, per capire che esiste già negli archivi tutto il materiale necessario per presentare canzoni come "Il Ragazzo della Via Gluck", "Il Paradiso", "Balla Linda", "Non ho l’età" che noi tutti conosciamo e che all’estero hanno avuto enorme successo, ma solo nelle versioni tradotte. Sarebbe un primo passo perfetto per portare alla conoscenza del mondo, tramite RAI Italia, tutti questi cantanti ed eventualmente creare un nuovo pubblico per la lirica.
L’anima della musica leggera italiana si trova nelle parole e insegnare la musica deve comprendere anche e soprattutto la spiegazione delle parole e del loro significato. Sarebbe una strategia ideale per presentare i migliori cantautori italiani, sia agli oriundi che al mondo intero. In questo modo Fabrizio De André, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Ivano Fossati e gli altri grandi cantautori avrebbero finalmente un pubblico mondiale degno della loro musica e, soprattutto, dei loro testi. Farebbe capire che questi cantanti non erano soltanto parolieri, ma anche poeti.
Come per la musica, cosi anche per la letteratura. Sei italiani hanno vinto il Nobel per la letteratura e bisogna domandarsi: gli italiani all’estero lo sanno? Anzi, quanti italiani sarebbero in grado di nominarli tutti e sei?
Bisogna ricordare che la conferenza era per gente già colta e che la maggior parte degli italiani, benché istruiti in termine generali e nelle loro specializzazioni, non lo sono agli stessi livelli nella cultura italiana. Soprattutto in paesi dove questa non sempre viene apprezzata ai livelli di altre culture. E in questo posso ricordare la mia educazione in Australia, dove nel curriculum scolastico non era prevista la lettura di alcun libro italiano. Quando andavo a scuola io non esisteva l'insegnamento della lingua italiana, e ora che c'è, solo chi studia la lingua italiana affronta una simile lettura, ma gli altri ancora no.
Per questo motivo l’assenza degli editori alla conferenza è per me ancora un mistero. Dovrebbero essere i primi ad appoggiare qualsiasi tentativo di promuovere la lingua italiana, perché ciò creerebbe un mercato più grande per un settore che sta vivendo un periodo difficile. Far crescere il numero di italofoni porterebbe automaticamente alla vendita di più libri, sia nell’originale, che in traduzione per i non italofoni.
Al termine della conferenza stampa, una ragazza mi si è avvicinata. Era di Sermoneta, il bellissimo borgo nella provincia di Latina, e mi ha domandato cosa si potrebbe fare per far conoscere il suo paese all’estero. Le ho consigliato di mettersi in contatto con i circoli e i club dei suoi paesani nelle varie nazioni del mondo e di cominiciare a pubblicizzare la bellezza del luogo. E anche in questo senso RAI Italia avrebbe un ruolo importante. Mette già in onda programmi adatti a questo tipo di promozione.
Vorrei fare un’ultima considerazione. Il documento finale elaborato al termine della conferenza dà una serie di suggerimenti per il futuro. Alcuni sono dettagliati, alltri meno. Vorrei segnalare due parole che non vengono utilizzate quasi per niente al suo interno, mancanza che è particolarmente importante. La prima parola è "strategia", ossia un programma a lungo termine. È stata utilizzata soltanto una volta. Ancora oggi in Italia è difficile parlare di qualsiasi progetto che vada oltre l’anno in corso, oppure l’anno seguente. Un motivo è il sistema politico, che non è capace di pensare in questi termini. Anche se il sottosegretario Mario Giro ha accennato a queste cose nel suo discorso di chiusura. Però il successo di altri paesi nasce proprio dalla loro capacità di pensare in termini di 5, di 10 e anche di 20 anni nel futuro. Di solito quelli di 10 o 20 anni sono i progetti più impegnativi e più costosi, ma sono anche quelli con la maggiore probabilità di portare grandi profitti e vantaggi al paese. Perciò bisogna sconfiggere la paura degli anni e pensare in questi termini.
La seconda parola è "tattica", cioè le azioni a breve termine. Manca del tutto. Un esempio potrebbe essere un maggior uso di tecnologia moderna nelle aule, come Skype, per mettere gli studenti che studiano l'italiano all’estero in contatto con classi in Italia, per fare uno scambio di esercizi e migliorare le capacità linguistiche di entrambi i gruppi. In casi come questo le spese dovrebbero essere più contenute e realizzabili. La tattica è importante perché è il mezzo principale per realizzare i progetti strategici.
Non metto in dubbio la volontà dei participanti di voler vedere crescere il prestigio della nostra lingua. Tuttavia non posso fare a meno di domandarmi se esista davvero la volontà concreta di abbattere le barriere dei pregiudizi nei confronti della cultura da parte del sistema politico/amministrativo del paese in favore della Cultura.
Alcuni hanno riconosciuto gli effetti della promozione della lingua e della cultura come motore per attrarre turisti internazionali nel nostro paese, ma ci sono quelli che ancora non vogliono riconoscere i vantaggi concreti in valori economici che la cultura porterebbe al paese. L’Italia ha bisogno di un sempre maggior numero di turisti, sia per dare lavoro ai giovani, sia perché il Tesoro non ha le risorse da dedicare per mantenere a dovere le meraviglie artistiche che stiamo perdendo per l’incapacità di prendercene cura a dovere.
La storia del nostro paese ha dimostrato che la musica e le parole hanno potere. Cosa sarebbe stato il Risorgimento senza il contributo di Verdi, o la politica mondiale senza il piccolo volume potentissimo di Macchiavelli, "Il Principe"? Non ce ne dobbiamo mai scordare quando ci accingiamo a mettere in azione le parole e a dare voce alle nostre intenzioni. Le emozioni da sole non contano, devono essere accompagnate dall'azione.
A tutti i livelli la promozione della lingua, e dunque della cultura, del Bel Paese è un progetto importantissimo che potrebbe portare a un futuro prosperoso per l'intera penisola, ma bisogna riconoscere che è destinato a fallire se non sarà appoggiato da tutti. A partire dalla politica.
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