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20 Ottobre 2014 La misura del successo di Gianni Pezzano
Quando in Italia si parla degli italiani all’estero, spesso si parla di quelli che sono riusciti a fare impresa, creare industrie, aprire negozi e così via. Ma chi ha vissuto in queste comunità sa che queste persone non sono che una piccola minoranza.
Allora come possiamo misurare il successo? Guardiamo qualche esempio e decidiamo.
Come milioni di altri italiani, Ilario e Pina emigrarono dopo la Seconda Guerra mondiale. Portarono con loro due figli, Franco e Teresa, e si trasferirono dove già abitava una piccola colonia di paesani e parenti che avevano fatto la stessa scelta prima dello scoppio della guerra.
Ilario parlava solo il suo dialetto, ma per i suoi figli aveva le idee chiare: lui e Pina si misero a lavorare, mentre Franco e Teresa iniziarono a studiare. Dopo pochi anni arrivò anche la terzogenita, Maria. Tutti gli sforzi erano per i figli, che andavano alle migliori scuole, naturalmente cattoliche, perché per loro non c’era vita senza la fede. La loro vita era la famiglia e così hanno ragionato fino alla fine.
Alla loro morte, negli anni ’80, l’unica proprietà che lasciarono era la loro casa. Non avevano nient’altro, il loro patrimonio era la famiglia.
Alla morte dei genitori Franco era un medico, sposato con Jenny, anche lei di origine italiana e di professione farmacista. Avevano avuto cinque figli, ora adulti: la prima, Josie (versione inglese del nome della nonna paterna), è farmacista e proprietaria insieme alla madre di una farmacia, è sposata con 5 figli; Laurie (Ilario all’anagrafe) è oncologo, sposato con 3 figli; Anthony, pediatra, è sposato con una figlia; John Paul, fisioterapista, è sposato con 3 figli; in ultimo Peter, anche lui fisioterapista, è sposato con 3 figli.
Questo è il ramo della famiglia che conosco meglio, ma anche per Teresa e Maria, le altre figlie di Ilario e Pina, le cose non sono andate molto diversamente: Teresa al tempo era maestra, ha sposato un medico e anche loro hanno avuto 5 figli, tutti ancora impegnati negli studi; Maria è diventata avvocato, si è sposata con un insegnante poi diventato preside di un importante collegio cattolico, e ha 6 figli, due che ora lavorano e gli altri ancora studenti.
Al lettore la domanda, Ilario e Pina hanno avuto successo?
Carmine emigrò con la famiglia all’inizio degli anni ‘50. Studente bravissimo già prima di lasciare l’Italia, nel suo nuovo paese proseguì gli studi, diventando il primo psichiatra di origini italiane della città. Invece di aprire una clinica privata, iniziò a lavorare nel sistema sanitario regionale per meglio servire la comunità in generale e i suoi connazionali in particolare.
Quando la maggior parte degli emigrati italiani del dopoguerra erano ancora relativamente giovani, capì che bisognava programmare per il futuro e cominciò a fare pressioni per acquistare una casa di cura per gli anziani italiani.
Non fu facile, tanti all’inizio lo deridevano, ma alla fine riuscì a costituire un Fondo italiano che acquistò la prima casa di cura per anziani italiani nella città. Ora questo gruppo gestisce più case di cure e programmi di cura a domicilio. In seguito alle iniziative di Carmine, un altro gruppo italiano ha cominciato un programma simile in un’altra parte della città. Carmine ha fatto capire quanto fosse importante programmare per il futuro.
Si può parlare di successo per Carmine, che si è dedicato alla comunità invece di farsi una carriera come medico privato
Patrizia emigrò con suo marito Mario sessant’anni fa. Avevano tanta voglia di costruirsi una vita nuova dopo le esperienze della guerra ed erano pronti a fare qualsiasi lavoro pur di dare un futuro alle loro figlie, Adriana e Sofia. Vista l’esperienza di Mario nel genio durante il periodo vissuto come soldato, trovò lavoro in una miniera, ma fu un brutto scherzo del destino: meno di un anno dopo l’arrivo nel nuovo paese una carica esplose in anticipo.
Patrizia rimase sola con le figlie e si mise a lavorare per realizzare il sogno di Mario. Per decenni lavorò il più possibile per poterle mandare a scuola prima e all’università poi. La prima si laureò in Giurisprudenza, la seconda in Medicina. Ora Patrizia è pensionata e passa le sue giornata godersi i suoi nipotini…
Quale parola dobbiamo utilizzare per descrivere la vita di Patrizia?
Teresa era figlia di immigrati italiani, adorava la cultura italiana e diventò un insegnante. Nutriva una passione particolare per il teatro e, ancora giovane, fondò un gruppo teatrale bilingue con l’intenzione di utilizzare il teatro per spiegare le esperienze degli immigrati italiani e delle loro famiglie. Il gruppo vinse molti premi e il loro successo fu tale che fu invitata in Argentina per aiutare nella creazione di un altro gruppo. Ora segue altri progetti.
Teresa è un esempio di successo?
I lettori avranno notato che non ho mai citato alcun nome di nazione e che non ho nemmeno citato le regioni d’origine di queste persone. Il motivo è semplice: questi dettagli non sono importanti perché dimostrano le qualità di tutti gli emigrati italiani: tutti vogliono lavorare per un futuro migliore e poter offrire una vita nuova a se stessi, ma soprattutto ai loro figli.
Le comunità italiane nel mondo sono ricche e importanti perché sono composte da uomini e donne con queste qualità. Per questo non bisogna stupirsi se in tanti paesi del mondo troviamo tanti insegnanti, politici, ingegneri, medici, autori, artisti e ogni altro tipo di professionista con cognomi italiani. Tutti in credito con il paese dove nacquero i loro avi.
Troppo spesso gli sforzi dei migranti non ricevono i riconoscimenti dovuti, invece sono proprio queste persone che hanno reso e rendono ricche le loro comunità, che hanno fornito e forniscono una base per arricchire i paesi dove hanno scelto di vivere e che onorano con il loro operato il proprio paese di nascita.
Per questo motivo sarebbe bello, quando si parla degli italiani all’estero, che la RAI e i mezzi d’informazione non parlassero solo di chi ha costruito fortune e imperi industriali. La storia dell’emigrazione è una parte fondamentale della storia d’Italia e dobbiamo ricordare tutte le sue facce, quelle virtuose, come quelle citate, ma anche quelle che di virtuoso hanno ben poco. Ne parleremo nel prossimo articolo.
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