 | | C'era una volta in america |
A qualche punto della nostra vita tutti ci siamo detti che vorremmo vedere un film particolare, ma aspettiamo chissà quanto tempo prima di farlo e a volte non lo facciamo mai. Così, finalmente ho deciso di vedere “C’era una volta in America” di Sergio Leone e sono rimasto colpito da quello che molti considerano il suo capolavoro.
Il film ha avuto una distribuzione difficile perché i produttori americani non hanno capito la versione originale e l’hanno fatta modificare in modo che perdesse tutto il suo impatto. Infatti il film vinse importanti premi internazionali, ma non fu candidato agli Oscar. Con il tempo arrivò la saggezza e l’attore James Wood, uno dei protagonisti insieme a Robert De Niro, dice che un critico che lo condannò all'epoca anni dopo dichiarò che era il miglior film in assoluto degli anni ottanta.
Già questo inizio travagliato fa capire come l’Arte del cinema abbia molto in comune con quel che molti considerano l’Arte più importante, la pittura. Non sempre un’opera viene apprezzata dai colleghi degli artisti ma opere molto importanti spesso sono apprezzate solo dopo la morte dell’artista, come anche opere considerate importanti alla loro uscita vengono scordate nel tempo. L’esempio più famoso del primo caso è senza dubbio Vincent Van Gogh che si suicidò per la sua incapacità di vendere le sue opere, ma il film di Leone fa ricordare un artista italiano che ebbe una vita altrettanto tormentata e molto più violenta: Caravaggio.
Come le grandi opere della pittura il cinema suscita molte emozioni nello spettatore. Una è, senza dubbio, di meraviglia nella rappresentazione della New York degli anni della sciagura nazionale chiamata Proibizionismo che causò molti morti e la nascita di enormi imperi criminali. Come alcune scene del secondo dei film del Padrino di Francis Ford Coppola, in questo film vediamo la faccia del passato. Mentre Coppola ci fa vedere i quartieri degli emigrati italiani a New York, il film di Leone ci mostra il quartiere ebraico dove a volte pensi di non essere negli Stati Uniti, ma in Israele.
La seconda emozione è quella di sorpresa perché il film ci fa vedere un aspetto importante di quell'epoca quasi sconosciuto dal pubblico moderno, cioè il ruolo della criminalità ebraica in quegli anni. Un ruolo poco inferiore a quello italiano. Basta leggere la storia del notorio mafioso italiano, Lucky Luciano per vedere i suoi legami e cooperazione con noti gangster ebraici come Bugsy Siegel e Meyer Lansky.
Con queste due emozioni il film ci da soddisfazioni intellettuali e non solo, perché vediamo aspetti nuovi di quel periodo violento, non limitandosi solo nei dettagli di personaggi nuovi, ma ogni dettaglio delle inquadrature, ogni sguardo e ogni scena sono riprese come tele moventi per mostrare al meglio l’arte cinematografica. Non c’è una scena che non sembri uscita dalla tela di un artista e solo il movimento degli attori ci fa capire che guardiamo un capolavoro dell’Arte più moderna.
Però, sin dai primi minuti capiamo che c’è un’altra emozione che ci colpisce profondamente e che lega questo film al destino di Caravaggio, cioè la violenza di chi faceva parte della vita sommersa, ma non tanto, dei gangster del Proibizionismo americano. Il primo assassinio e il pestaggio orribile dei primi minuti colpiscono profondamente, per poi essere ripresi in altre scene di altri atti violenti e, in un caso incomprensibile e dunque ancora più tragico.
Guardando queste scene dove il rosso del sangue domina lo schermo mi è venuta in mente un’opera particolare di Caravaggio, “Giuditta e Oloferne”. L’atto orribile di questo quadro colpisce già nelle fotografie, ma l’impatto della violenza e il rosso del sangue, insieme alla freddezza del viso di Giuditta mentre decapita Oloferne si possono vedere solo nel quadro originale esibito a Palazzo Barberini a Roma.
Come nel film, la violenza colpisce gli occhi, la mente e l’anima dello spettatore. Capiamo che la violenza fa parte della vita in un modo che noi in Italia oggigiorno non possiamo immaginare. Le immagini televisive dei notiziari delle stragi e gli atti dell’orrore sono censurate e non vediamo o sentiamo quel che succede davvero. Direi di più, siamo così abituati agli effetti speciali dei film d’orrore e d’azione che queste messe in scena dei delitti dei terroristi non ci colpiscono più di tanto.
Poi arrivano i grandi artisti come Caravaggio e Leone e la loro bravura esige che affrontiamo quel che non conosciamo o capiamo. Il giorno che abbiamo visto il quadro di Caravaggio siamo rimasti seduti a studiarlo e l’impatto dell’immagine cresceva con i minuti. L’opera colpisce anche perché sapevamo che la vita dell’artista era violenta e che pagò un prezzo enorme per il suo carattere furibondo. Quell'opera, come molte altre sue opere, dimostrano un uomo che conosceva intimamente gli effetti di coltelli e spade, non solo dalle prove di anatomia, ma soprattutto perché aveva sparso sangue e il suo corpo aveva sentito il loro effetto.
Certamente Leone non aveva avuto le esperienze dirette dell’artista lombardo, ma come tutti quelli della sua generazione vide di prima mano la violenza nel corso della Seconda Guerra Mondiale e sapeva che non era una cosa vaga o estratta, ma una cosa concreta e vera.
Nel suo film Leone può dimostrare quel che un quadro non è capace di fare. Gli atti di violenza non sono che una parte di una storia complicata e tragica. Vediamo le decisioni dei protagonisti di prendere la strada della criminalità. Sapendo la sua scelta di vita, riconosciamo come il protagonista “Noodles” ha tre possibilità di prendere altre strade non violente e di trovare felicità personale. Però non resiste ai soldi solo apparentemente facili e il lusso che questi soldi possono comprare a cui un ragazzo povero non sa resistere. Solo alla fine della vita capisce che il vero prezzo pagato era altissimo, come scopre anche che era circondato da inganni invece che da quelli che credeva amici.
In questo modo un grande film diventa un’opera d’Arte a tre dimensioni, le prime due strettamente fisiche, come dei quadri dei grandissimi artisti. La terza dimensione è mentale perché permette al regista bravissimo di farci vedere storie e di capire oltre le immagini. Ma un regista maestro come Leone va oltre la storia. Alla fine siamo noi del pubblico a interpretarla perché sa che non tutti vediamo le immagini e ascoltiamo le storie nello stesso modo.
Questa volta i consigli erano veri, “C’era una volta in America” è da vedere e solo un grande artista come Sergio Leone avrebbe potuto realizzarlo.
|