Tim Burton non perde mai il vizio dei colori. Basta guardare quanto nette si presentano le tonalità cromatiche del suo ultimo film, "Alice in Wonderland". In questa pellicola oltre alle ben note ricostruzioni di un mondo a metà tra il fiabesco e il grottesco, che ben si confà alla favola di Carroll, Burton presenta al pubblico un bravissimo Johnny Depp, quasi irriconoscibile se non per capacità espressiva, nascosto com’è da capelli e sopracciglia arancioni, un viso imbiancato a neve e occhiaie magenta e turchese. Purtroppo il trucco, la fotografia, i costumi sono quanto più risaltano in questa narrazione poiché la storia poco si presta a deliziare il pubblico. Stavolta Alice non è più la bambina che si perde in un mondo onirico fatto di creature straordinarie; è cresciuta, dimentica del passato ma sempre incline ad essere soggetta a strane visioni e, quando un coniglio bianco in doppiopetto le fa notare che è tardi, non può far altro che seguirlo fin nel cuore di quello stesso mondo che ormai non riesce più a capire, in procinto di compiere un destino che non sapeva di avere.
"Alice in Wonderland" non voleva essere un remake o una trasposizione cinematografica del più noto lungometraggio animato della Disney del 1951 e, di fatto, non lo è. Purtroppo, forse in virtù delle forti aspettative che si nutrivano nei confronti di una storia tanto bella e famosa riproposta al grande pubblico da un regista tanto noto e con attori tanto bravi (oltre a Johnny Depp: Alice Kingsley, Helena Bonham Carter, Anne Hathaway, per citarne alcuni), il film non è capace di coinvolgere lo spettatore. Si rimane a bocca aperta davanti allo schermo, desiderosi di ritrovare qualcosa, un barlume, che possa riportare a quell’atmosfera tanto amata da bambini, ma è un tentativo vano tanto quanto cercare di ritrovare un po’ della magia di cui normalmente Burton impregna tutti i suoi film. Che dire, rimangono i colori.
|