 | | Sara Bilotti |
Ci sono molti modi per raccontarsi, e raccontare. Creare un’iperbole, o arrivare dritto ad un punto, oppure quel punto tenerlo fermo, presente e lasciarsi scivolare per raggiungerlo. In questa quarta serata, impeccabile di sguardi dritti che oltrepassano lo schermo, la giornalista Marta Perego attraversa un vero e proprio allestimento teatrale per presentare la nuova protagonista della serata, nell'atteso “Donne in noir”.
Un palcoscenico onirico, che con la consueta magia, più o meno luccicante, invita sempre lo spettatore a seguire la costruzione dei sogni, un palcoscenico che è sempre e comunque bellezza e tante volte come la bellezza stessa, inquieta visione. Se non un’iperbole, che parrebbe ridondante, permettetemi almeno una piccola ellissi, per raccogliere il racconto di questa autrice.
In un ricordo perso nel tempo, entrata in scena con la sua andatura di studiata incertezza, tremolante, facendo un tutt'uno di vita e teatro, si consacrava una figura che avrebbe mutato la danza per sempre, da quel momento in poi. Anna Pavlova era “il Cigno” costruitole addosso, e tale rimase fino alla fine dei suoi giorni. Quel cigno, sogno delle danzatrici di ogni tempo, non era solo un’interpretazione, quell'essenza, leggerezza, era la perfezione del movimento in ogni più piccola particella danzante. Divenne “La morte del Cigno” su di lei, raccogliendo in sé, con la straziante andatura, quello straziante andamento, e bianco e nero e buono e cattivo, amore e morte. Tutti i poli opposti che compongono la sostanza della vita.
Ecco, opposti sentimenti, tutti collimanti in un unico punto. Ogni passo, ogni gesto dell’autrice di cui si parla questa sera, racchiude in se tutti i pezzi, di un unico meraviglioso tutto. Danza tatuata nel corpo. Parte della vita di questa donna, insieme alla scrittura. Lei, di quelle persone che quando entrano in un luogo lo colmano e non puoi fare a meno di guardarle. La sua grazia è la grazia di chi danza o ha danzato o in qualche modo ha quel gene dentro.
La mia ellissi si stringe intorno a questa scrittrice celebrata in domande che disegnano parte della sua forma. In infallibili stilettate di nero che fendono il buio della mente e il luogo che le accoglie, una pausa per raccogliersi e via in un racconto senza pause. È Sara Bilotti, scrittrice pernio della serata, men madre di una trilogia su cui la Einaudi ha puntato, creduto, vinto. Iniziava con “L’Oltraggio” si componeva de “La colpa” si completava con “Il Perdono”. Donne che scrivono, donne che si svelano, confrontano, la bellezza cui stiamo assistendo in queste sere di racconti noir, sta nella complicità che ogni volta riusciamo a percepire, nell'atmosfera di confidenza, in cui puoi confessare l’inconfessabile. Un attimo di sospensione, e poi il racconto di domande mai invadenti e risposte mai scontate, ci tiene saldamente. Si riporta la scrittura e la mano nera che imprime andamenti di inquietudine che la mente occulta troppe volte, generando distorsioni.
“Scrivere è catartico” racconta Sara, un modo per riconoscere gli inevitabili angoli oscuri che ognuno racchiude, tenerli in qualche modo a bada. Scrivere è salvazione, pretesa, è la scrittura stessa che scegliendoti, pretende tempo, energia, e riempie e svuota. Innalza al mondo e richiede un’operazione ulteriore, essere riconosciuta, crederci credendo nelle proprie potenzialità. Come nella danza sveli la bellezza, nascondendo la fatica, così nella scrittura dietro l’apparente aura di fruibilità, nascondi la tua fragilità e il sudore della costruzione, mostrando la padronanza anche a costo di sentirti sfinita. Forza da attingere da te stessa, fonte continua. Quando Marta Perego chiede della collana che porta al collo, Sara mostrando il suo monile a forma di pistola svela: “è il mio amuleto” che le rende quella “cattiveria” che non ha. Forse per fingere di essere più forte delle stanchezze. Fragilità comuni a tante, probabilmente a tutte.
Sara, tra luce e ombra, viso di statua greca, è scultura mai immobile, tormenta le mani, ha occhi di profondissimo lago che annegano chi li guarda, e la figura dritta e solida da prima attrice, parla della protagonista della sua trilogia Eleonora, e le si illumina il viso.
Eleonora che varca il cancello della tenuta di Bruges, altro palcoscenico in cui va in scena l’opera in maschera della vita, di chi ha due facce e svela e nasconde, tiene e allontana. Siamo tutte un po’ Eleonora, piccoli burattini in mano altrui e spesso noi stesse a metterci nelle mani sbagliate, maledettamente, inevitabilmente, consapevoli. Chiunque abbia scelto queste pagine, è stata un po’ Eleonora. Ferita da chi le era accanto, frenata, con la voglia di abbandonarsi, bisognosa di affetto, di abbraccio da cercare tra le braccia sbagliate, e chissà poi quanto sbagliate. Tutto è vero e tutto il contrario di tutto, in quel di Bruges. Segreti da svelare, due uomini che rassomigliano a miele dolce che non puoi farne a meno, e appena assaporati sai già che non potrai farne a meno. Purtroppo. Eleonora si fa amare, ma sa anche farsi detestare nelle incertezze, negli sbagli in cui immergersi per espiare. Passione, amore e buio e mistero, e un nero che si mescola al rosso di sangue che è l’elemento che corrisponde a tutto, tutto è sanguigno, accurato e allo stesso tempo selvaggio.
Questa sera alle serate di noir abbiamo aggiunto un tassello in più, che è stata poi etichetta per questa trilogia, “erotica”. Eros e noir, senza schemi attenzione, senza troppe etichette, perché non c’è solo erotismo, o meglio ce n’è per quel coinvolgimento dei sensi che è inevitabile, mai volgare, ma realtà nuda e cruda. Sara racconta questo, le passioni che passano per la mente, attraversando il corpo, le pulsioni che spesso diventano distruttive. In quella villa divenuta scatola opprimente, Eleonora cercherà vie di fuga che saranno partenze e poi ritorni, sogni in qualche modo di libertà che svelano claustrofobiche restrizioni.
Il sesso non è mai solo fine a sé stesso e il corpo mezzo attraverso il quale inevitabilmente trova spazio. Bellezza inquietudine, un binomio inscindibile, siamo fatti di pensieri e corpo nel quale questi rimbombano. Inevitabili bivi incontrava Eleonora, e scelte da compiere attraversando il dolore. Cercherà verità con gli occhi da Eleonora e i pensieri di Sara e noi spettatori inchiodati dal racconto resteremo in attesa fino al compimento finale, con la voglia di strappare via, come lei, le maschere di quei figuranti che come nella vita le tengono ben strette.
La finzione in cui ci caliamo per mostraci perfetti, il mostro che genera mostri. La parte nera dell’animo umano in questo scorcio di inquietante bellezza riporta una frase della scrittrice Anais Nin, amata molto dall'autrice “non vediamo le cose per come sono, le vediamo per come siamo”. Scoprire come siamo è uno squarcio a quel lenzuolo che stendiamo per difenderci, per nasconderci, per lasciarci trovare. Scivola una nuova serata di scorci di donne che raccontano, di inquietudini da condividere per conoscerle e capire che solo guardando in faccia il nostro lato oscuro, possiamo imparare a non combatterlo invano, ma a conviverci, come tante altre donne, come quasi tutte le donne. Come quasi tutti…
"Donne in noir" fino a venerdì 19 giugno alle 19.15 su Top Crime.
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