 | Loredana Berté uno dei giudici del Talent |
A mente fredda si ragiona con maggior lucidità e pensando alle sterili (quasi isteriche) polemiche generatesi in una trasmissione che dovrebbe essere giovane e allegra si avverte una sensazione fastidiosa. Chi ha seguito questo sabato il serale del Talent “Amici” di Maria De Filippi avrà assistito ai giudizi poco giudiziosi di alcuni. Tentare di scivolarci sopra per stemperare gli animi è stato il giusto passo della padrona di casa ma l’animo in tempesta di qualcuno non si è placato fino alla fine. Materia del contendere, la scelta di aggiungere alcune frasi (stile rap) da parte del cantante Briga in squadra con la coach Emma.
Il brano con gli inserti personali del giovane, era “Imagine” di John Lennon. Doveroso aggiungere che, prima dell’esibizione, la stessa Emma è voluta intervenire con un “cappello” che spiegasse la scelta di trattare un argomento attuale quale lo sbarco dei clandestini mai arrivati a terra e rimasti quasi in novecento nelle nostre acque, ad un passo da quella che credevano fosse libertà. Un fatto doloroso e recente, che ha amareggiato tanti, che è stato discusso da tanti. Insomma l’intento era raccontare l’attualità, parlando ad una platea giovane con il linguaggio dei giovani. Aggiungiamo che durante la serata, anche attraverso la danza, le tematiche non sono sempre state leggere, come quando si è parlato della violenza contro le donne sulle note di “Grande grande grande” di Mina. Molto elogiato il tutto, la coreografia, la danza, la ballerina. In quel caso mescolare la violenza (attualissima come il femminicidio) a parole come “sei l’uomo più egoista e prepotente che abbia conosciuto mai, ma c’è di buono che al momento giusto tu sai diventare un altro. In un attimo tu, sei grande grande grande come te…” poteva scatenare una forma di dissenso ad una lettura superficiale. Questo non è successo, eppure specchio a suo modo della realtà, il fatto di raccontare in qualche modo il perdono di un uomo, solo perché al momento giusto sa diventare un altro, può sembrare la minima forma di rappresentazione da denuncia sulla prevaricazione e la violenza contro le donne.
Tornando alla polemica di cui sopra, tutto incomincia nell'attimo in cui l’esibizione di Briga finisce. Le parole che si sentono contro il ragazzo vanno quasi oltre la pura critica che pure è costruttiva sicuramente. Odorano, anzi puzzano proprio, di sentori di antipatia. “Mi ha dato molto fastidio il cavalcare la notizia sfruttando novecento morti. Lennon non si tocca, non ha bisogno di nessuna aggiunta. Ha cavalcato l’onda mediatica del dolore. È un paraculo” accusa molto offesa la signora Bertè, e giù una tesi secondo la quale il male è già abbastanza trattato, per farne materia da raccontare in quel contesto.
Forse detta così potrebbe risuonare pure legittima come tesi, ma accompagnarla a frasi ed epiteti di bassa lega, significa travalicare lo scopo. Secondo la Bertè poi, la canzone di Lennon ha un ché di così Sacrale, da non poter essere toccata, e quindi l’idea di inserire una parte del fraseggio riscritto dal giovane, le era sembrato un orrore insopportabile. Supportata anche dal collega giudice Francesco Renga che non riusciva ad esprimere un parere e un voto data la troppa importanza del pezzo e il dolore di averlo sentito cantato a quel modo, si portava avanti la discussione per un bel po’ tanto che ad un certo punto il volto di Emma si deformava quasi e la tensione si scioglieva in qualche lacrima forse misto di rabbia e delusione.
La difesa indomita della ragazza è comunque arrivata subito: “Sono responsabile in quanto coach, ho chiesto io a Briga di cantare parte del brano in quel modo. La nostra volontà era rendere onore e giustizia a queste persone. Usare le parole universali di Lennon e attraverso l’arte, avere la libertà di dare una notizia con una chiave diversa da quella cui siamo sempre sottoposti, se c’è una paracula sono io”. Le parole volano tra una Bertè che avanza insistendo sull'effetto insulso, per cui nessuno dovrebbe permettersi di mettere quelle “Barre (le parti inserite dal giovane) del C.”. Ora, premesso che sì “Imagine”, è un pezzo di storia della canzone universale e universalmente riconosciuto, ma è pur vero che non è certo l’unico. Lennon ha scritto tanti pezzi indimenticabili, molti dei quali si sono prestati anche a fare da colonna sonora a qualche spot pubblicitario lontano dal contesto e dal testo stesso.
Nessuno ha cancellato la memoria di chi conosce il significato meraviglioso di parole come quelle, parole che trasudano amore uguaglianza pace, ideali in cui l’autore credeva fermamente e regalava al mondo perché fossero coltivati. Quale segnale se ne dà di conoscenza, se per tutelarlo si offende con la prevaricazione un ragazzo, senza considerare tante cose come l’enfasi data da certi momenti, l’irruenza dell’età. Il suddetto giovane poi ha lavorato molto insieme alla sua coach per liberarsi dai molti schemi, per “venire” fuori, senza sembrare un bullo di periferia, incanalando le energie, rendendosi conto di essere in una scuola dove si è per imparare ed ascoltare. Questi ragazzi hanno una grossa opportunità, possono mostrare il loro talento, coltivarlo, insieme a grandi professionisti, ma proprio loro, dotati di anni ed esperienze maggiori, dovrebbero essere immuni dal provocare certi tristi passaggi e messaggi.
Comunicare ad un altro, l’idea di potersi permettere tutto perché più in alto, o più in grado, è triste, va oltre il rispetto e l’educazione. Il rispetto vuole rispetto, ma oltre ciò, il rispetto significa avere cura di non offendere l’altro chiunque esso sia. Sentirsi una spanna più su come sullo scranno più alto, è pura prepotenza da cui non si impara che a comportarsi nel medesimo modo. Quando sarò come te diventerò come te e non avrò rispetto per quello che considererò sottoposto. Onestamente insegno ai miei figli il rispetto per gli altri senza badare al ruolo, il rispetto per l’esser umano, che non è solo quello che sta più in alto di me, ma anche il disfatto su una panchina senza né ruolo né colpa. Prima di lamentarci della mancanza di educazione della generazione attuale, chiediamoci cosa gli abbiamo insegnato. Prima di sentenziare, facciamo mea culpa. In questo ambito canoro, come dimenticare la lezione di un grande maestro che degli ultimi si faceva portavoce e raccontava nella sua “Un giudice” riflessioni da tenere bene in mente.
Il piccolo uomo della canzone covando rancore, non potendo crescere in altezza, sentendosi invisibile e deriso, coltiva il sogno di diventare “grande”. Lo diverrà con molta fatica e determinazione e quando avrà raggiunto la statura che voleva, diventando giudice, può permettersi la libertà di trovare vendetta contro chi lo derideva: “E di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio, prima di genuflettermi nell'ora dell’addio, non conoscendo affatto la statura di Dio”. C’è sempre qualcuno più in alto, sentirsi sopra gli altri non significa sempre essere i più grandi, anzi…
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