 | Ultimo tango a Parigi una scena |
“Amarlo senza imbarazzi, in modo liberatorio”. Chiedeva il regista, per quel film che, per sua stessa ammissione, gli era forse sfuggito di mano. “Ultimo tango a Parigi” molto più di quelle patinate sfumature di grigio, molto più di un erotismo moderno. Era il ’72 e quella pellicola cambiò la vita di molti a partire dai protagonisti. Ritirato dopo la proiezione in Italia, il regista Bernardo Bertolucci condannato per offesa del comune senso del pudore, per cinque anni fu privato dei diritti civili (anche il voto). Niente in confronto all'esplosione che rappresentò per chi in quelle prime proiezioni si alzava scandalizzato. Niente in confronto al timbro rimasto impresso addosso alla sua protagonista femminile Maria Schneider. L’amica Dominique Sanda aveva rifiutato la parte, era incinta, invitò la giovane amica a leggere il copione. Tutto incominciava così. Maria piccola, fragile, figlia di una relazione clandestina e mai riconosciuta dal padre, rancorosa e ribelle a 16 anni era già in cerca di un futuro lontano da casa. Amava il teatro voleva fare l’attrice. Appena quattordicenne calcava le prime scene, e il primo film quando era arrivato a neanche diciott'anni, sembrò una vittoria. E poi dopo qualche anno quella proposta, come rifiutare quell'occasione? Un regista così grande e un attore come Marlon Brando. La trama non sembrava facile, rude, claustrofobica, non l’aveva ispirata troppo ma a rifiutare l’avrebbero presa per matta. Quella pellicola la lanciò violentemente nel mondo. Che bell'emblema di liberalismo sessuale, di tabù da sdoganare.
Probabilmente. Paul, americano, la moglie morta suicida. Sbandato, infelice, trapiantato a Parigi incontra la giovane Jeanne in un appartamento in affitto che i due si trovano a visitare insieme. Inizierà un torbido intreccio di sensi e amplessi sempre più espliciti che faranno del film una pellicola messa addirittura al rogo. (Solo anni dopo il senso comune del pudore lascerà il passaggio anche per gli schermi televisivi). Quando il torbido sarà con gli anni scemato, resterà soprattutto la drammaticità di una pellicola e forse la bellezza di altro, a cominciare dall'idea di indipendenza dello stesso regista: “Lasciare gli attori liberi di sbagliare come attorniati da una gabbia, protetti, ma liberi” E liberi, avvinghiati, contorti, lo furono davvero, tanto da far impallidire la critica. Il sesso come unico approdo che salva e forza che, nello stesso tempo, abbatte e distrugge. Reali più che realistici, orgasmici all'inverosimile. Per la gioia di tutti, tranne che di lei.
Un film osannato infine dal mondo intero, tranne che da lei. Lei, avrebbe pochi giorni fa compiuto gli anni, esattamente il 27 marzo, esattamente 63, non li ha mai compiuti si è spenta quando ne aveva 58 nel 2011 con ancora addosso i ricordi e forse il rancore per quel regista e quel film. Chi avrebbe mai potuto credere ad una giovane ventenne con una faccia come la sua che gridava sesso, e sensualità, chi avrebbe mai potuto capire che quelle lacrime in fondo non erano scritte nel copione. Quella fatidica scena così forte, così esplicita diventata l’emblema del film, era stata una trovata dell’attore e del regista insieme, con un’occhiata si erano detti che era geniale, insieme avevano deciso che renderla reale significava nasconderla fino all'ultimo alla giovane attrice. Sottomissione, questo si decise. Così fu. Maria seppe della sequenza poco prima che fosse girata, quando tempo per urlare e dire “basta” non sarebbe bastato. Quando rifiutarsi sarebbe stato praticamente impossibile. Quando il peso di un attore è talmente grande da schiacciarti non solo fisicamente ma anche moralmente e la ferita è l’umiliazione di restare faccia al pavimento immolandosi per la fama.
Maria tutto quello, confessò dopo, non lo avrebbe mai dimenticato veramente. Avrebbe odiato per sempre i romantici cappelli a tesa larga, i cappotti cammello che sembrava celassero sempre propositi infimi e figure ambigue. “Cucino solo con olio d’oliva, odio il burro” scherzandoci sopra ma non troppo, avrebbe voluto cancellare mille volte quelle scene, quella vita dopo tutto quello. Altri film, altri registi importanti, altri personaggi ma quella stanza, quel peso di dosso, lei non se lo sarebbe scrollato mai più. Il declino arrivò strisciando piano piano tanto che all'ennesimo film e l’ennesima richiesta di nudo rispondeva con una tale crisi isterica da dover essere ricoverata in un ospedale psichiatrico. Il disfacimento mentale che nessuno percepiva, mentre per tutti continuava ad essere la figura sensuale e selvaggia di quel tango parigino. Voleva solo fare l’attrice ma per il mondo era rimasta sempre e solo Jeanne. Lo sentiva dagli sguardi, dai risolini in giro, dalle facce che pensavano “ti è piaciuto? ...” No non le era piaciuto per niente in verità. Per lei rassomigliava ad una violenza, uno stupro vero e proprio, una sottomissione squallida che non perdonò al regista togliendogli il saluto per sempre. Rassomiglia a tante storie la storia di Maria, giovane, intraprendente, sveglia ma non troppo, da potersi ribellare a chi le offriva in fondo quello che lei aveva cercato: la gloria, la fama, peccato che queste non avevano avuto il sapore bello della vittoria quanto il retrogusto schifoso della vergogna e dell’umiliazione. Raccontano che non volle incontrare per tanto tempo la grande amica Sanda, che non volle vedere nessuno per parecchio tempo. Che dichiarava di non averci guadagnato che un pizzico di quanto avesse guadagnato il film. Non certo in termini di notorietà anche se una triste e non voluta notorietà. “L’unica cosa bella forse era stato l’incontro con Marlon, per il resto credo sia stato tutto sopravvalutato, sia il film che il regista”. Diceva piena di livore a distanza di anni. Depressione e droga compagne di vita, compagne di solitudine. Quando si è spenta il regista ha dichiarato di avere forse, sbagliato: “forse sono stato colpevole per Maria, ma non possono condannarmi per questo. Se ne è andata troppo presto prima che potessi chiederle scusa”. E questa storia che rassomiglia a tante storie, ha la sagoma di quelle tristi conformazioni in cui si cela la violenza avvolta tanto spesso da una patina difficile da ripulire, soprattutto per chi se la porta addosso per sempre.
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