 | | una sala di doppiaggio |
Cosa fa una voce. Cosa regala una voce, che emozione offre una melodia di suono. Cosa sarebbe un incontro senza il turbinio che scatena la pausa, il sussurro e infine la frase detta con la giusta modulazione, il tono caldo di quando alziamo e abbassiamo le note di un’armonia che è parola e canto. La voce d’attore. La voce che si imposta, che si impara con maestria ad utilizzare come un qualunque altro strumento.
Cosa sarebbe il cinema di attori principali, di caratteristi, senza il giusto tono, il tono adeguato. Cosa sarebbe un film sottotitolato, avrebbe lo stesso spessore? Catturerebbe l’attenzione allo stesso modo? Probabilmente no, anzi sicuramente no. La lunga storia del cinema, dal muto ad oggi, carrellata di emozioni, di impressioni che si trasmettevano inizialmente con le immagini, poi con didascalie bianco su nero. Dall'America degli anni trenta all'Italia, con difficoltà i film stranieri venivano ripresi più volte con attori che di volta in volta giravano tentando accenti in altre lingue, poi vennero i primi approcci con quello che fu l’inizio di un percorso che in Italia trovò la sua strada migliore. L’analfabetismo lo chiedeva, la resa migliore di un’immagine, di una storia per essere seguita al meglio, lo chiedeva. L’Italia rispondeva con personalità del mondo del teatro, con le prime voci, che erano solo il prodromo di una fucina di attori e voci indiscutibilmente uniche nel panorama cinematografico.
Cosa sarebbe stata Marilyn senza la caratteristica, cantilenante, infantile impronta sensuale e innocente insieme, che le diede Rosetta Calavetta (ufficialmente, anche se non dall'inizio, voce dell’attrice) e come sarebbe stato Cary Grant senza la caratterizzazione di Gualtiero De Angelis. Voci storiche di una prima scuola di doppiatori che regalava emozioni e favole nell'immaginario collettivo, di chi restava incantata dal fascino e dalla cadenza di quei miti. La scuola romana sfornava leggende uniche nel panorama. Pensate al giovane De Niro di “Taxi Driver” nella scena più famosa della cinematografia quando cita la battuta: “Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? ...” riportandola alla mente risuonerebbe con la voce pastosa, un marchio rimasto impresso, strettamente legato allo sguardo dell’attore, il tono mai dimenticato di Ferruccio Amendola, rimasto (oltre a dare la voce ad altri colossi come Sylvester Stallone, Dustin Hoffman e insieme a Giancarlo Giannini, Al Pacino) voce dell’attore fino alla fine. Pensate all'emozionante “C’era una volta in America” in cui De Niro ha sguardi da Oscar, e incolla anche senza aprire bocca e quando lo fa, le battute restano impresse e indelebili e portano il calore di Amendola che all'unisono con l’anima del protagonista anche in un semplice “…sono andato a letto presto…” finale, commuove. Cosa sarebbe stato Robin Williams, magnifico, intenso, insegnante libero dagli schemi de “L’attimo fuggente”, film che difficilmente chi ha visto può dimenticare, senza la voce di Carlo Valli, accordi perfetti di suoni e di espressioni.
Questo è il cinema, questi i professionisti che difficilmente vengono menzionati. Un angolo buio cui ci si affaccia troppo poco. Un lavoro appassionato e appassionante fatto di sacrificio e dedizione, un doppiatore è un attore due volte, quasi da dover condividere a gran merito, l’oscar con il suo attore. La risata di Eddie Murphy senza la indimenticata tonalità di Tonino Accolla, unico incontestabilmente, irripetibile voce di tanti personaggi e di una leggenda generazionale dei cartoon: Homer Simpson, cui ha prestato non solo la voce, ma regalato praticamente un binomio inscindibile, che ha sicuramente fatto dei “Simpson” un mito. E che dire di Hollywoodiani fascinosi come Johnny Depp, pirata maledetto, ironico, dal tono beffardo prestato da Fabio Boccanera, o di un mito come Russell Crowe la cui interpretazione de “Il Gladiatore” deve sicuramente metà del successo alla voce italiana di Luca Ward, il doppiatore le cui battute del film vantano il maggior numero di tentativi (mal riusciti) di imitazione. Denzel Washington, Antonio Banderas, George Clooney, affascinanti Latin lovers grazie alla sexy intensa voce del grande Francesco Pannofino. E nel panorama del doppiaggio italiano non si può non citare l’intera, fantastica, famiglia Izzo, piena di donne e voci indimenticabili. Attrici del calibro di Bo Derek, Debra Winger, Brooke Shields (Simona Izzo) Natalie Wood, Meryl Streep e l’italianissima Ornella Muti (Rossella Izzo) le magnifiche Giuppy e Fiammetta che hanno riempito le nostre giornate di cartoni animati con le voci di Puffetta o forzuto (e un emozionante figlio di Emma protagonista di “voglia di tenerezza”) (Giuppy) o la protagonista indimenticabile di “Flashdance” (Fiamma), tanti volti mitici, che devono tutto alle loro voci italiane. Una famiglia di artisti a partire dal capofamiglia Renato doppiatore e direttore di doppiaggio anche delle sue grandiose figlie. “Doppiatori si nasce” racconta in un‘intervista Simona Izzo, “dal primo vagito mio padre sentendomi, esclamò compiaciuto, appena saprà parlare la porterò in sala di doppiaggio”. Bellissime intense emozioni, fatte di atmosfere e ricordi che leghiamo ad immagini e toni indimenticabili.
Il cinema internazionale deve tanto alla scuola italiana di doppiaggio, una realtà troppo spesso ingiustamente dimenticata.
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