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Cultura - Cinema e spettacoloStefania Castella

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05 Gennaio 2015
Nannarella una diva semplice affamata d'affetto
di Stefania Castella



Nannarella  una diva semplice affamata d'affetto
Anna Magnani

“Il mio più grande difetto è il bisogno d’amore, se io avessi trovato veramente, il grande amore, avrei rinunciato a lavorare, se me lo avessero chiesto, la mia più grande gioia, la mia più grande ambizione, sentirmi amata”: Anna, Nannarella, Mamma Roma. Capelli indomabili, occhi profondi dietro le occhiaie, ogni ruga, ogni difetto facevano di lei la perfezione. 

 

Anna Magnani, non era solo un’attrice, ma l’Attrice, simbolo del cinema italiano nel mondo e insieme ad Aldo Fabrizi e Alberto Sordi, la rappresentante della romanità cinematografica del XX secolo. Su di lei, ritratti di donna forte, di leonessa, come se il suo viso dai lineamenti vigorosi volesse e dovesse per forza essere lo specchio di una donna indistruttibile. In realtà come accade sempre, semplicemente apparenza a nascondere le insicurezze e la fragilità di una femmina assetata d’affetto.

 

Anna appartenente a Roma, cresciuta con la nonna e circondata di donne, vive la sua infanzia alla ricerca affannosa delle origini, del padre della madre, che le aveva dato il suo cognome, come lei farà col suo unico figlio, come in un copione che si ripete; e Il copione Anna lo studiava furiosamente, come furiosamente viveva, ma diceva “se mi ci applico non mi viene” perché recitare e vivere era una predisposizione naturale. “Non so’ nata attrice, ma lo so’ diventata in culla, tra una lacrima di troppo e una carezza in meno”. Certe ferite ti accompagnano tutta la vita. E restano a impregnarti fin dentro le ossa. Anna forte, Anna spaventata, Anna che raggiunge il mondo in alto e resta fragile, Anna che si aggrappa al braccio di Montanelli in ascensore a New York “nun me lascia’ co sti cosi che si chiudono da soli”, che non sale sull'Andrea Doria finché non lasciano salire la bassotta Lillina. L’amore per ogni creatura, cani, gatti, pappagalli, per cui litiga con tutti: registi, compagni, amici, che spesso trascina per le vie romane per raccattare i cuccioli più infelici quelli col muso più triste. “Che i cani no, che non ti tradiscono”, gli uomini quelli si, di quelli non sai mai se puoi fidarti.

 

Chi ama troppo, chi si dona troppo si condanna da solo, e quante lacrime e quante urla, quante volte. All'hotel Excelsior quante liti e quante sfuriate: “A Robè esci da lì sotto che te vo menà” e non erano rivolte a nessun cucciolo, erano le urla di Nannarella che rincorreva il suo uomo fin sotto il letto. Quell'uomo, Roberto Rossellini, uno dei grandi amori, uno dei tanti dolori, forse uno dei troppi, e troppo forti. Roberto che raccoglieva le sfuriate di gelosia con caparbietà, le sbandate in auto per schivare le grida, che Anna sapeva essere pantera affamata, indomabile ma anche gattina dolcissima, Roberto che sapeva di dover ritrarre lo sguardo al passaggio di una femmina che non fosse lei, se voleva evitare una scenata senza sosta. Roberto che forse troppo stanco troppo oppresso da quell'amore troppo eccessivo, un giorno diceva “scendo con i cani” e salendo a bordo di un taxi, raggiungeva il nuovo amore della sua vita, la bellissima Ingrid Bergman. La “traffichina” come la Magnani l’avrebbe chiamata, aveva colto nel segno, avrebbe recitato nel film che Roberto aveva costruito per Anna, avrebbe prese il suo posto, nel cuore dell’uomo che aveva amato tanto, troppo. Raccontano che mentre su un set assediato di fotografi la Bergman girava con Rossellini “Stromboli terra di Dio”, di fronte a loro, Anna girava “Vulcano”, ironia della sorte, e nelle sere più scure si sedeva guardando il mare di fronte a lei maledicendo come una lupa vera che ulula alla luna, il dolore per l’amore perduto. “Anna apri l’occhi questa è la cotta che ti manda al creatore… Perché vedi non mi so frenare, so eccessiva ogni volta che amo mi impegolo fino ai capelli, sapessi che strazio poi, uscirne vivi, E una mattina ti svegli nel letto e non hai più sangue. Ma poi ricomincia ed è meraviglioso”.

 

E ricominciava perché passarne tante significava imparare a superarne tante. Anna l’animale da palcoscenico, la vita intera donata alla sua arte, Anna le lacrime più vere, la risata fragorosa, nel bianco e nero più intenso che ancora emoziona, Anna che non aveva paura di morire, ma forse un po’ di vivere si, e nonostante tutto ha vissuto al di sopra di tutto, di tutti, Regina di Roma, che orgoglio appartenere alla tua specie. Bella, bellissima Nannarella.








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