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Cultura - Cinema e spettacoloStefania Castella

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03 Gennaio 2015
Margaret Keane, la rivincita di una moglie, nel film di Tim Burton
di Stefania Castella



Margaret Keane, la rivincita di una moglie, nel film di Tim Burton
Un'opera dell'artista
Margaret Keane

Storia d’amore, di plagio, e qualcosa di più. Come la grande ossessione del regista Tim Burton, per le tele della protagonista del suo ultimo film. “Big Eyes”, uscito nelle sale il primo gennaio. 

 

È la storia vera di Margaret Keane, artista, pittrice, e donna innamorata. Nota in tutta l’America per il suo stile personalissimo, caratterizzato dal dipingere visi dagli enormi occhi, quasi irreali, occhi da lemure, occhi giganti che ingoiano il mondo e lo spettatore che li osserva. A cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, in un America perbenista, da cartolina, con il papà che lavora e la mammina in grembiule che tira su casa e figli, il ruolo della donna è piuttosto relegato e limitato. Quando i due Keane si incontrano, racconteranno dopo due diverse versioni, che coincidono solo per il fatto che lei, Margaret, ne viene folgorata. Lui Walter, agente immobiliare, fascinoso affabulatore, lei timida artista, facile da soggiogare. I primi anni sono idilliaci, Margaret, è felice, abbastanza perlomeno; unghie laccate di rosso, chioma bionda come si confà a quel tempo una grande predisposizione per la pittura. Lui fiuta quello che sarà il grande affare che li farà svoltare. Quando durante una serata mostrerà i quadri con i famosi bimbi dagli occhi giganti, quando dirà che ne è l’autore, sarà troppo tardi per la vera autrice ribellarsi, forse anche solo capire cosa stava succedendo. E’ innamorata, e i quadri piacciono. Facile convincersi che “con la firma di una donna non venderebbero” come insiste lui. E lei ci crede. Ci crede per anni, quando i quadri vengono venduti entrando nelle case di miriadi di vip dell’epoca, da Joan Crawford, a Dean Martin da Natalie Wood a Kim Novak, quando piovono milioni di dollari, arriva la villa con piscina, e a lei resta solo il cagnolino a cui confidare che “sono miei quei quadri, e solo a te posso confessarlo”. La trappola è talmente tesa, che non c’è una via d’uscita.

 

Negli anni Margaret in un’intervista al “Guardian” confiderà, che il marito la costringeva a vivere reclusa, in una stanza apposita, con le tende tirate, a lavorare anche sedici ore al giorno. Lei lavorava appassionata, ostinata, assecondando le richieste di quell'uomo che aveva tanto amato, lavorava seguendo quelle che ormai erano diventate ossessioni, per lui. “Mi chiedeva di dipingere i soggetti che gli venivano in mente, un bambino con un costume da clown, uno su un dondolo, una volta mi chiese di dipingere un quadro enorme che doveva rappresentare il suo capolavoro, da appendere al palazzo delle Nazioni Unite o da qualche altra parte. Ci ho messo un mese per farlo, diceva doveva rappresentare la sua Cappella Sistina”. Il capolavoro fu esposto davvero, intitolato “Tomorrow forever” , un centinaio di tristi bambini di varie etnie, con enormi occhi, esposto nel padiglione dedicato all'istruzione all'esposizione universale di New York. Dieci anni durerà tutto questo, fino al divorzio, fino alla decisione di dire basta a tutta quella farsa, impossibile ormai da sostenere.

 

Quando Margaret citerà in giudizio il marito, per avere la maternità delle opere, lui in interviste varie, la farà passare per delirante e visionaria, così tutto finisce in giudizio. Durante le prime udienze, per decidere definitivamente, uno dei giudici chiederà ai due di riprodurre al momento, una delle famose opere, così mentre Walter risponderà che è impossibilitato per un infortunio al braccio, lei terminerà il dipinto in meno di un’ora. E’ fatta, le verrà riconosciuto un risarcimento di 4 milioni di dollari, che non arriveranno mai, dato che nel frattempo Walter ha sperperato tutto e in un delirio di ubriachezza e infelicità morirà nel 2000.

 

Oggi Margaret è un’arzilla ultra ottantenne, continua a dipingere, i suoi tratti sono molto più sereni. Oggi il suo volto nel film di Tim Burton è di Amy Adams, mentre Christoph Waltz, veste i panni di Walter. Quei bimbi, quegli occhioni ossessivi, sono evidentemente rimasti impressi nella memoria del regista che li ha più volte riproposti nelle sue opere (la sposa cadavere o Sweeney Todd) e pensava da anni a questo film nel quale la vera Margaret appare in un cameo e dice del film che è “fantastico e molto accurato”. Finalmente un lieto fine, non solo da pellicola, ma tutto reale.








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